Ascesa e caduta di Mister B
20 anni che meritano un “ismo”

In qualsiasi modo si scelga di interpretare il ritorno in scena di Forza Italia, (la famosa farsa di abusata marxiana memoria, o, al contrario, una astuta e inevitabile mossa politica) è impossibile ignorare l’eredità storica e l’influenza cumulativa del ventennio berlusconiano sulla storia politica italiana. Se è presto per tracciare bilanci (gli aereoplanini promozionali sui litoranei vacanzieri della Penisola sembrano suggerire che l’avventura del Cavaliere non è ancora alle battute finali, almeno nelle sue intenzioni), si può però tentare un’analisi del berlusconismo nel suo complesso. Del suo successo contingente, delle sue ragioni storiche e politiche più peculiari e profonde.

È lungo queste direttrici che si muove l’analisi di Giovanni Orsina nel suo recente volume.

Il saggio mira a descrivere il berlusconismo come progetto politico organico, al di là degli aspetti comunicativi e organizzativi. A passare sotto la lente dello storico, più che la forma peculiare del partito personale su cui molti analisti si sono già soffermati, è l’ideologia berlusconiana. È il cuore della proposta (definita ipo-politica da Orsina) che trova la propria ragion d’essere in quella “disperata rincorsa alla “normalità” “ che, nelle parole dell’autore, costituisce l’essenza della storia dell’Italia unita.

Non a caso il Berlusconismo, nell’analisi di Orsina, è visto insieme come frutto della peculiarità italiana, (autobiografia della nazione, per dirla con Gobetti) e tentativo (fallito, precisa l’autore) di risolvere quello stato di infelicità pubblica che può essere considerato, in estrema sintesi, il cuore della specificità storica e politica del nostro Paese.
È proprio da questa questione italiana che si parte, in una prospettiva storica e comparativa. Dal giacobinismo pedagogico delle prime classi dirigenti liberali, in primis, il cui approccio ortopedico al problema del rapporto tra Paese reale e Paese legale si è tradotto in un forzato tentativo di modernizzazione e raddrizzamento attraverso strumenti tipicamente politici.

Un approccio rieducativo, ripropostosi in età repubblicana, che, però, ha avuto come conseguenza paradossale la sostituzione, nei fatti, delle finalità pedagogiche con la difesa e la promozione degli interessi particolaristici, “la conferma e l’irrobustimento della segmentazione del paese in clan chiusi, autoreferenziali e l’un contro l’altro armati”. Una “divisività ideologica”, lungi dall’essere attenuata nelle fasi di politica repubblicana, e che anzi ha finito per garantire ai partiti politici un altissimo “grado di penetrazione nelle istituzioni pubbliche e di controllo sulle dinamiche sociali e politiche”, in cui l’azione politica ha trovato la propria ragion d’essere nella continua e spossante mediazione e soddisfazione di interessi particolaristici.

Il fine ultimo del progetto ortopedico, quella modernizzazione a tappe forzate di un Paese affetto da ritardo e disomogeneità materiale, culturale e ideologica, è così perseguito, secondo Orsina, “attraverso uno strumento pre-moderno”.
Si è infatti perennemente (e inutilmente) cercato, e qui il riferimento teorico di Orsina è Karl Popper, di elaborare una risposta alla domanda platonica “Chi governa?” anziché a quella popperiana “Come possiamo organizzare le istituzioni politiche in modo da impedire che i governanti cattivi o incompetenti facciano troppo danno?”. Si è ritenuto, in sostanza, che “individuare una illuminata élite modernizzante fosse prioritario rispetto all’elaborazione delle procedure atte a limitarne gli eventuali abusi”.

In questo modo le regole e le istituzioni, lungi dall’acquisire una legittimità propria, hanno finito per servire l’interesse politico delle parti, determinando una crescente sfiducia dei cittadini nel ruolo della politica prima e dei partiti poi. A questo, scrive Orsina, si devono aggiungere alcune ragioni storiche sovranazionali e non: la fine della Guerra Fredda in primis, che aveva svolto un fondamentale ruolo di stabilizzazione del sistema pluralista-polarizzato, la persistenza, a destra, di una larga fascia di elettorato anti-antifascista che non trovava espressione nei partiti dell’arco parlamentare. Una fascia molto ampia, la cui rappresentanza era stata canalizzata in seno alla DC in virtù delle contingenze internazionali da un lato e, dall’altro, a causa dello spostamento del baricentro ideologico verso l’antifascismo, slittamento che secondo Orsina è da imputare al centrosinistra che ha compresso insieme e delegittimato le varie destre, privando gli elettori di destra di cultura, visibilità e rappresentanza.

Queste, in sintesi, le radici del berlusconismo: che attecchisce in un preciso momento storico, all’indomani del crollo di un sistema partitico che ha fallito proprio in quella tensione etica di cui aspirava a essere interprete e latrice, nella scia di entusiasmo dell’enrichissez-vous dell’era Thatcher e Reagan, presso un elettorato sempre più scettico e privo di interesse e fiducia nella politica tradizionale e nell’autorità dello Stato in generale.
Non a caso, secondo Orsina, è proprio sulla frattura ipo-politica/iper-politica che si politicizza il conflitto bipolare destra/sinistra dopo la caduta del Muro di Berlino. Ed è proprio facendo leva su una retorica ipo-politica (qualcun altro non esiterebbe però a definirla tipicamente anti-politica, o populistica), che Berlusconi ha innestato il proprio progetto ideologico. Riuscendo nell’impresa paradossale di convogliare nella forma apodittica e iperbolica della politica della fede (e qui il riferimento è a Oakeshott) il voto di un elettorato scettico. E lo ha fatto sdoganando, interpretando e dando voce e legittimità a una categoria sociale, che Orsina identifica nello scettico, che si esaurisce solo in parte in quell’“italiano medio” particolarista e antipolitico, irrimediabilmente affetto da familismo amorale e albertosordisimo, che molti autori hanno identificato come elettorato esclusivo di Berlusconi.

Il berlusconismo, in sintesi, non ha sanato la frattura storica tra Paese legale e Paese reale, tra élite e società civile, ma l’ha cristallizzata invertendone il paradigma polarizzato che ne era alla base. Così al giacobinismo pedagogico di una élite illuminata (o sedicente tale) ha contrapposto il mito archetipico di una società civile perfetta così com’è, le cui mancanze non sono più da imputare, gobettianamente, a quell’“infanzia (decisiva) che segna il trionfo della facilità, della fiducia, (dell’ottimismo), dell’entusiasmo”, bensì, all’inadeguatezza della classe dirigente politica di professione e alle intrusioni di uno Stato padrone che deve essere ridotto al minimo.

Ed è nella teorizzazione dell’assoluta positività della società civile che, agli occhi dell’autore, si situa la cesura più profonda rispetto al passato del progetto berlusconiano. Su questa positività si fonda quell’emulsione di populismo e liberalismo che costituisce l’essenza più intima del berlusconismo.

Per questo, secondo Orsina, Berlusconi ha cavalcato meglio di tutti il mito anti-politico (e anti-intellettualistico) della società civile che già attraversava l’elettorato italiano. Collegandolo a un programma di riduzione della presenza dello Stato, collocandosi a destra, e sfruttando la propria natura di leader outsider rispetto ai politici di professione. Riuscendo così a “coinvolgere nella vita pubblica pezzi di società finora esclusi, restituendo piena rappresentanza alla destra anti-antifascista, creando le condizioni per un sistema politico bipolare”. Ci si potrebbe chiedere, a voler essere critici, quanto questa mobilitazione sia canalizzabile in futuro e quanto invece sia stata legata indissolubilmente alla figura di Berlusconi leader e al suo messaggio anti-politico.

Un sistema così concepito rischia infatti di perire proprio per mano di quella leadership carismatica che ne ha consentito un’ascesa e un successo così immediati: una leadership così ingombrante (e non a caso molti autori hanno parlato di partito personale, per sottolinearne la contraddittorietà) non ha voluto dar vita a una strutturazione interna che potesse garantire al partito la sopravvivenza oltre il creatore. Adottando forse una prospettiva diversa da quella di Orsina si può sottolineare come il tentativo di politicizzazione dell’anti-politica compiuto da Berlusconi abbia portato all’esternalizzazione e alla delega di quelle funzioni fondamentali che i partiti novecenteschi, con tutti i propri limiti, riuscivano a portare a termine: la selezione e formazione delle classi dirigenti, la mobilitazione e la canalizzazione dell’elettorato militante (al di là del momento elettorale e del fervore religioso per il padre fondatore), il radicamento sul territorio (che infatti la formazione berlusconiana non ha ancora, tranne che in alcune regioni). Le conseguenze, sul lungo periodo, indicano un aumento della volatilità elettorale, sulla scia del sentimento anti-politico che persiste in larghe fasce dell’elettorato italiano. Quello che è certo, a meno di colpi di scena, è che il futuro di un partito così (de)strutturato rimane strettamente e indissolubilmente legato alle vicende giudiziarie personali di Berlusconi che, per rievocare la manchette ironicamente scelta da Orsina in apertura del quinto capitolo, rischia di finire intrappolato nel mito di Crono, che divorava i figli per paura di perdere il trono dell’Olimpo.

Titolo: Il Berlusconismo nella storia d'Italia

Autore: Giovanni Orsina

Editore: Marsilio

Pagine: 239

Prezzo: 19,50 €

Anno di pubblicazione: 2013



  1. Alfano non riuscite a trovare una via di uscita per la fama che il vostro idolo si è creata poverino riusciamo dimenticando il comportamento di costui che ancora seguita? Alfano tra falchi gallinacci
    avete creato una polli industria, galletti che non cantano galline che cantano troppo non producono uova ma “surica” non trovo parole, Alfano mi sorprendi oramai dai discorsi che sono litanie per cercare di salvare l’insalvabile, però vi piace ricattare con vergogna senza avere il risultato fate dei commenti inconcepibili senza un fine logico, se i Giudici per 3 volte gli anno dato giù vi lamentate allo scandalo, la vittima che è in ballo non è cattivo ma scemo tirchio avaro non è vero che dona,
    becca, € 1,000,000 ne distribuisce hai galletti e gallinelle il 10% il resto li porta ha casa come merce di scambio, tutti contenti e felici, il signorino senza cavallo ma con il somaro. (E FINITO )
    ( Alfanooo Famola Finita ) Guglielmo Roma

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