Fratellanza contro fratricidio. Due libri per capire la sfida papale al nichilismo

Due libri appena usciti pongono due temi apparentemente disconnessi tra di loro, che un saggio però ci aiuta a collegare, arrivando a porci il punto odierno: come arginare i nuovi nichilismi. La mia impressione è che questo punto lo abbia colto e affrontato solo Francesco.

Il primo libro lo ha scritto il professor Massimo Borghesi, si intitola “Francesco. La Chiesa tra ideologia teocon e ospedale da campo” (Jaca Book). Borghesi parte da un interrogativo davvero stimolante: come mai sia conservatori sia progressisti quando è esplosa la pandemia hanno pensato che si fosse esaurita “la spinta propulsiva” del pontificato di Jorge Mario Bergoglio? La sua idea, assai convincente, è che la certezza della rielezione di Trump illuse i secondi e depresse i primi, convinti che Francesco arretrasse su riforme “strutturali” ritenute parti fondanti del suo “progetto”, piegato da Trump. Comunque sia, sia gli uni sia gli altri sentivano che il populismo, asset strategico nelle mani dell’ex inquilino della Casa Bianca, era più forte. Ma Trump contava anche su un altro asset, i nemici di Francesco: non tutti necessariamente suoi fans, ma che bisogna conoscere per capire. Vedremo tra poco un perché fondamentale.

Ora però dobbiamo passare al secondo volume; lo firma uno dei più autorevoli intellettuali siriani, Yassin al-Haj Saleh e si intitola “Siria. La rivoluzione impossibile” (MReditori). Espone tesi affascinanti, come questa, elaborata ancora nel terribile 2011, quando l’esercito di Assad massacrava manifestanti ancora inermi: “il 14 ottobre 2011, Kafranbel occupata innalzò un cartello che sarebbe poi diventato famoso grazie alla combinazione di originalità e cinismo, esso recitava: ‘Abbasso il regime e l’opposizione, abbasso le nazioni arabe e islamiche, abbasso il Consiglio di Sicurezza, abbasso il mondo, abbasso tutto!’. La cittadina di Kafranbel era sconosciuta persino in Siria e i suoi abitanti, e gli abitanti del governatorato di Idlib cui essa appartiene, erano in genere considerati religiosi e conservatori. Nel collasso radicale e universale, in cui tutto viene livellato, il cartello esprime il rifiuto di qualsiasi discriminazione di consenso nei confronti di tutti: tutti sono il male, complici o inutili”.

Arriviamo così al recente saggio, pubblicato da La Civiltà Cattolica, che ci aiuta a cogliere il nesso tra queste due opere, un nesso fondamentale per comprendere da una parte Francesco e dall’altra il populismo e il terrorismo: si intitola “Populismo e terrorismo, eredi illegittimi del nichilismo”. La tesi esposta è che il terrorismo e il populismo si connettono entrambi a un nichilismo vissuto come più forte della ragione. Non sorprende se ci si ricorda che al-Haj Saleh spiega l’importanza del cartello esposto a Kefranbel come “annuncio del nichilismo islamico”. L’articolo scritto dal gesuita Alvaro Lobo Arranz analizza in profondità le fondamenta culturali proprio del nichilismo e collega ad esso tanto il terrorismo globale quanto il populismo di estrema destra e di estrema sinistra, connettendoli al totalitarismo lì dove offre una potente citazione di Hannah Arendt: l’autore presenta il populismo come “un fenomeno politico che, seppure in modi diversi, si manifesta sia nell’estrema destra sia nell’estrema sinistra, e progressivamente mina i nostri sistemi di democrazia rappresentativa. Non è una ideologia, ma un modo semplicistico di comprendere la realtà e il gioco politico che, per attecchire, richiede un’ideologia e una collettività scontenta, e che propone sempre soluzioni facili a problemi complessi”.

Troviamo già nella scontentezza il nesso con Kefranbel. E proseguendo nella ricostruzione della semplificazione del complesso in nome di una scontentezza di fondo arriva la citazione di Hannah Arendt, che ha presentato “il totalitarismo come un’idea romanticizzata, dogmatizzata e teologizzata di ciò che un Paese, una cultura o una società dovrebbero essere: un’idea per cui morire e far morire altri.” Forse, prosegue il padre gesuita, “in questo momento non ci troviamo di fronte agli stessi sistemi totalitari che sono nati nella vecchia Europa e sono stati esportati in tutto il mondo; ma se non stiamo attenti, ci esponiamo al ripetersi di molte dinamiche simili, le cui conseguenze sono già note a tutti”. Qui padre Arranz sta parlando del populismo e della sua possibile deriva totalitaria, ma “romanticizzata, dogmatizzata e teologizzata” non sono espressioni perfette per capire il meccanismo che ha mosso dalla “scontentezza” di Kefranbel a una possibile adesione all’Isis o ad altre organizzazioni terroristiche? Questo mi ha aiutato a capire meglio perché chi ha veramente combattuto la deriva del jihadismo in armi è stato padre Dall’Oglio quando difese le difficili ragioni dell’Esercito Libero Siriano, unico argine possibile a questa deriva.

Il discorso si fa più penetrante se passiamo ad occuparci dei fondamenti del nichilismo e della possibilità di parlare, come fa Yassin al Haj Saleh, di nichilismo islamico. Ma prima dobbiamo tornare brevemente al nostro punto di partenza: cosa c’entra questo con Francesco e con la spinta propulsiva del suo pontificato? C’entra, perché quella spinta non sta in un “progetto”, ma in un annuncio: la fratellanza. Ha certamente ragione Borghesi nel dire che, davanti alla pandemia, la solitudine di Francesco in Piazza San Pietro il 27 marzo dello scorso anno, cioè ormai un anno fa, può aver ingannato. Ma è stata proprio quella solitudine a dirci nel modo più chiaro possibile che era giunto il momento di cambiare la modalità del nostro cammino: dalla fallimentare solitudine dell’ “io sovrano” alla necessaria compagnia dell’ “essere relazionale”. Non c’era bisogno neanche di seguire il discorso per cogliere il punto: il papa non scese dalla Basilica verso la Piazza per dare alla città e al mondo la sua verità, ma attraversando la piazza dal basso e salendo, sotto la pioggia, verso la Basilica è come se ci avesse uniti nella sua prospettiva di fraternità. Da allora avremmo dovuto capire che il primo viaggio del papa sarebbe stato, appena fosse stato possibile, in Iraq.

Se il populismo tende a dividerci in tanti populismi confliggenti davanti alla pandemia, mentre la fratellanza ci unisce nel farci capire che siamo tutti sulla stessa barca, il papa avrebbe visto, come ha scritto padre Antonio Spadaro, che analogamente ci dovevamo unire con chi fronteggia l’emergere dell’altra pandemia, quella del terrorismo apocalittico, per Haj Saleh reso virale dal nichilismo islamico. Ma ha senso parlare di nichilismo islamico? È molto importante un nesso tra quanto si legge in “Siria. La rivoluzione impossibile” e nell’articolo de La Civiltà Cattolica. In un testo scritto nel 2012 l’autore ci avvertiva: “Quel che finisce è il contare su qualcuno, non la rabbia o la lotta stessa. Molti report provenienti dai focolai attivi nelle proteste indicano che chi ha smesso di protestare, prende le armi o cerca di procurarsene, non se ne sta seduto in casa. È probabile che la convergenza tra la lotta disperata (un miscuglio di rabbia e ferma risolutezza al combattimento) e armi porti uno sviluppo nichilista della lotta, una lotta assoluta in cui uccidi o vieni ucciso. Il regime si è tuffato nella lotta contro la rivoluzione sin dall’inizio proprio con questa mentalità”. Il regime è nichilista, la rabbia è nichilista. Rabbia? Ecco cosa scrive padre Alvaro Lobo Arranz: “Quella che ne I fratelli Karamazov era la sfida del perdono si trasforma in rancore, elemento che a sua volta appare nel terrorismo e nel populismo”. Non è proprio quello che dice la teoria del nichilismo islamico esposta in precedenza? A questo riguardo sarebbe importante capire se al Haj Saleh identifichi l’Islam apocalittico – quell’Islam convinto cioè che la fine del mondo vada avvicinata essendo i segni apocalittici ben riconoscibili – con il nichilismo islamico, o non veda il secondo come una massa di manovra del primo.

L’opera di Yassin al-Haj Saleh, comunque, consente un’interpretazione aggiuntiva che ci aiuta a cogliere di più in questo rapporto perverso. L’autore è un comunista che, rimanendo tale, dopo aver trascorso circa un ventennio nelle prigioni del regime come prigioniero politico ha detto di essere felice di essersi liberato dalle catene del “pensiero rigido”, quindi ha visto la compagna, Samira Khalil, nota attivista per i diritti umani, sequestrata dalle milizie islamiste vicino a Damasco. Cercandola si è imbattuto nelle vecchie scritte dei miliziani di Assad trasformate dai miliziani del terrorismo islamico (terminologia che l’autore – non credente- non condivide). I vecchi slogan, tipo “Assad o bruceremo il paese”, erano diventati “Islam o bruceremo il paese” e così via. È un classico esempio di violenza mimetica, di puro mimetismo. Infatti, applicando a Osama bin Laden la sua teoria della violenza mimetica René Girard disse: “L’errore di sempre è di ragionare secondo le categorie della ‘differenza’, mentre la radice dei conflitti è piuttosto quella della ‘concorrenza’, la rivalità mimetica tra gli esseri, i Paesi, le culture. La concorrenza, ossia il desiderio di imitare l’altro per ottenere la stessa cosa che ha lui, all’occorrenza anche tramite la violenza. Senza dubbio il terrorismo ha radici in un mondo ‘differente’ dal nostro, ma ciò che suscita il terrorismo non è da ricercare in questa “differenza” che lo allontana sempre più da noi e ce lo rende inconcepibile. È al contrario da ricercare in un desiderio esacerbato di convergenza e rassomiglianza. I rapporti umani sono essenzialmente dei rapporti di imitazione, di concorrenza. Ciò che abbiamo oggi sotto gli occhi è una forma di rivalità mimetica in scala planetaria. Quando ho letto i primi documenti di bin Laden ed ho riscontrato i suoi accenni alle bombe americane cadute in Giappone, ho capito ad un tratto che il livello di riferimento è il pianeta intero, ben al di là dell’Islam. Sotto l’etichetta dell’Islam c’è una volontà di collegare e mobilitare tutto un terzo mondo di frustrati e di vittime nei loro rapporti di rivalità mimetica con l’Occidente. Ma nelle Torri distrutte lavoravano sia stranieri che americani. E per l’efficienza, la sofisticazione dei mezzi impiegati, la conoscenza che essi avevano degli Stati Uniti, gli autori degli attentati non erano anch’essi un po’ americani? Siamo in pieno mimetismo”.

Questa concorrenzialità letta da Girard e illustrata da al-Haj Saleh ci porta ad uno dei numerosi punti cruciali del libro del professor Borghesi, quello nel quale, spiegando il teocon liberista Michael Novak, ci indica di fatto la via alla “mondanizzazione” del Vangelo quando cita così Novak: “Non sembra contrario al Vangelo che ogni essere umano lotti, spinto alla competizione con i suoi simili, per realizzare tutte le sue potenzialità”. Leggere Girard e poi, grazie a Borghesi, Novak, aiuta a capire come un campo religioso possa diventare nichilista? Sembra di sì, soprattutto se si segue bene questo passo, sempre relativo al catto-capitalismo di Novak: “Nessuno – scrive Novak –  aveva valorizzato tanto la singola persona [quanto il capitalismo]. Nessuno, quindi nemmeno la religione cristiana, dunque. La fede e l’etica cristiana non modificano la forma dell’economia, non svolgono una funzione nel disciplinare gli ‘spiriti animali’, nel promuovere forme di solidarietà e di equità”. Dunque si capisce perché Massimo Borghesi possa riassumere: “la Chiesa del mondo opulento si distacca profondamente da quella immersa nell’universo dei poveri […] Attraverso Novak il modello etico-economico della scuola austriaca, avversa al Welfare e al solidarismo in materia economica, colorato da venature nietzschiane, diveniva normativo per la visione cattolica della società”.

È proprio qui che la “forza propulsiva” del pontificato di Francesco diviene a ognuno evidente. Come il 27 marzo 2020 in Piazza San Pietro, il 7 marzo 2021 Bergoglio nella piazza di Mosul ha trovato la migliore coreografia possibile per rappresentare come la fratellanza sia la sola alternativa al fratricidio. Padre Antonio Spadaro, sullo stesso numero de La Civiltà Cattolica dove appare il saggio del suo confratello Arranz, ha scritto al riguardo del discorso pronunciato da Francesco il 6 marzo nella città natale di Abramo, padre di ebrei, cristiani e musulmani: “Ciascuno deve «uscire», come fece Abramo, il quale, chiamato da Dio, «dovette lasciare terra, casa e parentela. Ma, rinunciando alla sua famiglia, divenne padre di una famiglia di popoli». Abramo diventa modello di una società, di un modo di fare politica, di impegno per ricostruire un Paese. È un invito a «lasciare quei legami e attaccamenti» che ci chiudono nei «nostri gruppi» e ci impediscono «di vedere negli altri dei fratelli»”.

Ur, prosegue padre Spadaro, non è simbolo del passato, ma di una comunanza di destino: ecco il punto. È chiaramente questa l’enorme forza propulsiva del pontificato, questa fiducia nell’unico Dio consente di sconfiggere la riduzione dell’identità religiosa a cameratismo settario come accade nel populismo e la competizione concorrenziale che Girard riconosce nel mimetismo della violenza. Ma come curare la “scontentezza”, la delusione, la rabbia? Qui è padre Arranz a scrivere ciò che appare purtroppo evidente: “Dobbiamo partire da un presupposto fondamentale: non c’è pace senza giustizia. Uno sviluppo integrale e la riduzione delle disuguaglianze sociali è, a livello nazionale come a quello internazionale, il miglior vaccino per prevenire l’insorgere di simili patologie”. Solo questo vaccino, scoperto e iniettato come tale, consentirà di riappropriarsi del perdono al posto della “scontentezza” rabbiosa.

Già quando si presentò al mondo, a Piazza San Pietro la sera del 13 marzo avremmo potuto capire che Francesco non offriva un progetto, piuttosto un cammino: “E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. Preghiamo sempre per noi: l’uno per l’altro. Preghiamo per tutto il mondo, perché ci sia una grande fratellanza”. A onor del vero sembra difficile sbagliarsi e pensare, dopo Baghdad, che la spinta propulsiva del pontificato sia esaurita, perché l’unica via d’uscita dalle spire degli eredi illegittimi del nichilismo è questa.

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