Trafficanti, 007, signori della guerra: la ‘Lybia connection’ che allarma l’Italia

È la Libya connection. Una storia popolata di trafficanti di esseri umani, signori della guerra, 007 e diplomazia “segreta”. Una storia che torna alla luce e si arricchisce di un nuovo capitolo, alcuni giorni fa, quando il portavoce dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Ahmed al-Mismari, ha annunciato sulla propria pagina Facebook l’arresto di Saleh al-Dabbashi, trafficante di esseri umani verso le coste italiane e fratello del più noto Ahmed al-Dabbashi detto “Ammu’” (lo zio). Saleh al-Dabbashi è stato catturato, “insieme ad un certo numero di mercenari siriani e ricercati libici sostenuti dalla Turchia” durante gli scontri nel sud della capitale sul fronte di Al Twisha, ha detto al-Mismari sottolineando che l’uomo è rimasto “gravemente ferito all’interno di un blindato turco”. “Ciò dimostra che la Turchia ha ampliato le sue attività criminali per sostenere i fuorilegge e i trafficanti di esseri umani nella regione occidentale”, prosegue al-Mismari, aggiungendo che Saleh al- Dabbashi era il responsabile del centro di raccolta migranti di Sabratha.

 

Segreti inquietanti

La sua cattura arriva a pochi giorni di distanza dalla liberazione del fratello, Ahmed, avvenuta con la cacciata delle forze di Haftar da Sabratha, dove era stato arrestato due anni fa con l’arrivo degli uomini dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna) al servizio dell’uomo forte della Cirenaica. Se la notizia venisse confermata, si tratterebbe di un duro colpo per le mafie locali con cui l’Italia fece accordi nel 2017 per fermare l’immigrazione illegale dalle coste libiche. Il fratello Ahmed al-Dabbashi era stato colpito dalle sanzioni Onu nel 2018 ed è ricomparso nei giorni scorsi a Sabratha, dopo la riconquista della zona ad ovest di Tripoli da parte del Governo di accordo nazionale.

Comandante delle brigate “Anas al-Dabbashi”, dal nome di un familiare martire della jihad, “Ammu” operava a Sabratha e fino al 2016 aveva saldi legami con lo Stato islamico in Libia, che dice di combattere mentre secondo il Palazzo di Vetro farebbe il doppio gioco. La sua è una delle famiglie più in vista del Paese. La rotta migratoria dal Niger è appannaggio dei suoi uomini che si occupano anche della sicurezza della Mellitah Oil&Gas, legata all’Eni. È accusato di guidare una rete di traffici sovranazionali di esseri umani, armi e greggio. A Zawiya controllerebbe spiagge per la partenza di migranti, case per la detenzione anche di minori e barche. Avrebbe sulla coscienza morti in mare e nel deserto. Ed è da questo territorio che partivano, tra il 2016 ed il 2017, la gran parte dei barconi che in Italia hanno comportato numeri da record di sbarchi.

Un’emergenza, quella creata nel nostro Paese, che costrinse il governo Gentiloni a provare a correre ai ripari. E così, ecco che nella primavera del 2017 sotto la regia del ministro dell’Interno Marco Minniti iniziarono le trattative con Tripoli per provare a frenare il flusso migratorio. In questo contesto sono state poste le basi per il memorandum con la Libia, che ha previsto soldi al governo di Tripoli in cambio dello stop alle partenze.

Un reportage della Reuters ha successivamente accusato il governo italiano di aver fatto finire quei soldi nelle casse dei clan che organizzavano i viaggi della speranza, che in molti casi si trasformavano in viaggi della morte. Tra questi clan, ovviamente, figurava anche il gruppo degli al-Dabbashi. Roma ha sempre smentito, fatto sta che le partenze dall’autunno del 2017 sono diminuite e a Sabratha è scoppiata una faida. Alcuni clan rivali degli al- Dabbashi hanno ingaggiato una vera e propria battaglia contro gli uomini di “Ammu”.

 

La “Dabbashi &Co.”

I fratelli Dabbashi erano, e forse sono tuttora, i “re dei trafficanti” di esseri umani: Ahmad e Mehemmed erano infatti responsabili dell’80 % delle partenze di migranti dalle coste libiche in direzione Italia, un “affare milionario”. La quota minima da pagare per salire a bordo dei barconi della “Dabbashi & Co.” era 1.000 dollari: questo il prezzo di un biglietto della speranza che tuttavia non comprendeva l’assicurazione sulla vita in caso di annegamento.  Da trafficanti di esseri umani i fratelli Dabbashi sono diventati dei perfetti poliziotti anti-migranti, e lo dimostrano i numeri degli sbarchi che sono crollati notevolmente nel giro di pochi mesi. Per convincere l’impresa familiare a cambiare attività sono serviti 5 milioni di euro, gentilmente elargiti dal governo libico e forse quello italiano, con la promessa che Ahmad e Mehemmed ne usciranno puliti e le loro milizie verranno legalizzate. “Chi avrebbe mai detto che in pochissimi anni sarebbe diventato il bandito più famoso della regione, contrabbandiere di petrolio e trafficante di esseri umani, sino a trasformarsi adesso in poliziotto anti migranti per eccellenza, che tratta con il governo di Tripoli e persino con quello italiano?”. dice Mohammad, vecchio vicino di casa di Ahmad, ma sono in tanti a Sabratha a condividere queste parole.

 

Relazioni pericolose

Come ricorda l’Agenzia Nova, la famiglia Dabbashi è uno dei clan più noti di Sabratha. Uno zio di Fitouri Dabbashi – il capo clan morto in uno scontro a fuoco l’11 settembre 2019 ad Ain Zara, a sud di Tripoli – Ibrahim al-Dabbashi, è stato ambasciatore alle Nazioni Unite. Il fratello di” al-Ammu”, Emhedem, guida la Brigata 48, forza nata da un accordo con il ministero della Difesa e che, secondo fonti libiche riportate da L’Espresso, aveva come unico scopo quello di proteggere gli interessi di “Al-Ammu” e gestire la sicurezza al compound di Mellitah, joint venture tra Eni e la società petrolifera nazionale libica Noc. Non è chiaro, invece, quale sia stato il ruolo della famiglia nel sequestro dei quattro tecnici italiani della Bonatti nel 2015, due dei quali morti nella sparatoria per la loro liberazione.

Un passo indietro nel tempo. Quattordici settembre 2017. Fra i trafficanti libici e l’Italia sono stati stipulati piccoli accordi contro i migranti”. Dopo i reportage di Reuters e Associated Press anche Le Monde accende i riflettori sui motivi che starebbero dietro allo stop delle partenze di migranti dalle coste libiche. Il quotidiano francese dedica all’argomento il titolo di apertura dell’edizione del pomeriggio e le prime due pagine interne.

Le Monde spiega di aver parlato al telefono con una personalità di Sabratha, la città costiera della Tripolitania diventata l’hub principale del traffico di esseri umani in Libia. “C’è un accordo tra gli italiani e la milizia di Ahmed al-Dabbashi. L’ex trafficante oggi fa la guerra contro il traffico di esseri umani”, scrive il giornalista citando la fonte, che vuole rimanere anonima. L’articolo spiega che “al-Dabbashi, soprannominato al-Ammu (lo zio), è il capo della brigata dei martiri Anas al-Dabbashi, che fino a luglio dominava il traffico di migranti da Sabratha”. Le informazioni coincidono con quelle contenute nel reportage di Associated Press e anche del Corriere della Sera. Una fonte di AP aveva definito al-Dabbashi e il fratello “i re del traffico” di migranti.

Abdel Salam Helal Mohammed, un dirigente del ministro degli Interni del governo di Tripoli che si occupa di immigrazione, ha raccontato che l’accordo è stato raggiunto durante un incontro fra italiani e membri della milizia Al Ammu, che si sono impegnati a fermare il traffico di migranti (cioè loro stessi o dei loro alleati, in sostanza). Dell’incontro aveva parlato anche la giornalista Francesca Mannocchi in un articolo pubblicato da Middle East Eye il 25 agosto 2017, senza però trovare conferme ufficiali. Anche il portavoce di Al Ammu, Bashir Ibrahim, ha confermato ad Associated Press che circa un mese fa, luglio 2017, entrambe le milizie hanno stretto un accordo “verbale” col governo italiano e quello di Sarraj per fermare i trafficanti. Sempre secondo Bashir, l’accordo prevede che in cambio del loro aiuto le milizie ottengano soldi, barche e quello che Associated Press definisce “equipaggiamento” (non è chiaro se si tratti o meno di armi).

Il servizio di intelligence della polizia locale ha spiegato al Corsera che “ultimamente (lo ‘Zio’, ndr) avrebbe ricevuto almeno 5 milioni di euro dall’Italia, se non il doppio, con la piena collaborazione del premier del governo di unità nazionale riconosciuto dall’Onu, Fayez al Sarraj”.

L ’articolo, di AP, intitolato Backed by Italy, Libya enlists militias to stop migrants, attribuisce questa notevole diminuzione di arrivi ad un’intesa sottobanco tra il governo italiano e alcuni gruppi armati libici: “Il calo sembra essere in gran parte dovuto ad accordi con le due milizie più potenti della città occidentale libica di Sabratha”. Le due milizie in questione sono la Brigata 48 e la Brigata del martire Anas al-Dabbashi, guidate da due fratelli dell’influente clan al-Dabbashi. “I funzionari della sicurezza e gli attivisti di Sabratha intervistati dall’AP hanno affermato che dirigenti italiani si erano incontrati con i leader della milizia”, si legge nello stesso articolo.

Inoltre, sempre secondo la AP, “dal 2015 (quando Matteo Renzi era primo ministro, ndr), la sorveglianza del sito petrolifero di Melitah, dove opera l’Eni, è affidato alla milizia di al-Ammu”. Da questo quadro emerge chiara l’ambiguità dello Stato italiano nei confronti della situazione in Libia. Questa ambiguità è stata evidenziata da un’inchiesta pubblicata il 4 ottobre di quest’anno dal quotidiano l’Avvenire intitolata “La trattativa nascosta. Dalla Libia a Mineo, il negoziato tra l’Italia e il boss”. Da questa inchiesta risulta che l’11 maggio 2017 funzionari dello Stato italiano incontrarono rappresentanti delle autorità libiche per discutere del blocco delle partenze di profughi e migranti. Alla riunione partecipò Abd al-Rahman al-Milad, alias “Bija”, capo della Guardia costiera libica della zona Ovest.

Quest’uomo è “accusato dall’Onu di essere uno dei più efferati trafficanti di uomini in Libia, padrone della vita e della morte nei campi di prigionia, autore di sparatorie in mare, sospettato di aver fatto affogare decine di persone, ritenuto a capo di una vera cupola mafiosa ramificata in ogni settore politico ed economico dell’area di Zawiya, aveva ottenuto un lasciapassare per entrare nel nostro Paese e venire accompagnato dalle autorità italiane a studiare il ‘modello Mineo’”, scrive Nello Scavo, autore dell’inchiesta.

L’arresto di Saleh al-Dabbashi è una carta importante in mano ad Haftar per dare del suo nemico di Tripoli, Fayez al-Sarraj, l’immagine del “padrino” dei trafficanti di esseri umani, diversi dei quali reclutati, anche con compiti di comando, nella Guardia costiera libica, addestrata e supportata in mezzi dall’Italia.  Cambiano i governi e le maggioranze, ma Roma resta sempre sotto scacco. Se il “fratello” di “Ammu” parla, in Italia scatterà l’allarme rosso. La Libya connection può esplodere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *