La lezione di Giulio Giorello nell’era della didattica a distanza

Un vero maestro lascia tracce indelebili nella memoria dei suoi allievi. Non si tratta di un trasferimento di conoscenza da una persona ad un’altra, né di un elenco di informazioni più o meno completo e preciso da immagazzinare e ripetere, o di un sapere da divorare e assimilare.

In questo periodo di pandemia stiamo sperimentando forme alternative di trasmissioni di sapere attraverso nuovi supporti mediatici e si aprono a noi infinite opportunità che fino a poco tempo fa ci sembravano impossibili. Accesso a conferenze con ospiti internazionali di fama mondiale che dibattono da ogni continente in diretta, una quantità impressionante di insegnamenti, riflessioni, webinar, podcast riascoltabili e sempre a disposizione nelle nostre tasche o nei nostri gadget digitali.

I grandi maestri sono abili oratori, scrittori raffinati: dovremmo essere entusiasti all’idea che le loro produzioni diventino più facilmente accessibili sotto forma cartacea o digitale. Se le università di Harvard o Cambridge passano in modalità digitale con contenuti innovativi e corsi interamente online con i migliori professori del mondo, non dovremmo forse pensare che sia un’opportunità imperdibile per chi non può fisicamente essere presente o viaggiare?

Certamente l’educazione digitale inaugura una dimensione importante che abbatte le distanze fisiche, permettendo dialoghi in diretta tra persone di geografie diverse, oltrepassando i limiti umani e raggiungendo quelli “divini” dell’ubiquità. Tuttavia, proprio realizzando la “riproducibilità tecnica”, si perde l’unicità del qui e ora, come aveva ben analizzato Walter Benjamin. L’educazione digitale cancella soprattutto la dimensione del “noi insieme” qui e ora, individualizzando e parcellizzando la fruizione del sapere. Eliminando la “presenza comune”, si perde quindi quel senso di comunità di allievi che insieme ascoltano il loro maestro. La formazione, afferma Carlo Sini, è come un’esecuzione musicale, ci sono regole dello stare insieme che sono parte integrante del processo formativo. A suo avviso «la presenza fisica disegna una comunità fondamentalmente ‘politica’» nel senso di «una comunità parzialmente libera dalla incidenza, peraltro necessaria e importante, della strumentazione tecnica del lavoro e concentrata invece sulla sua finalità propria: la formazione nei presenti (docente incluso) di una sapienza umana in esercizio, e perciò e solo perciò ‘culturale’».

A tale proposito c’è un piccolo dettaglio spesso dimenticato o messo da parte che differenzia il reale dal virtuale, e che maggiormente distingue i grandi maestri. È il contesto da loro creato. È l’atmosfera reale e fisica che l’atto unico e irripetibile del loro insegnamento provoca, sollecitando tutti i sensi, convocando l’attenzione di corpo e mente uniti in un solo insieme. Rossella Fabbrichesi evocando le lezioni di Deleuze a Vincennes sottolinea come la vicinanza dei corpi sia imprescindibile alla vicinanza delle idee. Del resto lo stesso Simposio di Platone è l’esemplificazione per eccellenza del rapporto tra desiderio, amicizia e conoscenza.

Delle lezioni del corso “Tra mito e scienza” del professor Giorello, scomparso pochi giorni fa all’età di 75 anni, non ricordo solo i contenuti, gli spunti geniali, le digressioni sull’Ulisse di Joyce, la storia del “tacchino di Russell” o l'”anarchismo metodologico” di Feyerabend; ma ciò che è rimasto maggiormente impresso nella mente è il contesto delle sue lezioni. Una porzione di vissuto in cui sono sorti dibattiti con i compagni di corso, in cui sono nati legami di amicizia forti e duraturi. L’insegnamento di un grande maestro irrompe nella parte emotiva degli allievi creando nuove sinergie, diffondendo sentimenti di condivisione, di scambio, di dialogo che mai nessuna conferenza su supporto digitale potrà provocare. Insieme alla logica e all’induzione, ciò che resta ancorato al ricordo erano la sua camminata particolare, il suo modo di parlare, la sua aria riflessiva e incisiva. La trasmissione del sapere è resa possibile dai gesti e dalle azioni, dai corpi che accompagnano l’ascolto, dalle relazioni sociali e dalle amicizie che si creano intorno e insieme alla figura del maestro. Questo è quello che è rimasto più vivo nei miei ricordi a sedici anni di distanza dal corso straordinario sul rapporto tra mito e scienza, più che le singole informazioni o citazioni menzionate a lezione.

Un grande maestro ci lascia, ma le tracce che ha seminato in ognuno dei suoi allievi possono rimanere vive solo se il senso di comunità intesa come condivisione di ascolto e di idee avrà ancora una ragion d’essere. Non dimentichiamoci del contesto, delle aule con l’odore di umidità, con il brusio di fondo dei compagni, delle battute estemporanee dei professori, della condivisione dei quaderni o delle penne, dei canti irlandesi che Giorello faceva ascoltare per il giorno di San Patrizio, da buon filo-irlandese e spirito libero quale era.

Da queste considerazioni cosa sono l’università e la scuola? Non sono solo luoghi del sapere, percorsi formativi o pedagogici, strumenti di apprendimento e di crescita; sono prima di tutto luoghi di incontro, reti di relazioni, occasioni di amicizia, di confronto, di dialogo, talvolta anche di scambio e soprattutto di condivisione. Nessuna formazione da remoto potrebbe mai supplire o ricreare i dettagli dell’incontro. In un’intervista qualche settimana prima di andarsene, Giorello spiegò come la didattica a distanza «faccia perdere una delle componenti più interessanti dell’insegnamento: il faccia a faccia tra docente e studente».

Mi ritengo estremamente fortunata ad aver partecipato a questa forma di sapere in carne e ossa, in una comunità di allievi che sono rimasti amici nel tempo, nel ricordo di un grande professore che li ha uniti. Grazie, maestro.

 

Foto: Niccolò Caranti / Licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

  1. Bellissimo il ricordo di Giulio E’ importante che sia sottolineata la unicità del suo magistero che si inseriva in un contesto ampio ricco e irripetibile

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