Effetto Snowden. Chiederemo a Kerry.

Corriere della Sera: “Divisi anche sull’Antimafia”, “Bindi eletta presidente. L’ira del Pdl: via dalla commissione”.

A centro pagina, la vicenda Datagate: “L’ex capo della Cia per l’Italia: ‘Voi spiati come tutti. Segreti? Non esistono”, “Parla Cannistraro. Il Garante: Letta chiarisca”.

In taglio basso, la sentenza della Cassazione: “Strage di Ustica: ci fu depistaggio e va rifatto il processo civile”.

 

La Stampa: “Pdl-Pdl, scontro sull’Antimafia. Bindi eletta Presidente, il Pdl lascia l’aula: strappo inaccettabile. La nomina al ballottaggio col candidato 5 stelle. ‘Dimettermi? Non posso’. Polemica dei renziani: un’occasione persa”.

 

Il Giornale: “Oddio, ci ridanno la Bindi. Blitz del Pd che impone il nome della signora all’Antimafia. Il Pdl si infuria: ‘Si dimetta subit’. Napolitano si sente assediato e perde le staffe: ‘una panzana la promessa della grazia a Berlusconi’”.

 

Il Fatto quotidiano apre con Napolitano, e la replica di ieri dell’Ufficio stampa del Quirinale al quotidiano diretto da Padellaro: “Le panzane di Napolitano. Il Fatto riporta le accuse dei falchi del Pdl al presidente sul patto tradito di graziare Berlusconi ‘motu proprio’. Il capo dello Stato perde la testa e insulta il nostro giornale per smentirli. Peccato che non abbia aperto bocca quando altri scrissero le stesse cose o quando B. lo chiamò ‘inaffidabile’ e minacciò di ‘rivelare tutte le sue promesse’”.

 

L’Unità: “Il partito di lotta continua.Pdl scatenato contro l’elezione di Bindi all’Antimafia: si dimetta o diserteremo. La presidente: ritrovare l’unità. Speranza: veti inaccettabili. Il Quirinale: un patto sulla grazia a Berlusconi? Ridicole panzane”.

A centro pagina: “Noi, spiati dagli Usa. E oggi arriva Kerry”. In taglio basso, la Cassazione: “Depistaggio su Ustica”.

 

La Repubblica: “Letta agli Usa: la verità sul Datagate”, “Spionaggio, oggi confronto premier-Kerry. Così la Nsa ci intercettava”.

A centro pagina: “Italia superata dalla Russia, ora è solo nona tra i Grandi”. E di fianco, la foto di attivisti Greenpeace in Russia: “I corsari verdi di Mosca”.

In taglio basso: “Dal Pd a M5S: tutti indagati per i fondi ai partiti in Emilia”.

 

Il Sole 24 Ore: “La manovra sul 2014: più entrate e più spesa. Nel 2015 e 2016 uscite ridotte per 4 e 6 miliardi.”. Di spalla una “proposta” firmata da Carlo Debenedetti: “Una patrimoniale per tagliare il cuneo”.

 

Libero: “Case, cuneo, pensioni. Prendi uno, paghi tre”. “Manovra sbagliata”. Seguono le “vere cifre”, dalla “stangata sulle abitazioni” al “colpo proibito sui vitalizi”, alla “beffa in busta paga”. A centro pagina, con la consueta caricatura di Benny: “Rosy Bindi, la poltrona è cosa sua. Blitz all’Antimafia, il Pdl insorge”.

 

Bindi, Antimafia

 

La Democratica Rosy Bindi è la nuova Presidente dell’Antimafia, eletta con 25 voti su 50 componenti. Ma la commissione parlamentare di inchiesta, come scrive il Corriere, è già piombata nel caos: “Davanti alla prova di forza voluta dal Pd, infatti, il Pdl si è irrigidito non poco disertando la seduta in cui si votava per il Presidente e annunciando poi un ‘miniAventino’ per le prossime settimane. La presidenza dell’antimafia, dunque, rischia di affossare ancora di più le larghe intese”. “Colpo alle larghe intese” è il titolo dell’analisi che Stefano Folli dedica alla vicenda, sulle pagine de Il Sole 24 Ore, secondo cui esse “sono una architettura davvero fragile se non reggono nemmeno alla scelta del presidente di una commissione parlamentare”, “l’Antimafia è un organismo bicamerale per antonomasia e dovrebbe rispecchiare la complessità degli equilibri politici, specie nel momento in cui il governo poggia su di una grande coalizione”. Il problema non è di facile soluzione, scrive Folli: “La Bindi non ha alcun obbligo di dimettersi e c’è la ragionevole certezza che non lo farà. Si impegnerà semmai per dirigere i lavori della Commissione con imparzialità”, ma “la ferita rimane aperta” e chi vuole la fine prematura delle larghe intese da ieri sera “ha una freccia in più al suo arco. Per cui si capisce che Matteo Renzi abbia dato una risposta furba ma poco impegnativa a chi gli chiedeva un giudizio: “E’ la politica del Palazzo, la politica del nulla’”. Ma la Commissione Antimafia, sottolinea Folli, non è il nulla, è una delle tante questioni spinose di cui Renzi per ora può fingere di non voler occuparsi, ma che saranno nella sua agenda dopo l’elezione a segretario del Pd, a meno che egli non pensi realmente di risolvere ogni passaggio difficile con una sorta di mobilitazione elettorale permanente”. Sul Corriere della Sera, Massimo Franco: “Il nuovo passo avanti del partito della crisi”. Dove si legge che “il partito trasversale della crisi ha ieri segnato un grosso punto a favore: dentro e fuori dalla coalizione di governo”. Franco spiega che l’elezione della Bindi con i voti di Pd e Sel e la benevola astensione di Scelta civica e dei grillini, è uno “schiaffo” al governo delle larghe intese. Alle pagine interne: “Il premier contrariato per la mossa del Pd. Alfano: intese violate”. E poiché il Pdl ha annunciato che diserterà i lavori, ora l’Antimafia si è persa per strada 11 dei 12 commissari del Pdl: resta infatti la deputata Pdl Rosaria Scopelliti (“Io parteciperò ai lavori perché per me è un onore far parte della Commissione Antimafia. La mia storia e la memoria di mio padre, magistrato assassinato per mano mafiosa, non mi permettono di disertare le sedute”, ha detto). Vicepresidenti della Commissione sono stati eletti Claudio Fava (Sel) e Luigi Gaetti (M5S). Il quotidiano spiega poi che da parte Pdl si ritiene sia stato violato un “patto”. siglato dal segretario Pd Epifani e dal suo omologo Pdl Angelino Alfano, come ricorda il senatore pidiellino Esposito: “avevano individuato in Lorenzo Dellai di Scelta civica la figura condivisa”. Questo accordo risalirebbe, conferma il Corriere, a giovedì scorso. Il Pd “ha esagerato”, avrebbe detto ieri Alfano, e i premier non ha potuto dargli torto. Non è (solo) questione di poltrone: la nuova fibrillazione indebolisce Letta nel suo partito e allo stesso tempo indebolisce Alfano “e l’ala dialogante” del Pdl, finendo per alimentare l’instabilità a tutto vantaggio di chi, come Renzi, confida ancora di sfruttare la finestra elettorale di marzo. Su Libero, Fausto Carioti: “Se il Pd tradisce gli accordi con il Pdl per dare una poltrona a Rosy Bindi, cioè una delle personalità più detestate nel partito, la spiegazione è una sola: i democratici sono stufi delle larghe intese”.

Il direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, parlando di Rosy Bindi, scrive: “Il suo merito non è quello di essere grande esperta di Cosa nostra ma quello di essere a caccia di un posto e, soprattutto, ferocemente antiberlusconiana”. Alle pagine seguenti: “Con la Bindi all’Antimafia il Pd vuole indebolire Letta”. E ad imporre l’operazione Bindi sarebbe stato il segretario Epifani in persona. Ma in questo articolo di Laura Cesaretti si dà conto invece delle obiezioni proprio in casa renziana, citando l’opinione del deputato Davide Faraone: “Un’occasione mancata per la pacificazione, che fa prevalere gli interessi di parte”, “una logica partitica su a chi debba andare la poltrona”. Faraone sottolinea che sarebbe stato indispensabile votare in un clima di serenità, e fa il nome di Rosanna Scopelliti, del Pdl, come alternativa possibile.

Su La Stampa, descrivendo il personaggio Bindi: “La pasionaria anti-Silvio che guarda ancora al Movimento 5 Stelle”, “l’ex presidente del Pd punta all’alleanza cercata da Bersani”. Secondo il quotidiano, Bindi, al pari di Prodi, resta convinta che il progetto tentato da Bersani di un “governo di cambiamento” insieme ai grillini non sia affatto da accantonare, e che se allora non riuscì fu anche per i limiti e la confusione con cui Bersani lo condusse, senza l’appoggio convinto di un Pd che già pensava a farlo fuori.

 

Napolitano, grazia

 

 

Ieri con una nota il Colle è intervenuto sul presunto accordo segreto per salvare Berlusconi: “Solo il Fatto quotidiano crede alle ridicole panzane come quella del ‘patto tradito dal Presidente’… La posizione del Presidente della Repubblica in materia di provvedimenti di clemenza è stata a suo tempo espressa con la massima chiarezza e precisione con la dichiarazione del 13 agosto scorso”. Commenta il quirinalista del Corriere Marzio Breda: “E’ un tormentone che si trascina da tre mesi e che vede all’opera i falchi più ostinati del centrodestra e pezzi del mondo giornalistico, di osservanza berlusconiana e no. La vulgata, con poche varianti e aggiornamenti, resta sempre la stessa: il Capo dello Stato avrebbe promesso la grazia ‘motu proprio’ al Cavaliere dopo la condanna in Cassazione sul caso Mediaset, e, visto che quell’aiuto ‘a prescindere’ non si è visto, sarebbe venuto meno all’impegno”. Ieri Il Fatto aveva rilanciato l’idea del “piano di salvataggio” disatteso, e in serata il direttore del quotidiano, Antonio Padellaro, aveva commentato l’ultima nota del Colle così: “Le panzane di Napolitano potrebbe essere un buon titolo. Trovo scorretto il comunicato del Quirinale. Abbiamo esercitato il nostro diritto di cronaca”

E in effetti è proprio “Le panzane di Napolitano” il titolo di apertura del quotidiano, con tanto di editoriale di Marco Travaglio in cui si rivendica il “dovere della libera stampa” di riferire all’opinione pubblica le opinioni di qualche protagonista politico che racconta “ciò che sa o dice di sapere” sugli “accordi più o meno segreti (tipo quello che a fine aprile originò il governo di larghe intese)”. Scrive ancora Travaglio che da quando Berlusconi è stato condannato in Cassazione non passa giorno senza che i giornali raccontino la sua rabbia contro Napolitano per il mancato salvacondotto. “E mai il Quirinale si era permesso di smentirli, perché riferivano un fatto vero: non che Napolitano avesse davvero promesso il salvacondotto, ma che B. & C. se lo aspettavano e se lo aspettano”.

Da Il Giornale: “Il Quirinale si sente assediato. E Napolitano perde le staffe”. Ma il quotidiano sottolinea la diffidenza verso ilColle trasversale ai partiti. Berlusconi non si fida più di lui, Renzi ha rivendicato il diritto di essere in disaccordo con il Quirinale, i bersaniani lo rimproverano di non averli portati a Palazzo Chigi, i dalemiani di non aver fatto vincere le elezioni, i renziani che prima o poi il “commissariamento” debba finire.

Sulla stessa pagina, in relazione al processo sulla presunta trattativa Stato-mafia, cui Napolitano dovrebbe prender parte come testimone: “perché i Pm di Palermo non mollano Re Giorgio”, “il processo per la trattativa è cruciale per la sopravvivenza della Procura”.

 

Datagate

 

Secondo La Stampa lo spionaggio ai danni delle ambasciate è il piatto forte del secondo giorno di rivelazioni del quotidiano francese Le Monde, che sta distillando i documenti sottratti da Edward Snowden ai suoi ex datori di lavoro della NSA. Una nota del 10 settembre 2010 mostra chiaramente che il Grande Fratello made in Usa intercettava l’ambasciata francese a Washington, nome in codice Wabash, e quella a New York presso l’Onu, alias black foot. Una fonte al ministero degli esteri francesi dice: “Sapevamo che c’erano degli ascolti, ma non in queste proporzioni”. All’Onu, per esempio, secondo quanto è emerso, la diplomazia americana “vinceva facile”, come recitava una pubblicità, perché conosceva in anticipo le posizioni altrui, o almeno quella della Francia: quando nel giugno 2010 gli Usa riuscirono ad ottenere una risoluzione che infliggeva nuove sanzioni all’Iran per il suo progetto nucleare, la Francia aveva dubbi. Avrebbe potuto appoggiare il Brasile, che si opponeva alla risoluzione Onu perché in quel momento cercava di vendergli i Rafal francesi. Ma i francesi alla fine votarono con gli americani. E per questi ultimi non fu una sorpresa, perché la Nsa aveva già avvisato l’ambasciatrice Onu degli Usa, Susan Rice. La stessa Rice raccontò: “Questo mi ha aiutato a conoscere la verità sulla posizione francese, e a conservare una lunghezza di anticipo nel negoziato”. Il Presidente Obama lunedì notte ha telefonato al suo omologo francese Hollande per ribadirgli amicizia, accusando “certa stampa” di aver “distorto” le attività Usa, ammettendo nello stesso tempo che “esse sollevano interrogativi legittimi per i nostri amici e alleati”. Hollande ne parlerà domani al Consiglio Ue di Bruxelles, dove all’ordine del giorno ci sono, per ironia della sorte, l’economia digitale e la protezione dei dati personali. Sullo stesso quotidiano, il corrispondente da New York Maurizio Molinari: “Civili al posto dei generali, Obama pronto a punire l’NSA”. Dove si legge che il pensionamento volontario del direttore della NSA, il generale Keith Alexander, è il primo passo di una riforma dell’intelligence elettronica cui Obama lavorerebbe nel più stretto riserbo, per rassicurare gli alleati e il pubblico americano, intimoriti dalle massicce violazioni della privacy svelate da Edward Snowden. Durante la conversazione con Hollande, Obama avrebbe ripetuto quanto già espresso alla tedesca Merkel e alla brasiliana Roussef: gli Stati Uniti hanno iniziato a rivedere il modo in cui raccolgono intelligence, al fine di bilanciare i legittimi timori di sicurezza dei nostri cittadini e degli alleati con le preoccupazioni sulla privacy condivisi da tutti. Insomma, la Casa Bianca tiene a far sapere che è iniziata una riforma del sistema e che essa porterà ad una correzione di rotta. Proprio la necessità di mandare un segnale concreto sui cambiamenti avviati spiega la scelta del generale Alexander di far sapere con largo anticipo che in marzo lascerà l’incarico insieme al suo vice Inglis.

Nominato direttore della NSA nel 2005, e alla guida del nuovo cybercommando del Pentagono dal 2010, Alexander è il generale che ha voluto, progettato e realizzato il maggior potenziamento della NSA dalla fondazione, nel 1952, arrivando a gestire dal quartier generale di Fort Meade, nel Maryland, un’armata elettronica poderosa con due missioni: difendere l’America da attacchi cibernetici, e dare caccia all’estero ad ogni possibile nemico.

Su La Repubblica si ricostruisce attraverso le voci dei protagonisti un incontro tenutosi a Washington nei primi giorni di ottobre tra i cinque componenti della delegazione del Copasir (comitato parlamentare di controllo sui servizi) e il vicedirettore della Nsa Inglis. In luglio c’erano state le rivelazioni i Snowden,. Spiega il presidente del Copasir, il leghista Giacomo Stucchi: “Nella sede della Nsa ci è stato spiegato che l’Agenzia ha raccolto informazioni sui dati di traffico telefonico e telematico. Ma ci è stato anche detto che nessuno in Italia, né l’autorità politica né la nostra intelligence, era stato messo al corrente di quel che la Nsa stava facendo. Ricordo anche che è stato escluso che le intercettazioni a strascico del programma ‘Prism’ possano aver indiscriminatamente riguardato cittadini del nostro Paese. Non fosse altro perché quel programma, a quanto ci è stato riferito, è dotato di filtri che limitano o interrompono il flusso di informazioni intercettate quando riguardano Paesi alleati cui l’America è legata da particolari vincoli di amicizia. La Nsa avrebbe quindi intercettato e catturato dati di traffico delle tlc anche dall’Italia: ma non all’interno dei nostri confini, bensì ogni qualvolta il traffico di comunicazioni e dati generato all’interno del nostro Paese si è appoggiato, per ragioni tecniche per per l’architettura integrata che hanno i sistemi di comunicazione su scala globale, su ‘carrier’ statunitensi o nella piena disponibilità americana. Parliamo cioè – spiega Carlo Bonini – di provider internet, chiamate Skype, traffico di email, navigazione in internet, piuttosto che di produttori di smartphone (messaggistica gratuita) o di compagnie telefoniche. Spiega Claudio Fava, anche lui membro del Copasir e deputato Sel: “A meno che qualcuno non voglia fare volutamente confusione, quello che gli americani ci hanno spiegato è che per quanto ci riguarda tutte le comunicazioni generate in Paesi terzi, compresa l’Italia, una volta fuori dallo spazio fisico sovrano dei singoli Paesi e dunque della loro disponibilità, possono essere raccolte. Parliamo di tabulati telefonici, come anche di business record: dalle carte di credito alle biglietterie aeree, ai database di pubblico accesso”.

L’incontro con Inglis sarebbe avvenuto dopo un largo sorriso e una battuta fulminante dello stesso, che suonava così: “Benvenuti. Vorrei spiegarvi innanzitutto cosa facciamo qui alla Nsa. Noi raccontiamo la storia delle cose che non sono mai accadute”. Nel suo discorso il generale avrebbe insomma invitato le autorità politiche italiane a non recitare la parte di chi ‘cade dal pero’ quando si parla di intercettazioni. “Sappiate, avrebbe detto Inglis, che grazie al lavoro che facciamo qui abbiamo sventato 54 attentati. Uno proprio in Italia, a Napoli, nel settembre del 2010”. Una vicenda, ricorda Bonini, che ebbe come protagonisti alcuni cittadini algerini che avevano raggiunto il nostro Paese dalla Francia, e che si chiuse con l’arresto dei targets di cui l’Nsa oggi rivendica l’individuazione.

Il Corriere della Sera intervista l’ex capo della Cia per l’Italia Vincent Cannistraro. Dice: “Dovete rendervi conto che ‘Megadata’ (il sistema di sorveglianza elettronica della Nsa) è un sistema di intercettazione globale, che scatta quando i computer leggono certi nomi o numeri, sentono certi suoni, vedono certe immagini. Una volta allertato, Megadata può selezionare i Paesi su cui concentrarsi per qualche tempo. Io lo paragono a un aspirapolvere planetario, che si dirige automaticamente dove c’è bisogno”. Come si sta muovendo Obama? “Obama vuole che la Nsa operi nella massima legalità e con obiettivi ben definiti, che prevenga violazioni della privacy e del segreto di Stato degli alleati, che non si presti a operazioni che non hanno nulla a che fare con la difesa dell’America”, “Megadata è stato creato unicamente per sconfiggere il terrorismo, ma è chiaro che viene adoperato anche per altro, sebbene non con la frequenza e la vastità di cui ci accusate”. Il Congresso è d’accordo su questa riforma? “Non proprio. Le commissioni all’intelligence alla Camera e al Senato, dove si trovano ex agenti Fbi ed ex militari, spalleggiano la Nsa. Per la maggioranza dei loro membri la lotta al terrorismo giustifica quasi tutto. Ma è sbagliato: megadata è indispensabile per debellare il terrorismo, però il suo impiego deve essere selettivo”.

 

E poi

 

Sul Corriere della Sera Antonio Ferrari si occupa di Turchia: il Paese “accantona i sogni e torna a rivolgersi all’Europa”, “dopo i rovesci in oriente riprendono i negoziati di adesione”. Il primo ministro Erdogan sa che forse per la prima volta è cresciuto il numero di Paesi europei che sono pronti a sostenerlo. La presidenza di turno della Ue ha annunciato via twitter che a novembre ripartiranno i colloqui tra Ue ed Ankara.

Su La Repubblica alle pagine R2 l’inchiesta su Greenpeace con un viaggio nella sua base in Russia: “Mangiano dolci biologici, indossano maglioni fatti a mano e non amano i proclami, i corsari verdi moscoviti sono un gruppo sparuto. E sempre più cauto. Qui basta poco per finire nella lista degli ‘agenti stranieri’ voluta dal Cremlino. Con una intervista ad Alexandr Daniele, dirigente della associazione Memorial: “Tra le Ong e Putin una continua lotta, ha paura di noi, vuole controllarci”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *