
Marc Lazar
Storico e politologo, professore emerito a Sciences Po e titolare della Cattedra BNP-BNL-Paribas “Relazioni italo-francesi per l’Europa” alla Luiss, Marc Lazar è tra i maggiori osservatori della politica francese ed europea. Nel suo ultimo libro Pour l’amour du peuple. Histoire du populisme en France, XIXe–XXIe siècle (2025) ha ricostruito le radici del populismo francese, mentre in Left. Crisis and challenges of the European left (end of Twentieth century–2020s) (2024) ha analizzato le difficoltà della sinistra europea. Già con Ilvo Diamanti, in Peuplecratie (2018), aveva descritto l’irruzione del “popolo” come nuovo protagonista della politica. Lo incontriamo in un momento di profonda incertezza politica, con la Francia che si trova ancora una volta di fronte alla prospettiva dell’instabilità istituzionale.
Professor Lazar, ma perché la Francia, una delle economie più forti d’Europa, viene oggi definita un nuovo “malato” del continente? Era toccato alla Grecia, poi all’Italia con Silvio Berlusconi, quindi alla Germania… Come è possibile che una manovra finanziaria abbia fatto cadere il governo di François Bayrou?
In Francia il livello di diffidenza politica è enorme ed è iniziato già prima dell’ascesa di Emmanuel Macron all’Eliseo nel 2017. Negli anni precedenti si erano alternati Sarkozy e Hollande, ma i francesi hanno sempre avuto la sensazione che i problemi, soprattutto sociali, restassero irrisolti. Questo nonostante la Francia disponga di un sistema di protezione sociale tra i più generosi d’Europa. Alcune restrizioni al welfare, tuttavia, sono state molto mal vissute.
La vittoria di Macron nel 2017 fu una sorpresa: si presentava come un outsider, ma ha finito per deludere. Anzi, ha suscitato un livello di ostilità senza precedenti. È profondamente detestato non solo dal Rassemblement National e dalla destra radicale, ma anche da una parte della destra non ha mai accettato la sua vittoria, convinta che François Fillon avrebbe dovuto prevalere dopo cinque anni di governo socialista. Dalla sinistra invece Macron fu accusato di aver “tradito” Hollande, di cui era stato ministro dell’Economia, mentre è avversato dalla France Insoumise. Macron è inoltre profondamente rigettato dai ceti popolari, che lo percepiscono come arrogante e distante.
Dunque alle radici c’è una grande sfiducia sul piano politico…
Questa crisi di fiducia si intreccia con la situazione sociale. In Francia c’è quella che Tocqueville chiamava “passione per l’uguaglianza”: una forte sensibilità verso le disuguaglianze sociali, di genere, territoriali e generazionali. Marcata perché il welfare è stato storicamente solido, anche se oggi funziona meno bene. C’è poi una dimensione culturale e identitaria. La Francia si interroga su sé stessa: “chi siamo noi, francesi?”. Un tempo grande potenza, oggi è percepita come una media potenza, e questo genera un diffuso malessere culturale. A ciò si aggiunge la questione migratoria. La Francia ha una lunga storia di immigrazione fin dall’Ottocento, ma oggi la diversità crea tensioni perché il modello classico di integrazione – libertà nel privato e laicité nello spazio pubblico – funziona molto meno rispetto al passato.
Tornando all’economia: come si è arrivati a un debito così elevato, pari al 114 per cento del PIL, e a un deficit pubblico del 5,8 per cento del PIL, al punto da costringere Bayrou a immaginare misure estreme e impopolari come la manovra, con tagli da 44 miliardi di euro, ma anche all’abolizione di alcune festività?
Le spiegazioni sono due. Primo: le spese pubbliche sono sempre rimaste elevate, anche per effetto dell’invecchiamento della popolazione. La sinistra accusa Macron di aver favorito le imprese con sgravi e sussidi senza risultati tangibili in termini di crescita. Secondo: la pandemia. Le misure adottate durante il Covid-19 hanno comportato una spesa eccezionale, senza paragoni con altri Paesi, facendo crescere il debito. Poi c’è stata la crisi dell’energia con aiuti da parte dello Stato.
Oggi la Francia paga interessi molto alti. La situazione è seria, anche se non comparabile alla Grecia. Il Paese resta sostenuto da grandi multinazionali, da un apparato amministrativo ancora efficiente, università di eccellenza e una vitalità economica che non va sottovalutata. Sul piano demografico, il tasso di natalità resta uno dei più alti dell’Unione Europea, sebbene in calo negli ultimi due anni, riaccendendo l’antico dibattito sul “declino demografico”.
Declino demografico e immigrazione alimentano da decenni la crescita della destra radicale. Da Le Pen padre fa oggi, nessuno è riuscito a fermarne l’ascesa: né Sarkozy, né Hollande, né Macron. Perché?
Oggi RN supera il 33 per cento dei consensi. È un fallimento della politica francese. Sarkozy cercò di arginare l’estrema destra facendosi portavoce dei suoi temi, soprattutto sull’immigrazione, ma i risultati economici del suo quinquennio furono deludenti. Hollande ebbe tutti i poteri ma fu un disastro politico ed economico. Macron aveva promesso di ridurre drasticamente il consenso del RN: anche lui ha fallito.
I francesi hanno l’impressione di aver provato tutto: la destra, la sinistra, il centro, persino l’outsider Macron, senza miglioramenti concreti. Da qui l’idea: “perché non provare il RN?”. Il loro successo si fonda su due pilastri: immigrazione e identità. La sinistra è divisa: c’è chi vuole essere duro contro l’immigrazione irregolare e chi mantiene una linea internazionalista e accogliente. Il RN ha saputo imporre il proprio linguaggio: tagliare i sussidi agli immigrati è visto come soluzione al debito, anche se i numeri dicono il contrario.
E la sinistra? Non è riuscita nemmeno lei a interrompere questa deriva, anzi ha alimentato la percezione di un’élite distante. Hollande, per esempio, con i socialisti è stato visto come tecnocratico ed elitista. Macron ha addirittura chiuso l’ENA, la scuola d’élite per eccellenza, senza però cambiare nulla.
La sinistra francese ha praticato un riformismo “vergognoso”, incapace di dichiararsi tale. Hollande in campagna elettorale disse “il mio nemico è la finanza”, salvo poi non fare nulla in quella direzione, deludendo gli elettori. Oggi il Partito Socialista conta meno di 40mila iscritti e sopravvive grazie alla rete delle municipalità. Non ha mai fatto un bilancio politico del quinquennio di Hollande, né ammesso errori, né rivendicato successi.
Quanto a Macron e alla chiusura dell’ENA, fu una decisione demagogica, nata sull’onda della crisi dei Gilet Gialli. In realtà ha semplicemente ricreato un’istituzione simile. Ma il problema è più ampio: in Francia la sfiducia non riguarda solo la politica, ma l’intero mondo delle élite. C’è un rigetto complessivo della classe dirigente, mai visto a questo livello. La Francia ha bisogno di ricostruire fiducia, di “fare società”, come diciamo noi. In passato, pur nelle divisioni tra comunisti e gollisti, esisteva un cemento comune: la Francia stessa. Oggi la società appare frammentata politicamente, socialmente e culturalmente.
Le ultime elezioni legislative sono del luglio 2024. Che succederebbe in caso di elezioni anticipate?
Ci sono due possibilità. La prima: Macron tenta di modificare la legge elettorale introducendo un sistema proporzionale integrale, come fece François Mitterrand nel 1986. Quasi tutti i partiti sarebbero favorevoli, tranne i Républicains. In questo caso, i compromessi sarebbero inevitabili. Se invece la legge elettorale non cambia, allora si aprono due scenari: o il RN ottiene la maggioranza assoluta, oppure non ci sarà di nuovo nessuna chiara maggioranza. Nel secondo caso, le pressioni della France Insoumise e del RN per spingere Macron alle dimissioni diventerebbero enormi, aprendo una vera e propria crisi di regime. La lezioni di tutto ciò è che le istituzioni della Quinta Repubblica, concepite per garantire stabilità, non lo sono più.
Dunque l’impasse francese non è solo politica ed economica, ma anche istituzionale…
La France Insoumise chiede da anni una Sesta Repubblica. Non so se è la soluzione, ma di certo la Quinta Repubblica ha esaurito la sua spinta propulsiva, per citare Berlinguer a proposito della Rivoluzione d’Ottobre. Saranno necessarie misure di rinnovamento. Il secondo elemento di riflessione è la contraddizione dei partiti politici. Tutte le forze sostenevano che la Quinta Repubblica andasse corretta aumentando il peso del Parlamento. Dal 2022 ne hanno avuto l’occasione, ma hanno dimostrato di essere incapaci di inventare una forma di democrazia parlamentare con un potere esecutivo forte eletto dal popolo. Macron ha oggi una concezione quasi bonapartista, centralista: tutto dipende dal presidente. Si è sbagliato totalmente su questo.
La prospettiva di future vittorie del RN non è così lontana. Sta diventando o diventerà digeribile per l’Europa come è stata digerita o è in corso di digestione la destra italiana dei Fratelli d’Italia?
Ne dubito. Nel 2024, il RN ha avuto un’espansione elettorale impressionante, è presente ormai in quasi tutte le categorie sociali, non rappresenta più solo il voto popolare. In caso di nuove elezioni se RN combinasse una maggioranza assoluta con la vittoria a nuove presidenziali, la Quinta Repubblica si troverebbe di fronte a una stagione drammatica, senza paragoni con la situazione italiana sotto Fratelli d’Italia.
A differenza della Meloni, che fa parte del partito conservatore al Parlamento europeo, il RN ha un orientamento più radicale, più vicino a Orban: filo-russo, favorevole a ridurre i legami della Francia con l’Europa e che vorrebbe uscire con la NATO. In caso di vittoria, la Francia affronterebbe una gravissima crisi economica e finanziaria, con pesanti pressioni dei mercati, una crisi politica intensa, con rischio di grandi manifestazioni e possibili scontri. L’impatto non sarebbe solo nazionale: le conseguenze per l’Europa sarebbero enormi.
Immagine di copertina: sulla destra il presidente francese Emmanuel Macron in una stretta di mano con il primo ministro François Bayrou a Parigi il 5 settembre 2025. (Photo by Christophe Ena / POOL / AFP)


