Arabia Saudita, l’ultimo risiko di Bin Salman

La leadership del principe della corona saudita Mohammed Bin Salman si trova ad affrontare il momento più critico finora mai gestito, segnato non solo dall’epidemia di Coronavirus in espansione nel regno, ma soprattutto dal crollo – l’ennesimo, in pochi anni – delle entrate petrolifere. Questa potrebbe essere l’occasione, per i nemici interni del reggente, di mettere in discussione la sua successione, ancora incerta.
Al momento, infatti, MbS (questo l’acronimo con cui la stampa fa riferimento al figlio cadetto di re Salman, ndr) è il primo della lista in caso di decesso del padre, anziano e malato, ma le cose potrebbero cambiare rapidamente.
La legge del sultanato prevede una successione orizzontale, di fratello in fratello. Così è stato fino al 2015, quando re Salman è asceso al trono dopo la morte del fratello Abdallah. Poi, due colpi di scena in successione hanno rivoluzionato le consuetudini: prima la designazione a principe della corona del nipote, Muhammad Bin Nayef, assai stimato dalle cancellerie occidentali per il suo impegno nella lotta al terrorismo; poi, nel giugno del 2017, la rinuncia “spontanea” di quest’ultimo e la fulminea ascesa ai vertici del regno di MbS.

Al momento giusto, però, sostengono alcuni osservatori delle dinamiche del Golfo, la tradizione successoria orizzontale potrebbe essere ripristinata: non tutti i fratelli di Salman sono deceduti e numerosi sono i cugini di MbS più anziani ed esperti di lui.
Intanto, il consenso nei confronti dell’uomo forte di Riyadh vive di alti e bassi.
L’aggressiva politica di sicurezza di MbS (è stato lui l’artefice dell’intervento armato in Yemen, rivelatosi un fallimento, e sempre lui ha condotto il regno a un passo dalla guerra con l’Iran), il suo rischioso piano economico all’insegna della diversificazione (Vision 2030), il giro di vite spregiudicato contro gli oppositori (di cui l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi il 2 ottobre 2018 sarebbe solo un tassello) hanno condotto numerosi elementi di spicco del casato a voltargli le spalle. Il dissenso serpeggia, c’è chi osa persino parlare con la stampa in termini critici, seppure coperto da anonimato.

Così il principe, anche vice primo ministro, prosegue nella sua opera di ‘potatura’ dei rami dell’albero genealogico a lui avversi: secondo i media americani, in piena crisi sanitaria avrebbe fatto arrestare tre, forse quattro, figure apicali della corte. Non ci sono conferme ufficiali, ma i nomi che circolano con più insistenza sono quelli dello zio Ahmed Bin Abdul Aziz, 78 anni, fratello minore di re Salman e in quanto tale possibile successore al trono; del cugino Muhammad Bin Nayef, 60 anni, considerato ancora uno degli uomini più influenti della corte, per quanto agli arresti domiciliari dal 2017 (quando, come già detto, fu indotto a un passo indietro) e suo fratello minore Nawaf Bin Nayef. Potrebbe essere stato arrestato dalle guardie fedeli al principe anche Nayef bin Ahmed, già numero uno dei Servizi segreti sauditi e figlio di Ahmed Bin Abdul Aziz.
Detto questo, alcuni analisti si chiedono se l’ascesa al trono di MbS sia imminente, magari dopo la conclusione della presidenza saudita del G20, a fine anno. Queste mosse aggressive, però, potrebbero anche essere il campanello di allarme di complotti intercettati e sventati prima della loro messa in atto.

 

Gigante fragile
Anche sul piano regionale il principe ereditario è osteggiato: a parte il ‘pantano’ yemenita, che ha messo in crisi l’alleanza con i sovrani degli altri emirati, di recente la scelta di chiudere i luoghi santi dell’Islam per contenere i contagi da Coronavirus ha creato grande malumore nella Umma (la comunità dei fedeli musulmani). Un severo coprifuoco è stato introdotto a Mecca e Medina, mentre tutte le attività commerciali e produttive non essenziali sono state bloccate.

Di tutte le decisioni adottate dal reggente nell’ultimo mese, tuttavia, quella che potrebbe costare più cara all’Arabia Saudita e al suo aspirante sovrano è il taglio del 10% del prezzo del greggio, concepito come rappresaglia contro Mosca, rifiutatasi di firmare un accordo con i Paesi esportatori di petrolio (Opec) per la riduzione della produzione. A causa del diffondersi del virus Covid-19, infatti, la domanda di greggio nel mondo si è ridotta drammaticamente: un taglio dell’offerta concordato potrebbe sostenere la tenuta dei prezzi e, di conseguenza, le economie dei maggiori produttori. Ma la Russia di Vladimir Putin ha altri progetti, forte di asset nevralgici anche nel comparto del gas.
Al momento, la guerra energetica scatenata da Mohammed Bin Salman sembra penalizzare prima di tutto il regno, la cui Borsa ha perso più del 10% subito dopo la riduzione del prezzo al barile. Così anche le azioni della società petrolifera nazionale, Aramco, gallina dalle uova d’oro dei Saud: MbS ha puntato tutte le sue fiches sul successo della parziale privatizzazione di Aramco, avviata a dicembre. Numerosi i sudditi che hanno acquistato pacchetti di titoli e che si aspettano ricchi profitti. Se così non fosse, al 35enne Mohammed mancherebbero, in un colpo solo, sia i miliardi di dollari necessari a finanziare la transizione economica pianificata sia il sostegno popolare alla sua politica tutta fuoco e fiamme.

Una strategia allergica a qualsiasi regola, caratterizzata anche da periodiche ‘purghe contro la corruzione’: la più celebre operazione è quella che ha condotto al sequestro di 300 membri del casato regnante, confinati nel novembre del 2017 all’interno del lussuoso resort Ritz. Tutti furono rilasciati dopo il pagamento di ingenti somme di denaro: una sorta di ‘cauzione’, spiegata all’opinione pubblica come restituzione di capitali e beni sottratti allo Stato in modo fraudolento.
A metà marzo di quest’anno, invece, centinaia di funzionari statali e ufficiali delle Forze armate sono stati indagati e arrestati nell’ambito di una inchiesta per malversazione e sottrazione di fondi pubblici del valore di 100 milioni di dollari. La stampa saudita, questa volta sì, ne ha dato ampia copertura. Come d’altronde ha fatto anche con gli eventi culturali aperti alla collettività – concerti, pièces teatrali, mostre – organizzati a Riyadh per volere del principe a partire dalla fine del 2019. Appuntamenti accessibili anche alle donne, protagoniste di alcune aperture sociali e politiche significative nell’ultimo biennio.

Sempre le donne, però, sono le prime vittime di uno strabismo politico inquietante: sono ancora in carcere, due anni dopo il loro arresto, le attiviste Loujain al-Hathloul, Samar Badawi, Naseema al-Sada, Nouf Abdulaziz e Maya’a al-Zahrani. Sono accusate di tradimento e attentato alla stabilità del regno, due reati punibili con il massimo della pena. Erano sostenitrici del diritto alla guida per le donne, poi finalmente accordato alle suddite saudite nel 2018. Questo non ha cambiato la loro posizione di ‘sovversive’ di fronte alla legge.
Ecco, è la schizofrenia del corso politico contemporaneo che disorienta gli alleati dell’Arabia Saudita: le incognite sulla figura della testa calda Mohammed Bin Salman rimangono troppe, in un quadro regionale sempre più irrequieto.

  1. Penso anch’io che gli insuccessi di Mbs siano tanti.Però è di oggi una notizia dell’accordo con Putin sulla riduzione della produzione del petrolio,cui dovrebbe seguire un aumento del prezzo del barile. E gli avversari del principe saudita non mi sembrano poter disporre delle forze sufficienti per scalzarlo. Salvo nuovi errori di Mbs.

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