Afghanistan, countdown verso il 2014 tra accuse di torture e bilanci nefasti

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Saranno certamente le prossime elezioni presidenziali in Afghanistan, a pochi mesi dal ritiro delle truppe combattenti americane (la presenza nel Paese degli Stati Uniti andrà avanti ben oltre l’aprile 2014), a segnare il bilancio di tredici anni di missione Isaf e a far intravvedere quella “fine responsabile” di cui ha da poco parlato Barack Obama. Ma, nell’attesa, il countdown sembra già iniziato sia a Kabul, sia a Washington, ma mentre nel primo caso la Commissione Elettorale Indipendente Afghana è al lavoro, con netto anticipo, per arrivare al suo traguardo sperando di risolvere i soliti problemi che hanno fatto guadagnare alle precedenti tornate accuse di irregolarità, negli Stati Uniti sono i numeri delle ultime settimane a pesare non poco sulle previsioni di analisti e osservatori.

Con una media giornaliera di circa 50 attacchi da parte dei cosiddetti insurgent, sono 2158 i militari americani morti recentemente. Il Pentagono ha diffuso i nomi nei giorni scorsi. Tutto questo a fronte di una missione costata agli Stati Uniti 83 miliardi di dollari, dal 2001 ad oggi.

Ma c’è anche un’altra cifra che pesa sulla situazione afghana: 139 è il numero delle pagine del rapporto della Nazioni Unite sul trattamento dei prigioniero nel Paese.  E anche in quest’ultimo caso le notizie non sono buone. Treatment of Conflict-Related Detainees in Afghan Custody: One Year On è il titolo del nuovo documento di Unama sulle condizioni dei detenuti nelle prigioni afghane. Nuovo perché segue quello dell’ottobre 2011 (Treatment of Conflict-Related Detainees in Afghan Custody) che ha rivelato per la prima volta i trattamenti delittuosi ai danni dei prigionieri afghani.

Un anno dopo aver incontrato e intervistato 379 detenuti in attesa di giudizio, rinchiusi in quarantasette istituti di 22 province, e dopo aver denunciato le torture e maltrattamenti, il panorama che si è presentato agli inviati di Unama non è migliorato.

Anzi, questa volta i numeri sono anche superiori: oltre la metà degli intervistati dichiarano infatti di aver subito torture e maltrattamenti. Si tratta di 326 afghani, sui 635 ascoltati, vittima di pratiche illegali in trentaquattro istituti penali.

In realtà, ben prima, nel 2005 grazie al New York Times si erano accesi i riflettori su quel che avviene dentro le mura delle strutture carcerarie, ma in quel caso sotto accusa erano gli americani che sul modello Abu Ghraib e Guantanamo avevano allestito a Bagram una prigione per i detenuti accusati di terrorismo. Ma quella è un’altra storia.

Ottantanove le prigioni monitorate dall’ottobre 2011 all’ottobre 2012 dalla missione dell’Onu nel Paese, in trenta province. Anche in questo caso, si tratta di carceri gestite dalla polizia (Afghan National Police),  dall’intelligence (il National Directorate of Security) e dal Ministero della Giustizia che hanno permesso l’accesso, eccezion fatta per la sezione antiterrorismo (meglio conosciuta come Dipartimento 90) di Kabul, le cui porte sono rimaste serrate per gli ispettori.

I maltrattamenti, per quel che è stato appurato, assumono varie forme, non molto diverse da quelle “classiche” utilizzate per estorcere confessioni o informazioni. Quattordici i metodi di tortura documentati che vanno dal venire appesi per i polsi o per la vita al soffitto, incatenati a barre metalliche o altri attrezzi al muro, mezzi nudi, per lunghi periodi, a botte inferte con cavi, bastoni, tubi flessibili, anche sotto la pianta dei piedi, a pugni e calci in tutto il corpo fino anche a torsioni dei genitali. Nel tipico manuale degli orrori non mancano poi le pressioni psicologiche, come le minacce di morte e di violenze sessuali, o l’esposizione forzata al caldo o al freddo o ancora le torture posturali e anche l’elettro shock.

Tra gli intervistati compaiono anche un centinaio di minori (105), il 76% dei quali dichiara di aver subito maltrattamenti al pari degli adulti con un incremento, si legge nel rapporto Onu “del 14% se comparato ai precedenti risultati di UNAMA”.

Ufficialmente, la legge afghana proibisce simili abusi, come pure le tecniche troppo aggressive per gli interrogatori, anche perché dal 2001 le Nazioni Unite hanno inaugurato The Rule of Law, proprio per  restituire, o meglio creare, la cultura della legalità in un Paese martoriato da più di trent’anni di conflitto. Un nome altisonante per un programma in cui l’expertise italiano ha avuto un posto non da poco, non solo perché la conferenza Rule of Law è stata organizzata a Roma  nel 2007, ma perché spetta all’Italia collaborare per la riforma del sistema giudiziario afghano.

Simili scoperte non fanno però che rafforzare la sensazione che l’Afghanistan sia ancora ben lontano dagli obiettivi prefissati e da quel ritiro responsabile di cui ha già parlato Barack Obama.

Quanto rilevato, ammette infatti Ján Kubiš, Rappresentante Speciale di Ban Ki moon, è “un  motivo di grave preoccupazione”, nonostante il governo afghano abbia ribadito il suo impegno al rispetto dei diritti umani e degli obblighi internazionali. Anche in questo caso (e un po’ ricorda una retorica già nota), le autorità hanno parlato di “mele marce”, cioè di “azioni di singoli”, mentre le istituzioni chiamate in causa hanno inviato una risposta scritta alle accuse contenute nel rapporto in cui le conclusioni si definiscono “esagerate”. Tutto pubblicato nella parte finale del rapporto.

In effetti, per stessa ammissione di Unama, non è mancata la collaborazione nelle ispezioni, anche se alcune sezioni sono rimaste inaccessibili e se dalle rivelazioni di un ufficiale dell’intelligence è emerso che esistono “alcuni luoghi segreti in cui i detenuti vengono trattenuti e torturati”. In particolare, si fa riferimento a un compound, il cui nome non viene reso noto nel rapporto, utilizzato per tenere i prigionieri del National Directorate of Security lontani da qualsiasi delegazione. Strutture carcerarie “non ufficiali” sarebbero presenti anche a Kandahar; mentre sempre a Kandahar e nel distretto di Panjwayi, a Khost, Baghlan, Balkh (in particolare a Mazar i-Sharif) sono state testimoniate torture subite dopo la cattura da parte della forza multinazionale e la consegna ad agenti dei servizi, dell’esercito afghano e della polizia.  Eppure, un altro dei compiti della coalizione è quello della formazione e dell’addestramento delle forze di sicurezza afghane, ma stando al resoconto dell’Onu “la maggior parte degli ufficiali del NDS e dell’ANP non accetta (l’idea, ndr) che la tortura sia inefficace e controproducente come strumento per ottenere informazioni utili dal punto di vista strategico” figurarsi se viene considerato “un grave crimine per la legge afghana e per quella internazionale”.

Vai a www.resetdoc.org

Nella foto:  Cerimonia per il passaggio di consegne dalle truppe britanniche alle forze di sicurezza afghane

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