EUROPEI

Andrea Mammone

Andrea Mammone è un docente di Storia dell’Europa presso la Royal Holloway, University of London. Ha precedentemente insegnato e svolto periodi di ricerca in Francia, Stati Uniti e Italia, pubblicando di fenomeni transnazionali, Europa, politica italiana e neofascismo. È stato invitato a discutere di questi temi in giro per l’Europa e negli USA (incluso dal Dipartimento di Stato). Il suo libro Transnational Neofascism in France and Italy è stato pubblicato da Cambridge University Press. Ha inoltre curato vari volumi sulla destra in Europa e sulla società italiana. Sta attualmente scrivendo un breve libro sull’Europa di oggi e uno sulla Calabria. Vive nella capitale britannica, da dove prova a riflettere sulla politica e la storia europea. Infatti, è stato intervistato, tra gli altri, da Al Jazeera, BBC, Voice of America, Sky, The Observer, Radio 24, Il Fatto Quotidiano, Weekendavisen, Radio Rai, To Vima, TIME, The Guardian, European Voice, O Globo, New Zealand Herald, e The Economist. Ha scritto per il The Independent, International Herald Tribune, The New York Times, The Guardian, Reuters, Al Jazeera America, Washington Post, Foreign Affairs e New Statesman.

Calabria periferica (e Patti per il Sud)

Ho iniziato anni fa un libro, che forse mai finirὸ, sulla Calabria. La domanda che a volte mi pongo è se si può scrivere su una terra già di per se di confine, standone a migliaia di chilometri di distanza, con il rischio che tutto sembri edulcorato, estremizzato o mitizzato. Secondo alcuni si dovrebbe in realtà narrare un luogo solo allontanandosene, osservandolo a distanza, digerendone le emozioni e rabbie. È questa, forse, una letteratura che diventa, almeno parzialmente, «extraterritoriale», fatta di versi senza dimora e di una Babele del linguaggio (1). È in parte anche la questione del rapporto con i propri «luoghi». In un’accezione più ampia questa è conosciuta come la terra madre, che «è un territorio, una rete di relazioni, ma è anche un luogo dell’anima, è il tempo perduto …. Di questa origine si può avere nostalgia, ma svolgere la propria esistenza significa anche, necessariamente, non coincidervi più» (2).
La Calabria è, per molti nelle mie condizioni, lontana e contemporaneamente vicina. Nonostante me ne stacchi ritorna, in una maniera o nell’altra, nei miei pensieri. A volte questo succede per ragioni politico-sociali oppure quando le elite ne parlano senza cognizione essendo esclusivamente una di quelle terre  lontane che, di solito, poco interessano. In questi giorni leggo che il premier Matteo Renzi sembra voglia invertire questa tendenza: “Dico solo basta a chi racconta il Sud come un luogo dove va tutto male. A questi io dico di provare a dire per una volta si”. A prescindere dal fatto che non comprendo immediatamente il senso del “dire si”, essendo una diatriba inutile e tutta interna al dibattito italiano (“i professionisti del no” e simili), c’è altro che mi rende perplesso. Il primo ministro, in visita a Reggio Calabria per siglare il suo “patto per il sud”, giustamente si sconvolge che il museo locale abbia pochi visitatori (meno dello zoo di Pescara e questo dovrebbe far riflettere), e suggerisce che la “Calabria ha delle meravigliose bellezze paesaggistiche e dobbiamo fare in modo che i turisti riescano a raggiungere questa regione comodamente”.
Capisco l’eccitazione di politici e amministratori locali che pur di ricevere fondi parlano di “momento storico” appena vedono uno che possa mettere mano al portafogli. I momenti storici sono invece altri e non ci sono rivoluzioni industriali in vista. Il Sud è periferico nell’interesse di tutti gli ultimi governi. I turisti non raggiungono la Calabria comodamente pure perché una scellerata politica dei trasporti ferroviari ha ridotto di fatto i treni. Se il turista vuole viaggiare comodo con un treno ogni mezzora deve quindi guardare altrove.
La politica oggi non offre, a eccezione di isolati esempi, alcuna narrazione per il Meridione (lo fa ugualmente a singhiozzo a livello sovranazionale). Narrare è anche rappresentare una realtà. Vuol dire spiegarla, decostruirla e ricostruirla; questo è quello che dovremmo pretendere da chiunque si presenti come attore sociale “attivo”, e vale in tutti i settori. Bisogna davvero spiegare gli eventi e le visioni, non solo raccontarli attraverso slogan. La medesima storia, disciplina dalla quale provengo, «non è soltanto racconto, sia pure di grandi eventi, la storia è spiegazione» (3). Non credo neanche molto alle narrazioni culturali/sudiste fatte di “sole, mare, turisti e tarantelle”. La California possiede le prime due e produce ben altro.
Andiamo allora dritti al punto: la Calabria è un luogo davvero alla fine di una strada (non solo geograficamente parlando). Questo deve essere il nostro punto di partenza. Una regione particolare, non unica, ma certamente particolare. Una terra dalla quale si fugge e nella quale si torna, che è odiata e amata, rude e tenera. Tuttavia è probabilmente anche l’ultima regione d’Italia, e una delle meno ricche d’Europa, con problemi che sembrano quasi catastrofici e un’immagine esterna spesso negativa. I dati Eurostat del 29 aprile ci dicono come la Calabria sia la terza regione dell’Unione Europea per disoccupazione giovanile (Sardegna ottava e Sicilia nona). (4)
Per risolvere eventuali problemi occorre comprendere la complessità di un mondo fatto di contraddizioni, di clientele e al tempo stesso di accoglienza e solidarietà verso i migranti, di enti religiosi silenti e di preti antimafia. Un mondo che cambia e uno che resta uguale al passato. Luoghi distrutti o in via di ricostruzione (socioculturale), luoghi simbolo di modernità e di arretratezza, di onestà e di malaffare: mentre le criticità del Sud entrano in simbiosi con quelle dell’Italia. Possiamo davvero affermare che Milano sia eticamente/moralmente molto meglio di Catanzaro? A leggere la storia recente, da Tangentopoli in poi, cosi’ non sembrerebbe. In questo senso, la Calabria diventa un simbolo, forse uno dei più radicali, dei tanti Sud d’Europa. Un simbolo la cui rinascita riparte, eventualmente, dalle sue stesse contraddizioni interne e da un nuovo patto sociale – la politica, almeno per come si materializza oggi, è meglio che resti a casa.

 

(1) George Steiner, Extraterritorial. Papers on Literature and the Language Revolution

(2) Paolo Jedlowski, Il racconto come dimora. Heimat e le memorie d’Europa

(3) Fernand Braudel, Storia, misura del mondo

(4) http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/File:Regions_with_highest_and_lowest_unemployment_rates_in_2015,_%25.png

 

 

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