Imprenditori migranti, una ricchezza
per l’Europa e soprattutto per l’Italia

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Reyna Victoria Terrones Castro è arrivata in Italia nel 1993 nel controsoffitto di un treno. È atterrata a Budapest dal Perù, assieme alla figlia di undici anni, determinata a raggiungere la cugina a Roma, in cerca di un futuro migliore. Alla stazione di Budapest un uomo romeno l’ha aiutata a proseguire il viaggio fino all’Austria e, per attraversare il confine con l’Italia, ha nascosto lei e la figlia nell’intercapedine tra due vagoni e il soffitto di un bagno. “Siamo rimaste per due ore inginocchiate in un piccolo spazio, tra ragnatele, fili elettrici e grasso. Potevamo appoggiarci solo su due ferri a forma di x, è stata una grande sofferenza, certe cose non si possono descrivere”, racconta la donna. Oggi Terrones Castro è presidente della Queens Servizi, una cooperativa che si occupa di pulizie per le imprese. Dà lavoro a 24 persone di dieci nazionalità diverse. “Abbiamo attraversato momenti durissimi perché non è semplice capirsi venendo da mondi completamente diversi, ma quando si arriva a creare un gruppo affiatato è una cosa fantastica”, prosegue, “condividendo il pranzo, le ricette, o organizzando il campionato di calcetto, si crea integrazione”.

Terrones Castro è la titolare di una delle 497.080 imprese condotte da cittadini (o in attesa di esserlo) immigrati in Italia, che hanno un’incidenza dell’8,2 per cento sul totale. Secondo il rapporto Immigrazione e Imprenditoria 2014 (Leggi la scheda di sintesi), presentato il 10 luglio a Roma dal centro Studi e Ricerche Idos, il contributo degli immigrati all’iniziativa imprenditoriale è in crescita da oltre un decennio in tutti gli Stati dell’Unione europea. Su un totale di quasi due milioni di imprenditori immigrati, la maggioranza è attiva in Germania, seguita da Regno Unito, Spagna e quindi dall’Italia. A quanto rilevato nel rapporto, oltre a inserirsi nei settori consolidati, gli imprenditori immigrati si contraddistinguono anche per la capacità di offrire servizi completamente innovativi, creano occupazione sia per i migranti sia per la popolazione locale e rappresentano un ponte verso i mercati globali. Come dimostra il caso di Terrones Castro, inoltre, la crescita di questo genere di imprenditoria favorisce le opportunità di inserimento dei migranti, aumenta la fiducia in se stessi e promuove la coesione sociale, contribuendo anche alla rivitalizzazione dei centri urbani.

Una ricchezza enorme, di cui anche l’Unione europea ha iniziato ad accorgersi. Nonostante le resistenze alla creazione di una politica comunitaria sull’immigrazione, che resta uno dei temi delegati alle politiche nazionali, con l’approvazione a gennaio dell’anno scorso del piano d’azione Imprenditoria 2020, la Commissione europea ha adottato per la prima volta una politica comune sul tema dei migranti imprenditori. “Questo approccio nuovo è assolutamente positivo”, afferma Ugo Melchionda, specialista di migrazione economica dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), “Affermando la necessità di offrire migliori opportunità a donne, giovani, senior e immigrati, per la prima volta questi ultimi sono diventati un target di politiche specifiche e si riconosce il loro contributo allo sviluppo dell’imprenditorialità”.

Il piano d’azione sollecita gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli legali che intralciano l’avvio delle attività dei cittadini provenienti da paesi terzi. Nonostante la tendenza all’armonizzazione delle normative e alla semplificazione delle procedure, restano però diverse barriere, legate soprattutto all’eterogeneità delle misure e delle pratiche esistenti nei vari paesi membri. Innanzitutto per ottenere un visto o un permesso di soggiorno sono richiesti requisiti diversi da paese a paese e inoltre la maggioranza degli Stati richiede di dimostrare una precedente esperienza imprenditoriale, mentre altri – come Irlanda, Germania, Grecia e Regno Unito – esigono una somma minima di capitale da investire.

Barriere e ostacoli che nel nostro paese si sommano alle lentezze e agli intoppi burocratici e alle pressioni di una legislazione rigida in materia di immigrazione. Come ha sottolineato durante la presentazione la curatrice del volume, Maria Paola Nanni, “in Italia il dinamismo imprenditoriale degli immigrati si lega anche alla loro maggiore debolezza sociale. A volte, infatti, aprono attività in proprio perché hanno difficoltà a trovare lavori dipendenti o hanno permessi di soggiorno in scadenza”. Il ritardo del nostro paese è evidenziato anche dal fatto che, pur avendo il primato europeo in termini di imprese (quasi cinque milioni, contro i quattro della Germania e i tre della Spagna), siamo al quarto posto per quanto riguarda il numero di attività gestite dagli immigrati. “Negli altri paesi esistono evidentemente condizioni che facilitano la crescita delle imprese immigrate, come la possibilità di accedere ai prestiti e al credito, l’assistenza nelle fasi di transizione e nelle procedure fallimentari, una cultura della seconda possibilità”, spiega Melchionda, “noi abbiamo un grande potenziale, ma la realtà dei dati ci dice che abbiamo sprecato delle possibilità”.

Secondo Reyna Victoria Terrones Castro, quello che penalizza lo sviluppo delle attività imprenditoriali degli immigrati è che “sono richieste troppe cose da fare anche per una piccola impresa. Bisogna compilare un’enorme quantità di carte per essere in regola”. Per questo la formazione è fondamentale: “nel momento in cui decidono di avviare un’attività, le persone dovrebbero essere molto più informate sulle leggi, sui contratti di lavoro che si possono utilizzare, sul tipo di impresa che si può aprire, in modo da evitare problemi in seguito, che possono portare anche alla chiusura”, commenta ancora Terrones Castro.

L’imprenditorialità immigrata in Italia oggi appare quindi come un “quadro in chiaroscuro”, ha sottolineato Nanni nella sua presentazione, che evidenzia la necessità di una riflessione “integrata” volta a considerare i migranti e gli autoctoni come componenti dello stesso tessuto economico-produttivo e dello stesso corpo sociale, con problemi e risorse comuni, procedendo su una strada di confronto, interazione e scambio. Un momento fondamentale di questo percorso dovrebbe essere l’acquisizione della cittadinanza da parte degli imprenditori immigrati e delle loro famiglie, che troppo spesso resta invece un ostacolo che impedisce loro di partecipare attivamente e a pieno alla vita e allo sviluppo del paese in cui vivono. “Nel momento in cui paghi le tasse, dovrebbero esserci dei diritti”, conclude Terrones Castro, “che senso ha che noi stiamo una vita qua, paghiamo tutte le tasse, creiamo impresa, creiamo lavoro, se non possiamo avere la possibilità di scegliere in che modo lavorare e vivere? Senza cittadinanza non possiamo scegliere chi ci governa, non possiamo scegliere di muoverci per lavoro. Io sono stata tre anni in nero, dopodiché non ho mai smesso di pagare le tasse, non mi sono mai presa neanche un giorno di malattia, e in cambio cosa ricevo? Che cos’altro devo fare per avere questo diritto?”

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Immagine di Gianni Dominicis (licenza Creative Commons)

  1. Ringrazio molto per l’articolo…. molto ben fatto.
    Credo sia arrivato il momento di parlare di tanti immigrati che hanno investito su loro stessi senza grandi disponibilta’ economiche di base.

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