LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

Lo Sguardo

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Eva Herzigová e l’eterno ritorno dell’identico

Passeggiando in strada qualche giorno fa ho notato la copertina di un magazine. Vi campeggiava la foto di Eva Herzigová, supermodella tuttofare che spopolava tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del nuovo millennio. La donna, oggi madre di tre figli, posava in piedi, sfondo nero, stentorea e un po’ sfatta; davanti, l’annuncio: “sono tornata”.

“Bentornata, Eva Herzigová” – ho pensato – “ma fai perlomeno la fila”. I tempi sono quelli che sono e d’altra parte davanti alla soubrette – là, sulla strada della riconquista – già contiamo manipoli di protagonisti dei passati decenni, pronti a ripresentarsi in qualsiasi veste e a qualunque condizione: ballerini che si dimenano tra i fornelli, attori fulminati sulla via di Damasco, comici che si scoprono politici – per non parlare di ex atleti e calciatori, pronti a eiettare alle stelle l’audience serale con qualche passo di salsa.

Già, perché qui – come direbbero sia Aristotele che Milly Carlucci – balliamo tutti sotto le stelle; ma sotto l’immutabile cielo italico, là dove le costellazioni seguono il loro giro identiche fino al dettaglio, si schiude, piuttosto che un refrigerante divenire, lo stagnante e sublunare teatro del ricircolo. Sul suo palco le icone del potere e del successo, preda di nuove giovinezze, spostano di volta in volta più in là il momento della loro uscita dalle scene, in una continua metempsicosi, un ciclo che reitera all’infinito i medesimi soggetti sotto forme nuove, disinventandoli e reinventandoli di volta in volta con caratteristiche differenti.

“Povera Eva!”, direte voi. Che una donna di tanta bellezza sogni una nuova vita sulla breccia dei quaranta è cosa senz’altro lecita. Ma altrettanto lecito è, a parer mio, domandarsi dove si radichi – ovvero quale genesi abbia – questa costante pretesa di non poter scomparire, mai e a nessun costo, se non per propria esplicita scelta, galleggiando per una durata indeterminata nella vasca della notorietà.

La cifra specifica di questo eterno spettacolo della sopravvivenza non sembra d’altro canto residuare nella fisiologica aspirazione di un singolo a sopravvivere alla propria epoca, quanto piuttosto nell’adozione di una logica propria dello star-system di tutti i tempi – dalla tragedia greca all’Isola dei Famosi – filtrata progressivamente nel resto della società. Una logica che potremmo chiamare della reinventio sui e che prevede che sia sempre il medesimo soggetto, e non un complesso scenario da esso distinto, a sostanziare il processo della trasformazione temporale e culturale e, con essa, la rimozione di quanto – e di quanti – fanno parte del passato.

Evoluzione dei singoli, alla faccia della specie. Tanto Aristotele quanto Darwin avevano immaginato la conservazione dell’individuo come ristretta – diciamo – nei limiti del buon senso, ovvero nella funzione che uno specifico esemplare andava a esercitare all’interno di un novero più ampio, un flusso discreto ma costante di parti destinate ciascuna a fornire un solo tentativo di sopravvivenza, defluendo poi in modo spontaneo. Ma si sbagliavano, e aveva invece ragione Nietzsche. Nel reame dell’assoluta e più insana apparenza regnano maschere in grado di tramutare la polvere in oro, il mutamento in metamorfosi e il rigurgito in devastante ribalta, riarticolando quel fisiologico movimento dal singolo a un altro singolo in un demenziale quanto eterno ritorno degli stessi, padroni di una temporalità che modulano più o meno a loro piacimento, e di cui sono in grado di influenzare a discrezione le trame.

Non è questa la sede per fornire una risposta definitiva alla questione, ma mi permetto di segnalare due possibili direttive culturali alle quali fenomeno può essere ricondotto.

Da un parte mi sembra si stia accelerando in modo uniforme la dismissione di quella che chiamerei una “cultura dell’uscita”, reperibile in gran parte della cultura classica. Si tratta di un armamentario di strumenti concettuali che consentono al singolo di pensare e attuare in modo positivo l’abbandono dei luoghi del potere e del successo una volta concluso il suo compito, concependo come propria una fase della vita di dismissione del dominio acquisito e di predisposizione di un lascito. Dall’altra va sottolineato un progressivo svuotamento della nozione stessa di individuo, che dopo le labirintiche peripezie soggettivistiche del secolo passato si offre oggi come una sostanza indeterminata e paradossalmente disindividuata, capace di reggere indiscriminatamente attributi tra loro contrastanti, proprio perché capace di mantenere con questi ultimi un rapporto estrinseco: un “io” ballerino, cuoco, cantante, statista, pagliaccio, re, e così via.

Sempre-già-pronto a vestire nuovi panni, a reinventarsi, rimodulando il proprio tempo, intrecciandolo e deviandolo in funzione del suo personale divenire.

Simone Guidi | @twsguidi

  1. è facile vedere gli errori,stando fuori della scacchiera.. caro redattore,la ragione degli ippopotami è..solo un altro ippopotamo,può dire..sei brutto!vizi e virtù,si condividono,non si giudicano..sandra milo ,dava da vivere,scrivere,a molti che la criticavano..highlander del gossip,ok,ma senza i marpioni…(papi silvio) di che sparlereste?

    • a parte il fatto che Eva è bellissima e lo sarà anche a 90 anni, e sarebbe solo meraviglioso vederla sfilare in vecchiaia, la mia domanda è chi sei tu per giudicare? e soprattutto che te ne frega? questo moralismo invidioso da 2 lire mi fa solo ridere.

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