Egitto, quando il cinema ritorna nelle periferie

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Il Cairo – Salma Tarzi in On the surface (2014) ha portato sul grande schermo il vero volto della rivoluzione egiziana del 2011. Il suo film ha aperto il festival D-Caf, diretto da Ahmed Attar, che ha riportato in vita sale semi-abbandonate del centro del Cairo (come il cinema Radio in via Talaat Harb e il night Club Shahrazade su via 26 luglio) tra proiezioni, performance e musica.

Al ritmo infernale di Okka e Ortega
Due aspetti rendono il film di Salma uno dei più interessanti degli ultimi anni sulle recenti rivolte che stanno cambiando le prospettive future dei giovani egiziani. Prima di tutto la rappresentazione non edulcorata dei quartieri popolari. In questo caso Matareyya, grande area disagiata dell’immensa capitale egiziana, si intravede nelle sue minuscole case, nei vicoli impolverati, nei mezzi di trasporto di fortuna e negli psichedelici matrimoni. A questo si aggiunge la musica shaabi (pop) di Okka e Ortega, due giovani di immenso successo, le cui tirate rap, con basi da discoteca e richiami alla musica pop degli anni Settanta, riempiono le feste di matrimoni ma anche le manifestazioni politiche dei movimenti secolari. I rapper cantano la bellezza delle giovani egiziane in Give me a kiss mentre raccontano i loro inizi, quando per una serata erano pagati tra le 10 e le 20 ghinee (poco più di due euro) o si esibivano gratuitamente.

I giovani che partecipano alle serate di Okka e Ortega non possono che finire in una danza orgiastica a torso nudo, mentre le ragazze, sebbene velate, si lanciano in balli incredibili brandendo le fiamme di piccole bombolette spray. I preparativi di ogni serata comprendono la costruzione di veri e propri palchi. «Abbiamo iniziato con assoli di basso a cui abbiamo aggiunto sintetizzatori, batterie e nuovi arrangiamenti», spiega Okka. «Qui e là abbiamo inserito i versi di Sayyed Derwish per costruire il nostro stile», rilancia Ortega. Spesso il segreto è l’improvvisazione. Dal tok tok (vespetta usata come comune mezzo di trasporto nei quartieri popolari) alla televisione, i due giovani, che negli ultimi anni hanno partecipato a vari film e viaggiato anche negli Stati Uniti, guardano sullo schermo di una minuscola tv tra i poveri negozi di Matareyya la loro prima intervista televisiva come il simbolo di un sensazionale riscatto. «Costruiamo le nostre vite a prescindere da chi sia il presidente – continuano – ci avevano detto che i Fratelli avrebbero proibito la musica», aggiungono con ironia i due rapper.

Uno sguardo alle rivolte, senza romanticismi
Proprio la desolazione della povertà è uno dei temi che infastidiscono il pubblico egiziano. Spesso le immagini delle strade ricolme di immondizia o case povere producono un senso di repulsione e non lo scatto della denuncia che queste nuove pellicole potrebbero generare. È il tentativo di registi come Ahmed Abdalla. Noto per il suo film sulla scena musicale di Alessandria, Microphone (2010), Ahmed ha realizzato uno dei racconti più significativi sulle rivolte del gennaio 2011, Farsha w Gatha (Rags and Tatters, 2013). Si parte con la violenta descrizione della notte del 28 gennaio, nelle ore in cui i detenuti fuggivano dalle carceri. Il giovane protagonista torna ai piedi di Qala, la Cittadella, nel cuore antico del Cairo, e viene picchiato da criminali, infiltrati nei comitati popolari.

Sono le immagini in arabo di Al Jazeera a motivare la protesta, mentre le moschee del suo quartiere chiedono ai giovani, dagli altoparlanti, di unirsi ai comitati popolari. «Ho tentato di raccontare le rivolte nel triangolo dei quartieri popolari di Sayeda Nafisa, Qarafa e Mansheya», spiega il regista. Si sentono i canti degli imam, mentre i feriti vengono curati nella moschea. Scorrono le testimonianze, come in un film che si trasforma in documentario, della madre di un giovane ferito, dei sufi della Città dei morti o tra i rifiuti dei raccoglitori di immondizia di Zebelin. «Ho scoperto come gli uomini vivessero con topi giganti (il cui terribile verso si distingue chiaramente nella pellicola, ndr). Il mio tentativo è stato di non romanticizzare gli eventi. Per esempio, mi spaventava l’aggressività dei componenti dei comitati popolari che mi hanno spesso fermato senza motivo», prosegue Ahmed. Al festival iper-commerciale di Abu Dhabi il film è stato duramente criticato per la rappresentazione che dà del paese. Eppure il tentativo di Ahmed, che già lavora ad un’altra pellicola la cui protagonista è una donna che cerca risposte, è stato di dar voce alla gente comune senza ipocrisie.

Per uscire dal «ghetto» di piazza Tahrir
Per questo, Yousry Nasrallah, allievo del maestro del cinema egiziano Youssef Chahine, in Après la bataille (2013) ha provato a spostare l’attenzione dal giorno della «battaglia del cammello» in piazza Tahrir (il 2 febbraio 2011) a Nazlet el Semman, quartiere ai piedi delle Piramidi dove vivono cavalieri e criminali, affiliati al Partito nazionale democratico (Pnd) dell’ex presidente Hosni Mubarak. La protagonista, interpretata dalla magnifica Menna Shalabi, ritorna nel quartiere da dove sono partiti gli uomini che avrebbero dovuto intimidire i manifestanti, pagati poche ghinee dal Pnd. Qui incontra Mahmoud, l’unico dei cavalieri ad essere caduto mentre galoppava verso i manifestanti.

A Nezlet i cavalli si accasciano al suolo per l’assenza di turisti e un muro, voluto da Mubarak, impedisce agli abitanti del quartiere di raggiungere le piramidi, nascondendo la povertà agli occhi del viaggiatore fugace. L’intera storia racconta il continuo corteggiamento tra borghesia di Zamalek e poveri di Giza, dove l’uno attrae l’altro all’infinito e senza una conclusione specifica. Haj Abdallah, il capetto del partito nel quartiere dei cavalieri assicura con non poca lucidità che «il paese tornerà come prima ma senza Mubarak». I continui contatti dell’attivista con i cavalieri di Giza determinano anche il tentativo di costruire una nuova coscienza politica. E così si discute animatamente della formazione di un sindacato. «Il tentativo di questo film non era la rappresentazione della rivoluzione ma di capovolgere l’immagine dell’Egitto e di mostrare certi aspetti della lotta di classe», assicura Yousry. «Il contesto in cui vivono dovrebbe rendere i cavalieri di Nezlet dei rivoluzionari: invece a loro basta essere pagati da Mubarak. Cosa impedisce di congiungere l’idea di rivoluzione con la realtà?», si chiede Yousry mentre scorrono le immagini del film. Il regista di Mercedes (1993) che ora sta lavorando ad un nuovo film sull’«orgasmo della borsa» al Cairo, crede che l’errore principale dei Fratelli musulmani sia stato di «non essere rigorosamente laici».

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