COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Caro Bergoglio, non è quella di Juan Barros la Chiesa in uscita

Stimatissimo e caro Papa Francesco,
Mi permetto di rivolgermi a Lei, mentre ritorna dal suo viaggio in Cile e Perù, nella convinzione che il vescovo di Osorno, monsignor Barros, abbia anteposto l’aiuto a sé stesso rispetto alla diffusione del suo messaggio, nonostante le importantissime visite che Lei ha compiuto al penitenziario di Santiago, ai Mapuche, ai popoli amazzonici e tanto altro. e il Suo messaggio, anche questa volta, era più che mai per una Chiesa in uscita, una Chiesa aperta al mondo.
Dico questo pensando al Suo magistero e alla condotta del vescovo Barros. Come lei sa le voci sul suo ruolo nella copertura degli odiosi abusi sessuali perpetrati ai danni di molti bambini cileni non sono nuove. Sono tre i vescovi cileni accusati, senza prove certamente, di aver “insabbiato”. Due di loro hanno avuto il “coraggio” di non venire a Santiago, di non mettersi “davanti”. Ho trovato questo loro farsi da parte estremamente prezioso, e quindi apprezzabile. Un contributo al successo del suo pellegrinaggio e alla diffusione del suo messaggio. Il vescovo di Osorno no, lui ha voluto presenziare alla sua celebrazione eucaristica, la prima del suo pellegrinaggio in Cile. In quella circostanza lui era su un lato della Piazza, insieme ai suoi colleghi vescovi, dall’altra parte c’erano i suoi parrocchiani, venuti anche loro da Osorno, ma per chiederne l’allontanamento. Il pueblo fiel de Dios quel giorno sembra aver dato una risposta diversa da quella del suo pastore accusato, forse ingiustamente, e comunque tutelato dai suoi confratelli. Ma il pastore di una Chiesa “in uscita” non sa guardare, parlare, comunicare, interloquire con il suo gregge?
Il vescovo Barros, subito dopo, ha parlato con i giornalisti presenti, ha detto che Lei era stato molto affettuoso con lui. Ma i suoi? Lo avevano salutato, lo avevano incoraggiato? Ha saputo usare quella circostanza per ritrovare un dialogo con loro, aprirsi con loro e chiedergli di fare altrettanto?
Quando le hanno chiesto di commentare questa incresciosa situazione, Lei, giudice supremo della Chiesa cattolica, ha detto che contro monsignor Barros non c’è alcuna prova, niente di niente. Questo le fa certamente onore, perché l’onere della prova, in ogni sistema decente, è a carico dell’accusa, non della difesa. Ma avevano accesso alle carte, agli uffici, alle sedi vescovili, i bambini vittime delle attenzioni di un prete assai vicino a monsignor Barros, quel Karadima che è stato riconosciuto colpevole di abusi? Monsignor Barros ha fatto tutto quello che era in suo potere perché quelle porte,quegli uffici, ascoltassero anche a loro?
Lei, stimatissimo e caro Papa Francesco, ha governato una diocesi, una grande e complessa diocesi, come quella di Buenos Aires. Sa benissimo quanto sia difficile valutare il prossimo, anche per questo è partito sempre dalla valutazione di sé. Chi può dimenticare che la sua prima intervista, rispondendo alla domanda di chi Lei sia, l’ha aperta definendosi “un peccatore”…. E monsignor Barros ha saputo fare lo stesso? Certo, ognuno ha il diritto e il dovere di difendersi, ma a me sembra che almeno in questa circostanza, davanti a Lei, abbia posto sé stesso. Si è preoccupato di recuperare un contatto, un dialogo, con il popolo della sua diocesi?
La Chiesa della quale Lei è simbolo, caro Papa Francesco, dialoga, interloquisce, capisce e sa farsi capire, sa guardare e farsi guardare, si apre allo sguardo dell’altro, degli altri. Non si arrocca. E’ per questo che il mondo l’ha riscoperta anche grazie al suo magistero, e sente di averne bisogno. Mi consenta di salutarLa, carissimo Papa Francesco, con stima e sincera, immutata gratitudine.

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