Qatar, chi vive in baracca e chi regna sovrano (e nulla cede)

Da Reset-Dialogues on Civilizations

I cittadini più ricchi del mondo vivono in Qatar accanto a quelli che ormai vengono considerati tra i più sfruttati. L’emirato ha il PIL pro capite più alto del mondo, oltre 100mila dollari secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, grazie alle 77 milioni di tonnellate di GNL (gas naturale liquefatto) che il Paese produce ogni anno dalle terze riserve di gas più grandi del mondo.

Secondo i dati del Rapporto 2013 sulla ricchezza in Medio Oriente pubblicato dalla Qatar Financial Center Authority in collaborazione con Campden Wealth, vi sono più di 4mila milionari in Qatar, su una popolazione locale di circa 300mila qatarini, e 290 cittadini sono ultraricchi ossia hanno un patrimonio di oltre 30 milioni di dollari.

Questi dati arrivano come uno schiaffo quando si legge che il Qatar si è rifiutato di aumentare il salario minimo delle domestiche filippine a 400 dollari al mese. Una donna delle pulizie di nazionalità filippina guadagna circa 200 dollari al mese in Qatar spesso non avendo neanche un giorno libero a settimana. La cosa più grave è che la ristrettezza del suo stipendio è fra i suoi ultimi problemi.

Secondo la International Trade Union Confederation  (ITUC), la condizione di molti lavoratori stranieri in Qatar può essere definita solo come schiavitù del ventunesimo secolo. Il 99 percento della forza lavoro nel settore privato in Qatar è composta da lavoratori stranieri a cui spesso vengono confiscati i passaporti e a cui è vietato organizzarsi in sindacati o associazioni. Questa è la segnalazione che arriva da Human Rights Watch (HRW). Secondo l’organizzazione per i diritti umani, sono molte le denunce di abusi e violazioni dei diritti dei lavoratori registrate e vanno dal mancato pagamento dello stipendio al sovraffollamento nelle residenze in cui non vi è accesso ad acqua potabile. Nel rapporto di HRW del 2013 sul Qatar, si legge che la tratta illegale di persone e lo sfruttamento del lavoro forzato sono seri problemi nell’emirato che non ha introdotto mezzi legislativi adatti per combattere questi fenomeni.

Il vero dramma nel Paese è vissuto da oltre un milione e duecento mila lavoratori stranieri che rappresentano la maggioranza della popolazione del Qatar che non arriva a contare 2 milioni di abitanti in tutto. La maggior parte di loro lavora nel settore delle costruzioni che sta vivendo un boom grazie alla prospettiva di ospitare a Doha i Mondiali di Calcio del 2022. Operai indiani, nepalesi, filippini lavorano nei cantieri di Doha per costruire stadi, alberghi, palazzi, centri commerciali. Si lavora anche con temperature che superano ampiamente i 40 gradi. Per legge in Qatar non si può lavorare in cantiere se la temperatura supera i 50 gradi, ma molti di loro si sentono male prima di raggiungere queste temperature così estreme. Quando sui giornali si legge di un operaio morto cadendo da un’impalcatura di un grattacielo in costruzione, le alternative sono poche: un incidente per scarso rispetto degli standard di sicurezza, un suicidio o un malore dovuto al caldo. In ogni caso una tragedia che molti ritengono che si sarebbe potuta evitare migliorando le condizioni del lavoratore. Negli ultimi tre anni sono 44 gli operai indiani morti per cadute o incidenti sul lavoro in Qatar e i numeri vanno aumentando.

Secondo il Segretario Generale dell’International Trade Union Confederation, Sharan Burrow, durante la costruzione degli stadi per i Mondiali del 2022 in Qatar moriranno più lavoratori dei giocatori di calcio che entreranno in campo.

La vita è difficile anche per coloro che decidono di sottrarsi a queste condizioni. I lavoratori stranieri a Doha non possono lasciare il Qatar senza l’autorizzazione del loro datore di lavoro che dovrà firmare un exit permit o permesso di uscita. Secondo le leggi dell’emirato, un lavoratore straniero non può neanche cambiare lavoro senza previa autorizzazione. Si è di fatto prigionieri.

Jayraj Maria Thankaiyan è indiano e lavora in un cantiere a Doha e non gli è stato pagato lo stipendio per tre mesi. Nella stessa situazione sono altri trenta operai che lavorano con lui. Il loro stipendio è di poco più di 100 dollari al mese. Questo li rende più prigionieri di quanto già non fossero poiché ora non hanno neanche i soldi per poter decidere di lasciare il Qatar e tornare a casa dalle loro famiglie in India che sono ogni giorno un po’ più affamate. Thankaiyan è uno dei pochi che vince paura e timidezza, ci mette la faccia e parla di fronte a una telecamera di Al Jazeera per denunciare la sua condizione.

Un tentativo che rimane inascoltato nella ricchezza del Qatar che non è disposto a cedere parte del suo benessere per rendere la vita di circa il 90 percento della sua popolazione almeno accettabile.

Vai a www.resetdoc.org

  1. Salve io posso parlare della mia esperienza a Doha ,ho fatto il festival della cucina italiana ho lavorato per due mesi senza avere lo stipendio ,uno dei soci si chiamava ROSARIO SIMONELLI e l’altro NEAL KATARINO, HO VISTO BENE LA SITUAZIONE HO LAVORATO AL DIPLOMATIC CLUB A DOHA UN POSTO DI LUSSO LA MANAGER UNA ITALIANA SI CHIAMA SERENA

Rispondi a Luciano Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *