Le divisioni del Pd

 

La Repubblica: “La battaglia sulla Giustizia”, “Bocciato il Pdl Nitto Palma in commissione. Il Cavaliere minaccia il governo”.

A centro pagina: “Tragedia a Genova, nave sul molo: 3 morti e 6 dispersi”.

Di spalla: “Ambrosoli non partecipa all’omaggio di Andreotti, ‘non posso dimenticare’”.

 

Corriere della Sera: “Notte di terrore nel porto di Genova”, “Nave contro la torre di controllo, 3 morti e almeno 7 dispersi”.

A centro pagina: “La giustizia ora torna a dividere”, “Intesa sulle commissioni, ma Nitto Palma viene bocciato”, “Il Pd spaccato vota scheda bianca, salta l’elezione dell’ex pm indicato dal Pdl. Oggi nuova prova”.

 

La Stampa: “Pd-Pdl, tensione sulla giustizia”, “Stop a Nitto Palma come presidente di commissione. Gasparri: patti violati”.

A centro pagina: “Nave contro molo a Genova, sette morti”.

Sotto la testata: “Un italiano su due ora vede l’Europa come uno svantaggio”.

 

Il Giornale scrive che “Il Pd non mantiene i patti” e titola: “Governo già a rischio”, “Berlusconi più pessimista dopo la bocciatura di Nitto Palma: così non si supera l’estate”, “Letta si ritira (in convento) con tutti i ministri”.

 

Il Fatto: “Giustizia, no a Nitto Palma. B: ‘O lui o salta il governo'”.

Ancora in prima il funerale di Giulio Andreotti: “Addio di beatificazione”, “Napolitano e Grasso onorano Andreotti. Solo Ambrosoli rifiuta”.

E in prima anche attenzione per l’azienda Eni: “L’Eni è ostaggio di Putin e il conto lo spedisce a noi”, “la crisi fa scendere i prezzi del gas, ma il gruppo italiano è vincolato ai contratti firmati ai tempi del Cavaliere. L’azienda tenta di scaricare il costo degli errori passati sulle bollette”.

 

L’Unità: “Giustizia, scontro Pd-Pdl”, “28 nuovi presidenti di Commissione. Ma non passa Nitto Palma, oggi si rivota”. A centro pagina: “Stallo nel Pd, assemblea a rischio rinvio”, “nessuna intesa sul nuovo segretario, oggi il vertice decisivo”.

 

Il Sole 24 Ore: “Effetto tassi, Borse in rally”, “Milano migliore d’Europa, Dax al record, Wall Street oltre 15mila”. A centro pagina le parole del Presidente di Confindustria: “Squinzi: la priorità è ridurre le tasse sul lavoro”.

 

Libero: “Letta va a farsi benedire”, “il premier raduna i ministri in una abbazia, ma la sua maggioranza si rompe sulla Commissione giustizia. Il nodo è sempre lo stesso: il Pd non digerisce l’alleanza col Cav. E così non si governa”. A centro pagina, con foto: “Grasso schiarisce le idee alla Kyenge”, “’no allo ius soli, saremmo invasi dalle puerpere’”.

 

Politica, commissione giustizia

 

Scrive il Corriere della Sera che la maggioranza rischia di sbandare sulla giustizia: c’è l’accordo sulle presidenze delle commissioni parlamentari, ma Berlusconi si è visto bocciare per due volte il candidato alla presidenza della Commissione giustizia al Senato, l’ex Guardasigilli Nitto Palma. Per il quotidiano il Pd, dunque, ha rispettato i patti, votando anche Daniele Capezzone (Finanze) alla Camera e Roberto Formigoni (Agricoltura al Senato), ma poi si è espresso per ben due volte con la scheda bianca in Commissione giustizia a Palazzo Madama, bloccando l’elezione di Nitto Palma e scatenando la reazione del Pdl. Il capogruppo Pdl al Senato Schifani ha confermato in serata che questo rimane il candidato del Pdl: “Abbiamo votato i candidati del Pd scelti assieme, altrettanto non è successo per il nostro senatore. Ci attendiamo che domani (oggi, ndr) il Pd abbia lo stesso senso di responsabilità”. Alle 15 di oggi la Commissione giustizia procederà al terzo scrutinio. Serve ancora la maggioranza assoluta dei componenti, ovvero 14 voti, e per il Corriere l’aria che tira è quella di un “muro contro muro”. L’espressione viene ripresa da un altro articolo del quotidiano, dove si spiega che il Pd Felice Casson “guida la fronda” e propone: “ora un nostro candidato”. Insomma, “i commissari Pd al muro contro muro”, scrive il quotidiano, parlando anche di un giallo sulle schede bianche, perché al primo scrutinio sono state 14, ovvero una in più degli elettori Pd, Sel e 5Stelle.

 

La Repubblica intervista lo stesso Nitto Palma, che descrive come “furioso”, come è evidente dal fatto che “per una volta lascia stare le iperboli e il solito linguaggio barocco”: “Non credo proprio che il mio sia un nome divisivo”. E’ vero che oltre alla opposizione del Pd, anche nel suo partito c’è qualcuno che ha remato contro, e c’è chi parla di un’asse tra Luigi Zanda e Gaetano Quagliariello? “Non entro assolutamente nel gossip, adesso dovranno sbrigarsela loro la matassa, i leader”. Lei intende Berlusconi e chi altri? “Berlusconi o Alfano, Letta o chi per lui, faccia lei. Intendo: i leader del Pdl e del Pd. Scusi, tra loro era l’accordo. Ha funzionato in altri casi e ora no, cosa c’entro io”. Lo stesso quotidiano intervista il parlamentare Pd Pippo Civati, che difende la scelta: “Almeno, il no a Nitto Palma è una riduzione del danno. Troppi bocconi amari il governissimo ci costringe ad ingoiare. E tanti, temo, ne verranno. Però, per il Pd c’è un limite di dignità da non varcare”. Cosa rischia il Pd? “Che i maldipancia si trasformino in voti apertamente contro l’esecutivo Letta. E non mi vengano a parlare di ‘spiacevoli sorprese’, per le presidenze di Commissione”. A cosa si riferisce? “Ma come si fa a votare Formigoni all’Agricoltura?”. Sulla scelta contro Palma in Commissione giustizia: “Giustissima la linea di Casson e degli altri senatori. Palma è l’uomo, anzi il magistrato, che appoggiò i parlamentari del Pdl che hanno invaso il Palazzo di giustizia di Milano”.

 

Il Fatto descrive Nitto Palma come il “’Ghedini’ di Cesare Previti”. Ci si riferisce al fatto che 11 anni fa, secondo Il Fatto, Palma avrebbe proposto il ritorno all’immunità totale per i parlamentari, ovvero blocco delle indagini su deputati e senatori fino alla scadenza del loro mandato. Lo fece presentando un emendamento in commissione Affari Costituzionali, retto allora da un altro previtiano di ferro, Donato Bruno. “La norma serviva a Previti, ma il pressing dell’alleato Casini su Berlusconi portò al ritiro dell’emendamento”. Il Fatto rimprovera a Nitto Palma la difesa di Nicola Cosentino, escluso dalle liste Pdl alle ultime elezioni politiche.

 

Su Il Giornale Salvatore Tramontano, in un editoriale sulla prima pagina, parla del mancato accordo sul nome di Nitto Palma, e scrive: “Il Pd non è in grado di garantire nulla, non rispetta un accordo, non è capace di dare un senso a un patto qualsiasi. Dopo le disavventure quirinalizie con Marini e Prodi, le stesse vicende si ripetono in Parlamento”. “Di che hanno paura gli uomini del Pd? Della lobby dei giudici? Di Magistratura Democratica? Della minoranza giustizialista? E’ un partito che vive alla giornata, e il primo che si alza detta legge. Ogni giorno un segretario improvvisato. Questa volta è toccato a Corradino Mineo. Ecco il suo pensiero di giornata: ‘L’unico modo per tenere il governo in piedi è sparare. Sparare in senso metaforico, mi raccomando, contro le cose indecenti. Spero che Nitto Palma non sia nominato presidente’”.

 

Anche il direttore di Libero Maurizio Belpietro sottolinea come la decisione del Presidente del Consiglio Letta di convocare un “consiglio dei ministri” in una abbazia in provincia di Siena, sia stata resa nota nello stesso giorno in cui la “traballante maggioranza di governo ha rischiato di andare in pezzi”, per colpa dei “falchi traditori”, cioè+ di un gruppetto di onorevoli che nel segreto dell’urna ha deciso di far mancare i voti a Nitto Palma. Anche alle pagine interne si parla di un “governo ballerino”, e si descrivono “i compagni prigionieri della sindrome di Silvio”. Per Belpietro “il Pd dimostra un’altra volta di essere preda delle divisioni e dell’odio verso il Cav”.

Sulla prima pagina de L’Unità un intervento firmato da Luca Landò dal titolo “Un altro nome è possibile”, dove si legge che non si tratta di un pregiudizio personale nei confronti di Nitto Palma, ma semplicemente del rispetto “di un principio fin qui adottato da Enrico Letta: non pretendere che la parte avversa voti per un nome ‘divisivo’”.

 

Pd

 

Come abbiamo visto, i quotidiani vicini al centrodestra evidenziano le divisioni all’interno del Pd. Il Giornale descrive il partito “alla deriva”: “Nessuno riesce a garantire nulla”, “nel Partito sono saltati schemi e gerarchie e ogni voto diventa un terno al lotto”. E si lega quindi , come fa Libero, la questione alla Assemblea del partito prevista per sabato: “Bersani cerca il suo successore, ma teme i soliti franchi tiratori”. Il quotidiano scrive che si rischia di arrivare ancora più divisi alla meta, e che oggi è previsto un “caminetto” tra i big del partito e i segretari regionali per cercare la quadra sul nome del successore di Bersani. La rosa dei papabili, peraltro, non accenna a diminuire, o almeno continua ad essere consistente, scrive il quotidiano, secondo il quale il candidato Gianni Cuperlo, molto vicino a Massimo D’Alema, dopo un incontro con Bersani, avrebbe deciso di fare un passo indietro: gli sarebbe stato spiegato che serve una candidatura di garanzia e non di corrente.

Su L’Unità: “Pd, l’intesa non c’è. Assemblea a rischio”. E si scrive che neanche il faccia a faccia tra Bersani e Cuperlo è servito a fare passi avanti. Se entro stasera i membri del coordinamento Pd e i segretari regionali non troveranno una intesa sul dopo Bersani, l’assemblea, inizialmente prevista per sabato scorso, poi convocata per il prossimo, potrebbe nuovamente slittare. Riprende quota una ipotesi accantonata nei mesi scorsi: i mille delegati convocati a Roma potrebbero solo dare mandato alla Commissione per lo Statuto alle modifiche da apportare alla carta fondamentale del partito, a partire dalla decisione di non far più coincidere la figura del candidato Pd con quella di candidato premier, rinviando la decisione sulla nuova guida ad un altro appuntamento. Anche secondo L’Unità, nel corso del suo colloquio con Gianni Cuperlo, Pierluigi Bersani avrebbe insistito per evitare lacerazioni che sarebbero dannose per il Pd ma avrebbero pericolose conseguenze anche sulla tenuta del governo Letta. Cuperlo si è detto d’accordo e avrebbe condiviso la necessità della più larga convergenza: “Ma se il segretario dimissionario sperava in un passo indietro del suo interlocutore, il colloquio non è andato come previsto”, scrive L’Unità. Il coordinatore del centro studi del Pd ha avuto infatti diversi altri colloqui e agli interlocutori non ha confermato la voce circolata nel pomeriggio di una sua rinuncia alla segreteria. Semplicemente, Cuperlo aspetta di vedere nelle prossime ore se emergeranno figure capaci di raccogliere un consenso superiore al suo. Sul suo nome sembra convergere la maggior parte dei segretari regionali. Se qualcuno in queste ore frena sostenendo che è un ‘dalemiano’, lo stesso Massimo D’Alema in più di un colloquio ha liquidato la questione con questa battuta: “Non andrebbe bene perché ha lavorato con me 14 anni fa? Ma se poi ha lavorato con tutti i segretari che ci sono stati…”.

Per il Corriere della Sera, il Pd arriva diviso al vertice decisivo. E se Cofferati dice che c’è una propensione al suicidio, Fabrizio Barca ritiene preferibile l’ipotesi di un segretario reggente. E ancora per il Corriere “Bersani punta su Finocchiaro”.

Sullo stesso quotidiano, un’intervista a Giuliano Amato: un’occasione per tornare sulle mancate candidature al Quirinale e a Palazzo Chigi, ma anche sulla situazione del Pd e della sinistra. Dica Amato: “Sono giorni di grande amarezza per me e non credo solo per me. Ho visto il mio curriculum, lo specchio di una vita in cui ho manifestato capacità, competenze e nulla altro, addotto a esempio di ciò che dobbiamo distruggere. E l’amarezza è anche stata nel constatare quanto questo vento pesante abbia impaurito, in nome del consenso, anche coloro che avrebbero dovuto reagire e dire ‘ciò è inammissibile’. Purtroppo su questo pesa anche l’attuale condizione di un ceto politico le cui letture non vanno molto oltre Twitter, e se su Twitter legge cinquanta commenti negativi su di lei ne desume che il popolo la vede male”. Poi Amato rievoca la Cina della Banda dei 4: “é noto che Pol Pot aveva ordinato di sparare a chiunque, dagli occhiali che portava, si capisse che era un laureato. In Cina l’esplosione dei giovani più preparati davanti a questa costrizione coincise poi con l’arrivo del Presidente Deng. Noi abbiamo Enrico Letta. Un giovane pieno di qualità”, di cui Amato dice che “ha la dote dell’equilibrio”. Se la prende con i diffamatori di professione, e ammonisce: “Rischiamo di avvitarci in questa forma di purificazione attraverso lo zainetto sulle spalle, appagandoci di portare davvero la cuoca di Lenin in Parlamento. Citazione troppo dotta per i tempi che corrono. Mettiamola così: siamo passati dal Parlamento dei professori a quello dei fuori corso”.

Sul Pd: “Al Pd, come all’Italia, servirebbe moltissimo un Presidente Deng. Lo dico per scherzo; ma se il Pd non riesce finalmente ad identificare se stesso con la costruzione di un futuro credibile per l’Italia, è evidente che la sua ragione sociale ha cessato di essere perseguibile, e diventa preda di lotte intestine che lo distruggono”.

 

Internazionale

 

Su La Stampa si racconta che il viceambasciatore a Tripoli all’epoca della aggressione del consolato Usa l’11 settembre 2012, Gregory Hicks, interverrà oggi alle audizioni organizzate dalla Commissione della Camera per il controllo e la riforma del governo: metterà in discussione la versione ufficiale, perché riaprirà una polemica che ha coinvolto l’Amministrazione Obama, in quanto convinto che i militari americani avrebbero potuto mandare aerei e forze speciali per aiutare i diplomatici attaccati. La notte dell’assalto Hicks fu l’ultima persona a parlare con l’ambasciatore ucciso Stevens: “Mi disse: ‘Greg, siamo sotto attacco’”. Pochi minuti dopo Stevens fu ucciso. La versione ufficiale iniziale era stata che l’aggressione non era premeditata, ma frutto delle proteste spontanee dovute alla diffusione di un video considerato offensivo nei confronti di Maometto. Il capo del Pentagono Panetta sostiene che i militari non avevano avuto il tempo di intervenire. I Repubblicani non hanno mai accettato questa versione. Hicks ha detto che chiese all’addetto militare se era possibile mandare degli F16 o F15 su Bengasi: “Inviarli dopo il primo attacco avrebbe impaurito i libici e probabilmente impedito il secondo. La risposta fu che i caccia più vicini si trovavano ad Aviano, avrebbero avuto bisogno di almeno tre ore prima di decollare, e poi non sarebbero potuti tornare indietro perché non c’erano aerei da rifornimento per assisterli. Quindi Hicks aveva proposto di far salire 4 uomini delle truppe speciali su un cargo che Tripoli metteva a disposizione, ma anche questa idea fu bocciata: non potete andare, non avete l’autorizzazione’, gli rispose l’addetto militare, che poi aggiunse: non sono mai stato tanto imbarazzato in vita mia a vedere un funzionario del Dipartimento di Stato che ha più palle di noi’”.

 

Su L’Unità Umberto de Giovannangeli spiega quale potrebbe essere la via di fuga per il regime di Bashar Al Assad in Siria. Lo fa citando lo studioso Lorenzo Trombetta, secondo cui se Bashar e il suo clan dovranno lasciare Damasco, è possibile che tentino di rifugiarsi nella regione costiera. E se si riuscisse a collegare questo territorio con la Bekaa dominata da Hezbollah, questo “corridoio” assicurerebbe maggior profondità geografica alla repubblica degli Assad. Questo garantirebbe, allo stesso tempo, che il Movimento sciita libanese Hezbollah non vedrebbe interrotto il flusso di rifornimenti dall’Iran.

 

E poi

 

Sul Corriere viene ripubblicata la lunga intervista che Oriana Fallaci realizzò con Giulio Andreotti. Cinque ore di faccia a faccia, in una intervista realizzata nel marzo del 1974.

Aveva appena assunto l’incarico di ministro della Difesa, la Fallaci riuscì ad avere tre incontri.

Con un richiamo in prima su La Repubblica, l’inserto R2 offre ai lettori un’analisi di Ahmed Rashid: “La democrazia riluttante nel Pakistan dei Taliban”. L’11 maggio il Paese torna alle urne per eleggere il nuovo Parlamento, e sarà un voto “all’ombra dei taliban”, perchè chiunque vinca, si troverà di fronte una nazione piegata dall’estremismo e da una crisi economica dilagante. E’ già in corso una guerra civile su più fronti: coinvolti i taliban, separatisti e gang mafiose.

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