Egitto: prove di revisionismo, quando i leader del vecchio regime la fanno franca

Da Reset-Dialogues on Civilizations

In Egitto il revisionismo per le responsabilità del vecchio regime egiziano sembra solo all’inizio. Il tentativo di indagare sui mandanti delle violenze di piazza del 2011 viene messo in discussione dalla decisione della Corte di appello del Cairo. Infatti, l’ex presidente Hosni Mubarak, potrebbe essere presto libero. Il tribunale del Cairo ha accolto con riserva la richiesta degli avvocati dell’ex rais di scarcerare il loro assistito per scadenza del termine massimo della custodia cautelare. La Corte d’appello del Cairo ha stabilito per l’84enne rais egiziano la libertà condizionata, ma l’anziano leader del Partito nazional democratico (Pnd) resterà in carcere in attesa della prossima udienza fissata per l’11 maggio, mentre restano in piedi le accuse di corruzione e per doni ricevuti dal quotidiano governativo Al-Ahram.

Questa sentenza potrebbe aprire la strada all’impunità nei confronti delle responsabilità della polizia e del ministero degli Interni. L’ex ministro della giustizia, Ahmed Mekky, lo aveva anticipato commentando la prima sentenza di ergastolo del due giugno scorso. Mekky sottolineò come le assoluzioni per i dirigenti della polizia avrebbero aperto la strada al perdono per tutti gli imputati nel processo.

L’iter processuale: tra assoluzioni e colpi di scena

Si è partiti con le assoluzioni di sei dirigenti della polizia nel processo che ha visto Mubarak e il suo ministro dell’Interno, El-Adly, condannati all’ergastolo. La seconda tappa per azzerare le responsabilità del vecchio regime è arrivata con il processo ai colpevoli della cosiddetta battaglia dei cammelli. Secondo la Corte, la maggior parte dei testimoni ascoltati in quel caso era politicizzata. E quindi i temibili, Safwat Sherif, ex presidente della Shura (Camera alta), e Fathi Sorour, ex presidente dell’Assemblea del popolo sono stati prosciolti. Questa sentenza ha rappresentato un momento inquietante nella vicenda giudiziaria del post-Muabarak perché ha segnato il tentativo di ridimensionare le responsabilità nella repressione delle forze di polizia. Infine, i vertici della polizia sono stati prosciolti in occasione del processo contro i responsabili del massacro dello stadio di Port Said del febbraio 2012 con la condanna a morte di 21 tra tifosi e criminali.

Il tentativo di discolpare Mubarak era partito il 12 febbraio 2011, il giorno seguente l’annuncio del vice presidente Omar Suleiman che il vecchio leader avrebbe lasciato il Cairo, in seguito a 18 giorni di occupazione permanente della piazza. Da quel momento, Mubarak è stato prima trasferito a Sharm el-Sheykh, dove ha vissuto agli arresti domiciliari fino al processo del tre agosto 2011. Nei mesi seguenti è andato avanti un tentativo di umanizzare il principale responsabile di trent’anni di autoritarismo rappresentandolo come malato e in costante necessità di assistenza medica tanto che per la detenzione preventiva si è preferito optare spesso per il confortevole ospedale militare di Maadi piuttosto che per il nosocomio del carcere di Tora. Il tre agosto del 2011, Mubarak apparve per la prima volta dietro le sbarre, disteso su una barella da ospedale, sembrava il più grande successo delle rivolte.

Dopo la prima condanna di Mubarak e di El-Adly, gli avvocati della corte di Cassazione hanno azzerato il processo che è ripartito proprio nei giorni scorsi. L’ordine di annullare il processo ha facilitato il tentativo di revisionismo nei confronti dei leader del vecchio regime. Non solo ha dimostrato il corto circuito tra istituzioni del corso precedente e la spinta rivoluzionaria a chiarire le responsabilità e i soprusi di decenni di leggi d’emergenza e autoritarismo. Ma la sorpresa è arrivata dal presidente della Corte d’Assise del Cairo Mustafa Hassan Abdallah, lo stesso che aveva disposto le assoluzioni per i responsabili del giorno più duro delle rivolte, la battaglia dei cammelli, in cui si scontrarono in piazza Tahrir sostenitori e oppositori dell’ex presidente. Abdallah ha annunciato, nel corso della prima udienza, tra le contestazioni dei familiari delle vittime, la sua decisione di ritirarsi dal processo.

Commissione d’inchiesta: nuove rivelazioni inchiodano l’esercito

Dal canto loro, i pubblici ministeri hanno chiesto l’acquisizione di nuove prove, presenti in un memorandum di 700 pagine, che inchioderebbero inequivocabilmente i leader del vecchio regime. Non solo, le responsabilità di militari e polizia nelle violenze di piazza continuano ad emergere anche nelle anticipazioni delle inchieste ufficiali. La Commissione parlamentare, incaricata dal presidente islamista Mohammed Morsi, ha confermato la connivenza tra forze di polizia e soldati nelle violenze del 2011 che provocarono centinaia di morti nonché torture e sparizioni. Le prime rivelazioni sono emerse da uno dei capitoli del voluminoso lavoro investigativo. In alcuni casi l’esercito egiziano avrebbe ordinato ad alcuni medici di operare senza anestesia i contestatori rimasti feriti negli scontri e che furono ricoverati all’ospedale di Kobri el-Qoba al Cairo. Si tratta di un rapporto «estremamente importante», ha commentato Heba Morayef, direttore di Human Rights Watch in Egitto. «Fino a oggi non c’era stato un riconoscimento ufficiale da parte dello stato dell’eccesivo uso della forza da parte della polizia o dei militari. Questo rapporto per la prima volta è una condanna ufficiale della responsabilità che l’esercito ha avuto nelle uccisioni», ha aggiunto Heba.

Almeno mille persone sono scomparse nei giorni di occupazione della piazza. Hossam Bahgat, direttore dell’ong Iniziativa egiziana per i diritti umani non ha dubbi: «Con queste rivelazioni si getta luce su incidenti non resi noti prima che hanno coinvolto l’esercito in serie violazioni dei diritti umani. Finalmente si cerca di chiarire il ruolo giocato dalle forze armate nel sostegno a Mubarak contro le proteste dal giorno in cui i militari sono stati dispiegati per le strade del Cairo». Nel documento si fa riferimento direttamente all’assalto al Museo egizio del due febbraio 2011. Non solo ci sono le prove che il simbolo dell’arte dell’Antico Egitto sia stato usato come luogo di detenzione e tortura di manifestanti.

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