B. e la sua agibilità politica

 

Il Corriere della Sera: “Ora il governo vede la ripresa. Vertice Letta-Saccomanni-Visco. Sì in commissione: taglio del 25 per cento agli stipendi dei dirigenti pubblici”. In alto una intervista al Ministro Quagliariello, che denuncia: “’Domenica pronta una operazione per decretare la fine dell’esecutivo’. Il ministro Quagliariello accusa settori del Pdl e del Pd”. L’editoriale, firmato da Angelo Panebianco, è titolato: “La riforma più difficile”. Si parla di quella della giustizia.

 

La Stampa: “Letta: non rovinate la ripresa. Il premier avverte i partiti: segnali positivi ci sono ma serve stabilità’. Il Pdl da Napolitano: salvacondotto a Berlusconi per salvare il Paese”. Il quotidiano torinese dà spazio in prima alla notizia della condanna all’ergastolo per i generali turchi considerati promotori di un golpe. “Il processo Ergenekon. Ankara, ergastolo ai generali golpisti. Nel 2006 la Gladio turca tentò di rovesciare il governo Erdogan. Assolti solo 21 dei 275 imputati”.

 

La Repubblica: “Il Pdl al Colle: salvare Berlusconi. Il Quirinale ‘esamina attentamente’. Letta avverte: non mi farò logorare. Napolitano riceve Brunetta e Schifani, che poi riferiscono al Cavaliere. Grillo frena i suoi: non faremo accordi con il Pd”. A centro pagina il vertice Bankitalia-Governo: “’Ripresa vicina, ormai l’Italia è a un punto di svolta’”. In prima anche un reportage di Adriano Sofri dal Kazakhstan: “Così il regime kazako processa il dissenso”.

 

Il Messaggero: “Il Colle gela le richieste del Pdl. Il centrodestra al Quirinale per riforma della giustizia e revisione della legge sulla incandidabilità. Napolitano: valuto con attenzione ma escludo salvacondotti per Berlusconi dopo la Cassazione”.

 

L’Unità: “Letta: non mi farò logorare. Il premier: il Paese non può permettersi crisi al buio”. In prima anche: “A vuoto la missione Pdl: il salvacondotto non c’è”.

 

Libero: “Operazione salva-Silvio. Berlusconi sceglie la via dell’attesa. Ma i rischi sono tanti. E lui lo sa: sono pronto al carcere. Napolitano al Pdl: ‘Valuto attentamente tutte le proposte’. Sì alla riforma della giustizia”.

 

Il Giornale: “225 milioni: De Benedetti diversamente evasore. L’editore di ‘Repubblica condannato in appello per un enorme danno al fisco. Ha detto: sentenza illegittima. Ma i giudici non l’hanno trattato come Berlusconi”. L’apertura, rubricata con il titolo “trattative”, parla dell’incontro di ieri tra Napolitano e i capigruppo Pdl: “Vertice Pdl-Napolitano. Per Berlusconi si apre uno spiraglio”.

 

Il Fatto quotidiano: “B. ricatta il Colle: ‘Grazia o mi faccio arrestare’”.

 

Politica

 

Ieri i capigruppo del Pdl sono saliti al Quirinale per incontrare il Capo dello Stato, cui avevano chiesto un incontro all’indomani della sentenza di Cassazione che ha condannato Berlusconi: centrale, secondo il Corriere della Sera, “il nodo dell’agibilità politica” del Cavaliere. “Il Colle indica la (difficile) strada parlamentare”, scrive il quotidiano: i capigruppo “hanno illustrato l’idea di far correre la riforma della giustizia (benché non figuri nell’agenda del governo di larghe intese) su un binario parallelo rispetto a quello del riordino istituzionale in modo da ripristinare l’equilibrio tra politica e magistratura”. Quanto ai legali dell’ex premier, Coppi e Ghedini, per evitare la reclusione, punterebbero ad un gesto di clemenza: non la grazia, ma la commutazione della pena, “per non smentire una decisione della magistratura”. Si ipotizza quindi che la pena possa tramutarsi da detentiva a pecuniaria (come accadde nel caso del direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti, condannato per diffamazione) e che tra qualche mese venga modificata anche la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici (pena ancora non passata in giudicato), purché previsto esplicitamente da un decreto presidenziale. Il Giornale titola: “Re Giorgio apre sull”agibilità politica’, “Vertice del ‘disgelo’ con i capigruppo Pdl. Napolitano esclude al grazia, ma non chiude a una soluzione politica” e, di fianco, “Berlusconi aspetta il Quirinale. Spunta l’idea del lodo Sallusti”. Nel ‘retroscena’ del quotidiano si sintetizza così l’esito della lunga giornata di vertici a Palazzo Grazioli: “La tenuta del governo Letta non è in discussione, ma il tema dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi non può essere messo da parte”. Il Corriere della Sera intervista il ministro delle Riforme istituzionali ed esponente di primo piano del Pdl, Gaeteano Quagliariello: “Ci sono tante persone, nel centrosinistra ma anche nel centrodestra, che non amano questo governo. E che aspettano un nostro passo falso per farlo cadere”, dice Quagliariello, rivelando che “domenica scorsa era pronta un’operazione per decretare la fine del governo Letta”. Dice ancora il ministro: “Tutti nel Pdl siamo convinti che dopo la sentenza della Cassazione non si possa far finta di niente. Ma nel Pdl ci sono idee differenti”, io “non accetterei mai di diventare lo strumento di una crisi politico-istituzionale voluta da altri. Ma se mi trovassi in minoranza nel mio partito, non esiterei a dimettermi da ministro un minuto dopo”, dice, ricordando che la decisione che i ministri non dovessero partecipare alla manifestazione di domenica scorsa davanti a Palazzo Grazioli “è stata presa dal gruppo dirigente del Pdl e comunicata direttamente a Berlusconi”.

Per Il Fatto “Napolitano ordina al Pdl: fate i bravi fino a ottobre”, “Brunetta e Schifani falliscono. Berlusconi: senza grazia scelgo il carcere”: “i sospetti dei falchi -scrive il quotidiano- si sono concentrati subito sulle manovre dilatorie del Quirinale. Un attendismo per rimandare la questione all’autunno, chiudendo così la finestra elettorale per il voto anticipato e tenendo allo stesso tempo Berlusconi a bagnomaria, in silenzio, per ottenere ‘l’agibilità politica’”. E domani, ricorda Il Fatto, la giunta per le elezioni del Senato si riunisce per esaminare il caso Berlusconi, ovvero la questione della sua ineleggibilità in quanto concessionario statale. Secondo La Repubblica è probabile un rinvio perché il Pdl potrebbe chiedere subito di convocare innanzi alla giunta il gotha dei costituzionalisti per prendere tempo. E nel frattempo, scrive il quotidiano, i grillini si sono dati da fare ieri a Montecitorio per tentare di cancellare il comma 1 della legge Cirielli che garantisce a chi ha più di 70 anni di non andare in carcere, con un emendamento al cosiddetto decreto svuota-carceri.

Per restare al movimento 5 Stelle, segnaliamo ancora su La Repubblica quello che il quotidiano considera un “dietrofront” di Bebbe Grillo: ieri questo quotidiano aveva riferito di un colloquio che l’ex comico avrebbe avuto in Sardegna con l’ex sindaco di Arzachena, nel corso del quale avrebbe ipotizzato un’apertura ad un governo e ad un’alleanza con il Pd. Ma ieri Grillo ha smentito: “Pdl e Pd-menoelle pari sono. Non c’è alcuna possibilità per me di allearmi né con uno, né con l’altro, né di votargli la fiducia”. Malgrado questo, La Repubblica sottolinea che comunque al Senato vi sarebbero delle divisioni interne al gruppo M5S: il senatore Roberto Cotti avrebbe sollecitato un confronto interno al movimento. Sulla stessa pagina, intervista al presidente grillino della Commissione di vigilanza Rai Roberto Fico: “Il Pd e il Pdl moriranno insieme”. Ma Fico critica anche il capo dello Stato con molta durezza: “Trovo gravissimo che un presidente della Repubblica, dopo la sentenza di condanna a Berlusconi, abbia espresso la volontà di fare una riforma della giustizia e abbia chiesto questo al Parlamento. Secondo noi questo è impossibile. E’ stato un comportamento poco decoroso per la Repubblica italiana”. Per L’Unità i 5 Stelle sono stati “richiamati all’ordine” e un commento in prima pagina di Michele di Salvo ammonisce: “Beppe è coerente. Gli editorialisti si rassegnino”, perché “il nemico” per Grillo è la sinistra.

 

Internazionale

 

I quotidiani si occupano ampiamente della durissima sentenza in Turchia contro 200 persone coinvolte nel cosiddetto golpe Ergenekon. Spiega Antonio Ferrari sul Corriere che i cospiratori, secondo l’accusa, avrebbero compiuto atti violenti e poi tramato per realizzare uno stato laico e rovesciare il regime islamico moderato dell’AKP di Erdogan: “Certo, l’ergastolo che dovrà scontare l’ex capo delle forze armate Ilker Basbug, avversario esplicito del primo ministro Reset Tayp Erdogan, come il carcere a vita inflitto ad altri generali ed ex ufficiali in congedo, potrebbero suonare come una vendetta generalizzata decisa da coloro che intendevano decapitare il vecchio sistema di potere. Un sistema composto, almeno sulla base di questa ricostruzione, da ufficiali, politici di estrema sinistra, intellettuali, avvocati e giornalisti, tra cui il capo dell’ufficio di Ankara del quotidiano laico Cumhuriyet, Mustafa Balbay, condannato a 34 anni”. Il caso Ergenekon nasconde infatti tutte le tensioni che hanno accompagnato il trionfo del partito guidato da Erdogan. Come molte storie eversive, scrive Ferrari, questa ha “un nocciolo sicuro e uno spesso rivestimento alquanto presunto, quindi sospetto”. “Il ritrovamento di armi e munizioni per compiere attentati e azioni violente è un dato accertato”, “ma ora c’è chi ritiene che i presunti golpisti sarebbero addirittura i mandanti dell’assassinio del giornalista armeno Hrant Dink, con l’obiettivo di attribuirlo ad ambienti governativi”.

La Repubblica, Marco Ansaldo: “Turchia, il pugno di Erdogan contro giornalisti e militari”, “ergastolo per un generale, la vendetta contro gli oppositori”. Dove si legge: “I militari e la stampa, due poteri tra i più forti in Turchia, sono ormai sotto il tacco di Erdogan. Il pugno del primo ministro, sempre più allergico alle critiche, e accusato ora anche dall’estero di avere una agenda islamica nascosta, si abbatte contro tutti coloro che gli si oppongono”. Va ricordato che su 275 imputati ne sono stati assolti soltanto 21. Secondo Ansaldo a farne le spese ora è soprattutto la stampa: l’atmosfera si è avvelenata anche dopo la repressione del movimento di piazza Taksim, una serie di nomi importanti della professione giornalistica, come quello dell’editorialista di Milliyet, Hasan Cemal, hanno dovuto lasciare il lavoro.

Anche La Stampa, con Marta Ottaviani, sottolinea che la sentenza arriva nel momento meno opportuno: la Turchia non è ancora uscita dal clima di protesta contro l’esecutivo innescata dalle manifestazioni per Gezi Park e il primo ministro sta faticando ad acquistare consensi.

Restiamo a La Stampa per una corrispondenza da New York, dedicata alla situazione in Egitto: è in missione il vicesegretario di Stato William Burns, “veterano delle missioni più ardue, come il dialogo segreto con Teheran”: “Washington spinge gli islamisti al tavolo con i generali egiziani”, titola il quotidiano. Burns ha incontrato in cella i leader dei Fratelli Musulmani, ha visto il generale Al Sissi, dal quale avrebbe ottenuto il via libera alla mediazione con la Fratellanza, infuriata per il rovesciamento del presidente Morsi da parte dei militari. Burns ha creato una task force di mediatori internazionali, composta dai ministri degli esteri di Qatar, Emirati Arabi Uniti, e dall’inviato della Ue. Con loro si è recato nel carcere militare in cui è detenuto Khairat el-Shater, il più importante leader politico dei Fratelli musulmani. In seguito ha incontrato un altro leader islamico detenuto, El Khatani: entrambi fanno parte di un ristretto gruppo di dirigenti della Fratellanza di cui i militari hanno annunciato l’imminente processo ma Burns – scrive La Stampa – cerca di trasformarli in interlocutori di una difficile transizione.

 

L’Unità torna sull’allerta attentati che ha portato l’amministrazione Obama ad ordinare, domenica scorsa, la chiusura di 22 tra ambasciate e consolati Usa e scrive che “il prossimo attentato terroristico potrebbe essere fatto con ‘bombe impiantate chirurgicamente nel corpo dei kamikaze’ non rilevabili nei metal detector di aeroporti e ambasciate. Il Dipartimento di Stato ha deciso di prolungare fino al 10 agosto la chiusura di diverse missioni diplomatiche in Medio Oriente e in Africa. Tutti gli analisti puntano il dito contro lo Yemen: l’Ambasciata britannica qui rimarrà chiusa per l’intera settimana, e la Francia ha deciso di prolungare la chiusura della propria missione fino alla fine del ramadan. Anche l’Italia ha deciso di chiudere la sede nello Yemen. Alle origini di questa decisione le intercettazioni in cui diversi terroristi di Al Qaeda parlano di attacco terroristico imminente di “grandi dimensioni”. E al centro di questa tensione c’è Al Qaeda nella Penisola Arabica (AQPA): è nata ufficialmente nel 2009 dalla fusione delle correnti qaediste yemenite e saudite.

Anche Il Foglio si occupa in prima pagina del “più grande allarme” dopo l’11 settembre. Spiega che ieri cinque ambasciate Usa hanno riaperto: Badhad, Kabul, Algeri, Nouakchott e Dakka. E riferisce che ilWashington Post ha notato come questo allerta terrorismo arrivi “al momento opportuno” per la NSA, che è al centro di critiche durissime per i programmi di sorveglianza che minacciano la privacy di milioni di americani. Come se si volesse giustificare con il rischio terrorismo le intrusioni del governo: “ma c’è un accordo bipartisan per cacciare questo retropensiero: dice il senatore Rep King, un critico accanito dell’Amministrazione Democratica, che in questo caso non c’è esagerazione, la minaccia non è stata amplificata per far fare bella figura alla Nsa. E’ da pazzi sostenere che c’è una cospirazione. Il governo sarebbe stato totalmente negligente se non avesse fatto quel che ha fatto”, ha detto King. L’allarme per le ambasciate americane coincide con la nomina recente di Nasir Al Wuhayshi, conosciuto come Abu Basir, capo yemenita di Al Qaeda nelal Penisola Arabica, con l’incarico di numero 2 della intera organizzazione, appena sotto l’egiziano Al Zawairi, che si ritiene sia nascosto in Pakistan. Insomma, il settore yemenita di Al Qaeda avrebbe preso il posto della vecchia leadership per efficienza e pericolosità.

 

Su La Repubblica segnaliamo alle pagine R2 il racconto di Adriano Sofri in Kazakhstan, dove il presidente Nazarbayev “mette sotto processo l’opposizione”: dal caso Ablyazov a quello del più famoso prigioniero politico del Paese, l’oppositore Vladimir Kozlov. Proprio ieri la massima Corte del Kazakhstan ha confermato la condanna a 7 anni e mezzo per istigazione all’odio e alla violenza nei confronti di Kozlov: l’episodio si riferisce alla lotta degli operai del petrolio nella città di Zhanaozen del 2011, che durò sette mesi, passò attraverso il licenziamento in tronco di 2000 lavoratori e culminò in una sparatoria della polizia che fece – secondo le fonti ufficiali – 17 vittime. La Corte ha dichiarato infondata la richiesta di revisione del processo.

 

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