Attacco al terrore islamista

Il Corriere della Sera, da oggi nel nuovo formato tabloid: “Le bombe di Obama sui terroristi. Attacco all’Isis. Colpito il Califfato con gli aerei e i missili dalle navi. ‘Progettavano attentati contro l’Occidente'”. “Raid in Siria con gli alleati arabi. Il presidente Usa: non è una guerra soltanto americana”. Alla “nuova dottrina di Barack” è dedicata una analisi di Massimo Gaggi, mentre Pierluigi Battista si occupa del “nostro impegno, a metà”.
In evidenza anche una “esclusiva” del quotidiano milanese: “La grande truffa dell’Iva in Italia per finanziare i gruppi islamici”
A centro pagina una conversazione di Aldo Cazzullo con Piero Grasso: “Grasso al premier: sulla giustizia stai sbagliando”. L’editoriale, firmato dal direttore De Bortoli, è dedicato a Renzi. “Il nemico allo specchio. Renzi tema soprattutto se stesso”.
A fondo pagina: “Il vescovo arrestato con il sì del Papa”. “Il polacco Wesolowsky è accusato di pedofilia: da ieri ai domiciliari in Vaticano”.

La Repubblica: “Obama sferra l’attacco in Siria, ‘Sventato un attentato agli Usa’”, “Pesanti raid insieme con gli alleati arabi. Colpita anche Khorasan, nuova sigla del terrore”.
A centro pagina, foto dell’ex nunzio Wesolowski, arrestato in Vaticano: “Bergoglio fa arrestare in Vaticano il vescovo accusato di pedofilia”.
In apertura a sinistra, il richiamo all’intervista del quotidiano al ministro dell’Economia: “Padoan: manovra per la ripresa, non per il deficit”, “Cruciale per noi la riforma del lavoro’”, “Sette emendamenti dalla minoranza Pd”.

La Stampa: “’Stavano per colpire l’Europa’”, “Primi raid Usa in Siria contro l’Isis e un gruppo terroristico vicino ad Al Qaeda”.
Sotto la testata: “Pedofilia, arcivescovo arrestato in Vaticano”, “’Fatti gravi, decisivo il via libera del Papa’”.
In taglio basso: “Lavoro, nel Pd la fronda dei 40”, “I dissidenti: articolo 18 dopo tre anni di impiego”, “Bersani attacca Renzi: ‘Governa col mio 25%, mi deve rispetto”.
E il quotidiano richiama in prima l’intervista al ministro della Pubblica Amministrazione: “Madia: il reintegro per i miei coetanei superato dai fatti”.

Il Fatto quotidiano: “Miracolo in Vaticano: Francesco fa arrestare l’arcivescovo pedofilo”.
In evidenza ancora la votazione andata a vuoto per i due giudici della Corte costituzionale ieri in Parlamento: “Bruno indagato e bruciato. Grosso guaio per Renzusconi”. Il quotidiano intervista lo stesso Donato Bruno, che dice: “Colpa del Fatto, è giustizia ad orologeria: io non mollo. Previti non mi ha fatto nemmeno una telefonata”.
In taglio basso, attenzione per il ministro della Giustizia: “Autoriciclaggio: Orlando sgambetta Boschi&Ghedini”, “Pronto il disegno di legge sulla criminalità economica, che scavalca il Patto del Nazareno. Torna il reato di falso in bilancio”.
Sulla riforma del lavoro: “Jobs Act, Matteo minaccia: ai dissidenti niente ricandidatura”.

Il Giornale: “Renzi senza maggioranza. Quaranta senatori Pd firmano 7 emendamenti: o cedono loro o cede il premier. Bersani torna ad attaccare a testa bassa”. E poi: “Rivoluzione alla Cisl, Bonanni lascia”.
A centro pagina: “Un terrorista sbarcato coi clandestini si aggira indisturbato per l’Italia”.
In prima anche un richiamo sui raid in Siria: “Via alla guerra contro l’Isis”.
A fondo pagina: “Il Papa fa arrestare un arcivescovo in Vaticano. Francesco dà il via libera. In manette l’ex nunzio Wesolowsky”.

Il Sole 24 Ore: “Un piano del governo per il Tfr in busta paga”. “Metà delle nuove liquidazioni subito in busta paga ai lavoratori, l’altra metà alle imprese”. “Legge di stabilità attorno ai 15 miliardi. Irap ridotta”.
A centro pagina: “Fs, via alla privatizzazione. Oggi riunione al ministero dell’Economia con i vertici delle Ferrovie e le banche d’affari. Advisor al lavoro anche per il collocamento del 5 per cento di Enel”.

Attacco al terrorismo

La Repubblica: “Siria, tempesta di missili sui jihadisti. Gli Usa :’Volevano colpirci’”, “I raid compiuti con cinque Paesi arabi contro l’Is, al Nusra e le milizie Khorasan. Obama: ‘Non è una guerra solo americana’”. È la corrispondenza dagli Usa di Federico Rampini. Mentre Alberto Stabile focalizza l’attenzione sul bombardamento di Raqqa, considerata la roccaforte più importane dell’Isis in Siria: “Fuoco su Raqqa, da simbolo dell’Islam a capitale del terrore”. Vittorio Zucconi dedica la sua analisi al presidente Obama, che “diventa guerriero”: “’Dietro mio ordine’”, questo è stato l’esordio del discorso con cui ha annunciato, nella veste di comandante supremo, l’attacco aereo. Nel sesto anno della sua presidenza, “è nato l’Obama guerriero”.
La Repubblica intervista l’ex ministro degli Esteri Dominique De Villepin, che nel 2003 pronunciò alle Nazioni Unite un famoso discorso per motivare il ‘no’ della Francia all’attacco all’Iraq. Ed ora contesta il ruolo del suo Paese nella lotta contro l’Isis: “Usa e Francia sbagliano – dice – contro il terrorismo non basta bombardare”. La Francia non dovrebbe partecipare ai raid? “L’Is costituisce una tripla minaccia: per l’Iraq e Siria con le sue basi, per il Medio Oriente ravvivando lo scontro fra sunniti e sciiti e per il mondo intero, attraendo jihadisti da ogni dove. Ma la costituzione di una coalizione militare dominata dagli Stati Uniti è un approccio controproduttivo e pericoloso. È un modo di legittimare l’Is come avversario credibile e tende ad unire gruppi terroristici fino ad oggi ostili e concorrenti”. L’Occidente può rispondere senza armi? “Bisogna uccidere per asfissia politica l’Is, dissociando l’organizzazione dalle élites locali, capi di tribù o quartieri”, “bisogna anche prosciugare il flusso di nuove risorse, soldi, uomini, attraverso una battaglia su Internet contro i predicatori di dio”. E sul piano militare? “La strategia di asfissia deve essere accompagnata da un contenimento militare, con raid su alcune postazioni e sulla linea del fronte, in Kurdistan e in Giordania, ma organizzati dalle forze militari dei Paesi vicini”.
Sullo stesso quotidiano, lo scenario tracciato da Bernardo Valli: “Gli alleati arabi e la mano dell’Iran, quello strano patto che piace ad Assad”, “Damasco è soddisfatta per i raid, Teheran, solo apparentemente, è esclusa dai giochi: in realtà guida milizie sciite che godono dell’appoggio aereo Usa e si muovono in sintonia con i vertici di Riad, la potenza campione dei sunniti”.

Su La Stampa, ad occuparsene è Maurizio Molinari, con un’intera pagina dedicata alla “coalizione anti-Isis”: “La realpolitik delle alleanze. Così Iran e Arabia saudita hanno superato le rivalità”, “La minaccia jihadista ha spinto al dialogo potenze regionali nemiche. Ecco come con Usa ed Europa ora si dividono i compiti nell’operazione”. Molinari racconta anche come il Qatar, che fa parte della coalizione, sembra aver voltato le spalle ai Fratelli Musulmani: sette giorni fa Doha ha congedato 7 membri della Fratellanza egiziani, accolti dopo il defenestramento del presidente Morsi. La rivalità intra-sunnita tra Riad e Qatar (più Turchia) è finita? E in che squadra gioca il presidente turco Erdogan? Molinari dsscrive questo Paese come “un jolly ambiguo”: da quasi subito al fianco dei ribelli anti-Assad, poi si è ritrovata dalla parte dell’Isis, con cui pare abbia negoziato uno scambio di prigionieri, dopo la cattura di 49 ostaggi turchi.

Sul Corriere Lorenzo Cremonesi scrive che il bilancio del primo giorno di raid Usa contro i gruppi jihadisti in Siria resta “confuso”. Sarebbero morti 120 guerriglieri, i feriti sarebbero 300. Si ricorda che l’obiettivo dell’azione militare Usa è Raqqa, dove lo Stato islamico ha i suoi “tribunali islamici”, dove ci sono “le celle degli ostaggi occidentali”, dove i terroristi avrebbero condotto le donne yazide schiavizzate. Cremonesi spiega anche che il “secondo gruppo di estremisti sunniti” colpito ieri da almeno otto raid è quello noto come Khorasan, poco noto, secondo la Cia molto pericoloso. Sarebbe questo il gruppo che progettava attentati contro l’Occidente. L’intelligence temeva l’uso di bombe su aerei. Il terzo gruppo colpito è quello di Al Nusra. Ma gli americani “non lo menzionano” nei loro comunicati, “forse per non creare attriti con gli alleati arabi”, con Arabia Saudita e Qatar, noti per aver finanziato Al Nusra.
Ancora sul Corriere, articolo di Massimo Gaggi: “Così Obama ha riscritto la sua ‘dottrina’. Il presidente ha sottolineato il ruolo degli alleati arabi. Ma contro l’Isis ha dispiegato tutta la potenza Usa”. Si ricorda che l’altra notte “il grosso dello sforzo militare” è stato sostenuto dagli Usa, “ma anche i simboli contano”. Inoltre, la scelta di colpire “forse con maggiore durezza” rispetto all’attacco all’Isis il gruppo Khorasan dimostra che gli Usa “si riservano il diritto di intervenire militarmente” senza preavviso se ritengono ci sia una “minaccia concreta e grave” nei loro confronti.

Secondo Alberto Negri sul Sole 24 Ore, quella iniziata ieri è “una strategia senza una precisa road map”, dove si ricorda che a margine dell’Assemblea generale Onu Obama incontrerà a New York Erdogan, mentre il premier britannico Cameron incontrerà il presidente iraniano Rohani. La Turchia non partecipa alla coalizione militare, ed ha centinaia di migliaia di profughi sul suo territorio, oltre ad essere considerata responsabile del passaggio di migliaia di jihadisti verso la Siria nelle scorse settimane. L’Iran è schierato contro il Califfato, ma gli iraniani sono esclusi dalla coalizione e con la Russia contestano la legalità dell’attacco militare.

Inchieste

Una inchiesta del Corriere della Sera, firmata da Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella, si sofferma su un presunto “traffico di certificati ambientali”, quei “carbon credit” utilizzati da aziende e Stati per scambiare sul mercato telematico quote di emissione di CO2, secondo il Trattato di Kyoto. Una “gigantesca frode fiscale” servita “a finanziare anche il terrorismo islamico”. L’organizzazione criminale acquistava in Germania, Francia, Gran Bretagna e Olanda i “certificati ambientali”, e – tramite altre società fittizie – li rivendevano con l’aggiunta dell’Iva, che per questi crediti è esclusa. In Italia la frode sarebbe di 660 milioni, 38 sono gli indagati e 11 i ricercati. Secondo i servizi segreti americani questa frode avrebbe anche finanziato attività terroristiche, visto che i soldi finivano a Cipro, Hong Kong, Dubai ed Emirati Arabi.

Su Il Giornale si racconta di un “terrorista” sbarcato in Italia “con i clandestini” e “scomparso nel nulla”. “L’uomo è arrivato qualche settimana fa sulle coste della Sicilia”, su una imbarcazione stipata fino all’inverosimile di disperati alla ricerca di una chance”. Ha detto che era siriano, e per i siriani “scatta la trafila che porta all’asilo per ragioni umanitarie. Insomma, hanno una corsia preferenziale”. Il ragazzo aveva “una barba folta”, come gli estremisti islamici, e aveva “un grosso callo sulla mano destra”, segno di “familiarità con i mitra e i fucili”. Il giovane forse era palestinese. Se n’è andato dal centro in cui stava e “oggi nessuno sa dove sia. Anzi, per dirla, tutta, non si nemmeno il suo nome”. Forse è un miliziano di Hamas, o “potrebbe anche appartenere alla galassia delle formazioni che ritengono Hamas un movimento troppo moderato. E non si può escludere che sia arrivato in Italia per organizzare un attentato contro un obiettivo ebraico”, scrive il quotidiano.

Papa

Le pagine 2 e 3 de La Repubblica sono dedicate all’arresto dell’ex nunzio polacco Wesolowski, “fedelissimo di Wojtyla”: “è la prima volta nella storia che un prelato viene arrestato in Vaticano. Con il permesso, anzi l’autorizzazione diretta, del Papa”, scrive Marco Ansaldo, ricordando che già nel giugno scorso l’arcivescovo era stato ridotto allo stato laicale. Alle cinque del pomeriggio di ieri gli uomini della Gendarmeria lo hanno preso in consegna e lo hanno accompagnato nei locali del Collegio dei penitenziari, dove resterà agli arresti domiciliari fino al processo. Gli è stato risparmiato il carcere per ragioni di salute. Il prelato è accusato di aver adescato ragazzini su una spiaggia di Santo Domingo, dove è stato nunzio dal 2008 al 2013, pagandoli per fare sesso. L’arresto, secondo quanto ha riferito il direttore della Sala stampa vaticana, Padre Federico Lombardi “è conseguente alla volontà espressa dal Papa, affinché un caso così grave e delicato venga affrontato senza ritardi, con il giusto e necessario rigore, con assunzione piena di responsabilità da parte delle istituzioni che fanno capo alla Santa Sede”.
Sulla stessa pagina, Paolo Rodari ricorda le parole pronunciate da Papa Bergoglio lo scorso 7 luglio: “Chiedo perdono per i preti pedofili: hanno profanato la stessa immagine di Dio”, “mi impegno a non tollerare il danno recato ad un minore da parte di chiunque, indipendentemente dal suo stato clericale”. Molto era cambiato già dal dicembre scorso, sottolinea ancora Rodari sottolineando che allora il Papa nominò i primi otto componenti della Commissione anti-pedofilia chiamando al suo interno anche una vittima di abusi, l’irlandese Marie Collins. Ma si ricorda che che la fine dell’immunità è arrivata anche sulla scia della denuncia fatta da Papa Ratzinger sulla “sporcizia nella Chiesa”.
Il quotidiano intervista Monsignor Mogavero, che definisce questa decisione “un gesto clamoroso”, perché il prelato arrestato “è una persona importante”: “in tempi passati la Chiesa usava un trattamento diverso”, “il fatto che a muoversi sia stato il Papa dice che la linea della tolleranza zero inaugurata da Ratzinger è oggi fattiva”.

Su La Stampa, se ne occupa Andrea Tornielli: “Non ci sono più privilegi per la ‘casta’ clericale’”, “’Un fascicolo impressionante’. Così è nata la svolta di Francesco”. Raccontano che Papa Bergoglio sia rimasto impressionato leggendo il fascicolo del caso. E Iacopo Scaramuzzi ricostruisce la vicenda: “Quegli adescamenti a Santo Domingo. Incastrato dall’Onu”, “Fedelissimo di Wojtyla, poi una lunga carriera”. Dove si legge delle denunce nei confronti di Wesolowski delle autorità domenicane e poi di quelle polacche: ben due comitati delle Nazioni Unite – per i diritti dei fanciulli e contro la tortura – mettono sotto esame il Vaticano e, in particolare per questo caso in quanto il prelato è dipendente diretto della Santa Sede.

Su Il Fatto, Marco Politi: “La rivoluzione francescana: impunità addio”. È “il pontefice-gendarme”. L’arresto renderà ancora più rabbiosa l’opposizione conservatrice al Papa. Una volta processato, si aprirà il problema di dove tenere incarcerato il prelato: non è escluso che possa finire in Polonia, perché un carcere il Vaticano non lo ha più.

La Stampa intervista il costituzionalista Francesco Clementi, che dice, della decisione del Papa: “Un gesto fortissimo, da vero monarca”.

Il Giornale ricorda che ogni anno ci sono “600 denunce contro i preti”. Il picco di denunce è stato nel 2004, con 800 denunce tra America Latina, Usa, Europa. In maggioranza si tratta di abusi commessi fino a metà degli anni ’80.

Renzi

Ferruccio de Bortoli firma l’editoriale del Corriere, e dice: “Devo essere sincero: Renzi non mi convince. Non tanto per le idee e il coraggio: apprezzabili, specie in materia di lavoro. Quanto per come gestisce il potere. Se vorrà veramente cambiare verso a questo Paese dovrà guardarsi dal più temibile dei suoi nemici: se stesso. Una personalità egocentrica è irrinunciabile per un leader. Quella del presidente del Consiglio è ipertrofica. Ora, avendo un uomo solo al comando del Paese (e del principale partito), senza veri rivali, la cosa non è irrilevante”.
Il Corriere offre anche una intervista a Pietro Grasso, presidente del Senato: “La riforma della giustizia non si può fare contro i magistrati. Gli arbitrati non funzionano; meglio limitare appello e ricorsi in Cassazione”. Le ferie? “Un falso problema”. “C’è la tendenza a concentrare il dibattito su elementi di consenso popolare immediato, perdendo di vista la complessità delle riforme. Il consenso è importante; ma poi i testi vanno discussi e votati dalle Camere”. “La magistratura viene raffigurata come una classe che ha potere e privilegi; ma ci sono giudici che non hanno neppure l’ufficio, lavorano a casa. In realtà, la magistratura non può avere consenso, perché è destinata a scontentare sempre qualcuno: l’imputato, i suoi familiari, i suoi avvocati. Anche nel civile, c’è sempre una parte che perde. La prova sono i regali di Natale. I burocrati li ricevono, i politici pure. I magistrati, almeno quelli che conosco io, no”. Come si riforma la giustizia? “È fondamentale riformare i motivi del ricorso in Cassazione, che troppo spesso oggi viene fatto per ritardare i tempi. Si possono poi semplificare le motivazioni, che altri Paesi non hanno o sintetizzano in forme estremamente concise; mentre in Italia il difetto di motivazione è una delle cause del ricorso in Cassazione, che così diventa un terzo grado di giudizio di merito”. Va eliminata l’obbligatorietà dell’azione penale? “No, ma la si può rivedere ad esempio per tenuità dei fatti”. A Renzi dice – sul caso Eni – che “bisogna considerare che c’è anche un orologio della giustizia, tempi da rispettare, e convenzioni internazionali sulla corruzione cui l’Italia ha aderito”.

Articolo 18

La Stampa intervista il ministro della Pubblica amministrazione: “Madia: per la mia generazione il reintegro è superato dai fatti”, “I nuovi assunti senza articolo 18? Si capirà dai decreti attuativi”, “quello che io non vorrei più vedere è che ci siano persone che fanno lo stesso lavoro con contratti diversi”.

Il Sole 24 Ore intervista Filippo Taddei, responsabile economia del Pd. “Tutele e flessibilità nella riforma”, il titolo. Si cita Forrest Gump: “La riforma del mercato del lavoro non è una scatola di cioccolatini in cui tu scegli quelli che ti piacciono e lasci gli altri: la riforma del lavoro è un pezzo unico che si tiene tutto insieme. Quel progetto unitario è fatto di tre pezzi: come estendere la tutela nella disoccupazione, come formare i lavoratori italiani e infine come favorire il lavoro stabile”. Taddei dice che sull’articolo 18, alla parola abolizione preferisce “aggiornamento”. La reintroduzione della reintegra dopo tre anni di prova è una proposta, ma “la riforma del mercato del lavoro si tiene tutta insieme”. E “l’idea è introdurre un indennizzo monetario. Lo vogliamo rendere graduale, proporzionale all’età lavorativa. Anche in questo senso si parla di contratto a tutele crescenti. Invece di creare uno scalino, così com’è con l’articolo 18, si crea un percorso dove il lavoratore più anziano ha più tutele di quello più giovane, anche se il lavoratore giovane è comunque più tutelato che non con i contratti a tempo, che non hanno un costo di separazione”. Poi – dice Taddei – “estendiamo l’assegno di disoccupazione ai lavoratori che ora non ne hanno diritto, glielo diamo in maniera automatica, ma in cambio chiediamo l’impegno attivo del lavoratore nella formazione, e naturalmente l’obbligo di accettare una congrua offerta di lavoro. Altrimenti si perde il sussidio”. Due miliardi o molti di più: Taddei dice che comunque le risorse per coprire tutti coloro che oggi non hanno strumenti di sostegno al reddito si troveranno”.
Lo stesso quotidiano dà conto dei sette emendamenti firmati da una trentina di senatori Pd. “Garantire la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori – con il diritto alla reintegra in caso di licenziamento illegittimo – ai nuovi assunti con contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, a partire dal quarto anno. Promuovere il contratto a tempo indeterminato come ‘forma contrattuale privilegiata’, rendendolo progressivamente più conveniente rispetto alle altre tipologie. Introdurre alcuni paletti alla revisione della disciplina delle mansioni e dell’inquadramento, e all’utilizzo dei voucher”. In tutto, al ddl delega, sono stati presentati 750 emendamenti – circa 450 da Sel, una quarantina dal Pd.

La Repubblica: “Renzi, altolà alla minoranza Pd, ‘Pronto allo scontro, se vogliono’. E rispunta l’ipotesi del decreto”, “L’opposizione interna presenta 7 emendamenti in difesa dell’articolo 18. L’attacco di Bersani: ‘Matteo governa col mio 25%, mi deve rispetto’”. La pagina seguente ospita un’intervista all’ex segretario Cisl Pierre Carniti: “Sindacato troppo diviso, lascia spazio al governo”, “a Renz conviene fare la voce grossa con i sindacati. Un atteggiamento per piacere a certi establishment italiani ed europei” che “gli dà visibilità presso l’opposizione”, “la novità è che la riforma la fa l’esecutivo da solo. L’articolo 18 non c’entra”.

Il Fatto: “Minaccia renziana: ‘Jobs Act o dite addio al Parlamento’”. Con un’intervista a Cesare Damiano, esponente della minoranza e presidente della Commissione Lavoro della Camera: “Questo non è il congresso Pd. Serve un’intesa”, dice, convinto che il reintegro debba restare.

Da segnalare oggi su Avvenire una intervista a Raffaele Bonanni, che lascia la Segreteria Cisl per “favorire il rinnovamento”, e che dice: “Sì alla riforma dell’articolo 18 se cancella la precarietà”. Dà per scontato che a succedergli sarà Annamara Furlan, oggi segretario generale aggiunto.

Draghi

Sul Sole 24 Ore Carlo Bastasin (“Cento giorni per rimettere in rotta la barca Italia”) torna a parlare del “modesto risultato” dell’ultima iniezione di credito della Bce, che ha indotto molti a pensare che “si stia avvicinando il momento in cui la Banca centrale europea debba ricorrere all’acquisto di titoli sovrani dell’area euro. Sarebbe un errore pensare che l’eventuale intervento della Bce sia il capolinea delle preoccupazioni italiane e che sia sufficiente galleggiare fino ad aggrapparsi a quel salvagente”. Ma – spiega Bastasin – la debole domanda di credito si spiega soprattutto con la debole attività manifatturiera. Come dimostra una recente analisi di Lorenzo Bini Smaghi “la domanda di fondi delle banche europee resterà modesta nel medio termine”, ed è chiaro che questo comporterà “una riduzione tendenziale delle dimensioni del bilancio della banca centrale”. E oggi “l’unico modo di riportare il bilancio della Bce alle dimensioni del 2012 sarebbe di acquistare titoli di Stato, altrimenti l’impronta della politica monetaria resterebbe ancora restrittiva in una fase di prezzi calanti e lontani dall’obiettivo del 2%”. Le obiezioni giuridiche all’acquisto di titoli sovrani da parte della Bce sono note (finanziamento indebito agli Stati), e sono note quelle politiche, a partire dai problemi di Merkel con la formazione “Alternativa per la Germania”, anti-euro. Perché siano superabili, “è necessario che l’Italia si presenti in condizioni coerenti prima dell’acuirsi della crisi. Un Paese incapace di tagliare la spesa e fare le riforme renderebbe insormontabili le obiezioni politiche e quelle giuridiche”. I “cento giorni” di cui si parla sono quelli che l’Italia ha fino a dicembre.

La Repubblica intervista il ministro dell’Economia: “Padoan avverte Ue e Bce: ‘La priorità dell’Italia non è ridurre il deficit, tagliare il debito sarà difficile’”, dice. “La legge di Stabilità terrà conto del fatto che il quadro è deteriorato e questo complica il rispetto dei vincoli Ue”, “Sbaglia Berlino quando dice che non si devono dare margini all’Italia, altrimenti non fa le riforme”. E, facendo riferimento al calo dello spread, dice che “il nostro sforzo di bilancio e le nostre politiche sono valutati positivamente dai mercati”. Sottolinea che “c’è una recessione lunga che si è aggiunta a due decenni di perdita di competitività”. Il governo, dice Padoan, sta facendo uno sforzo basato su tre pilastri: “il primo riguarda le riforme strutturali e in particolare quella del lavoro. Le altre sono importanti, questa è cruciale. Il secondo è un risanamento favorevole alla crescita, cioè misure volte ad abbattere i costi per le imprese derivanti dal cuneo fiscale sul lavoro, tramite tagli di spesa. Il terzo è un sostegno agli investimenti soprattutto privati, ma non solo, con la semplificazione delle regole, ad incentivi che si autofinanziano e altro”.

Secondo un altro articolo sul quotidiano di Confindustria “si avvicina la mossa Bce”, “l’arma nucleare dell’acquisto di titoli pubblici”.

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