Chi è Nate Silver, protagonista di #Usa2012

Nate Silver è uno dei nomi da coprtina di questa #Usa2012. L’analista del blog FiveThirtyEight, ospitato dal New York Times, ha calcolato esattamente i risultati di tutti e cinquanta gli Stati al voto. Talvolta sbeffeggiato dalle testate giornalistiche – come ricorda Forbes – il genio statistico di Silver, secondo il Knight Digital Media Center, ha messo in luce proprio la differenza tra la sua copertura delle elezioni e quella del giornalismo tradizionale. E l’intero pezzo finisce per suonare come una chiamata alla formazione di nuove squadre di data journalists. O per dirla con l’op-ed di Mashable, “Il trionfo dei Nerds”.

La vittoria dell’America “vera” e “nuova”

Nella notte più seguita dal mondo intero, a vincere è stata la “Real real America”- per copiare il titolo del commento di Paul Krugman. Non la “real America” dei bianchi che vivono nelle aree non urbane, ma quella sempre più multietnica e più tollerante, dal punto di vista razziale come da quello di genere. “Dio, le armi e i gay non hanno traghettato i voti a supporto degli interessi delle aziende; invece, è stata la dignità per le donne a traghettare voti nell’altro senso.”

E in effetti, come nota Howard Fineman dalle pagine dell’Huffington Post, i voti dei Latinos, degli afroamericani, degli asiatici sono andati in larghissima parte ad Obama. Così quell’America “vera” dell’analisi di Krugman, diventa “nuova” nel testo di Fineman: “Il Presidente Barack Obama non ha solo guadagnato la rielezione. La sua vittoria segna il trionfo della nuova America del 21esimo secolo: multirazziale, multietnica, globale nel suo modo di pensare e che muove i suoi passi oltre secoli di tradizione razziale, sessuale, coniugale e religiosa.”

Adesso, gli occhi puntano al domani e a quel “The best is yet to come”, fieramente scandito da Barack Obama durante il suo discorso, subito dopo i risultati elettorali. L’editoriale del Washington Post ha titolato “Adesso inizia il lavoro duro”, facendo riferimento alle promesse – tra quelle fatte quattro anni fa – non ancora mantenute. Mentre il New Yorker ha ipotizzato quelli che potrebbero essere alcuni degli obiettivi della seconda amministrazione Obama. Ma, sempre dalle pagine online dello stesso magazine, John Cassidy invita a non guardare al domani, ma piuttosto a quanto appena accaduto, “che è già abbastanza storico”. “Per la quinta volta nel giro di sei elezioni – spiega infatti il giornalista – i Democratici hanno vinto il voto popolare. Per la seconda volta di fila, gli americani hanno votato un uomo di colore, lo stesso uomo di colore, come Presidente. Lungo il Paese, repubblicani estremisti come Todd Akin e e Richard Mourdock sono stati ripudiati. I cittadini del Maryland e del Maine (e probabilmente anche quelli dello stato di Washington) hanno votato in favore dei matrimoni tra gay. Gli Stati Uniti del 2012 non si sono trasformati nella Scandinavia, ma non sono nemmeno gli Stati Uniti del 2010 e del Tea Party”. La vittoria di Obama è stato “il trionfo della moderazione sull’estremismo, della tolleranza sull’intolleranza, del futuro poliglotta sul passato monocromatico”.

La sconfitta del GOP

Posate le armi, dall’altra parte della barricata, i Repubblicani si leccano le ferite ed esaminano la loro coscienza. Al di là dell’ironia fatta da The Onion che dedica un breve pezzo all’ipotetica notte insonne di Todd Akin, passata a domandarsi “cosa è andato storto” (ndr. Todd Akin, candidato repubblicano al Senato per lo Stato del Missouri – non eletto – aveva ottenuto le attenzioni della cronaca internazionale nell’agosto scorso per un’infelice dichiarazione sull’aborto in caso di stupro); il commento di Thomas Friedman, columnist del New York Times, suggerisce perché gli Americani abbiano voluto dare un’altra chance ad Obama, scegliendo “Hope and change, again” nonostante piaghe come la crisi economica e la collaterale disoccupazione ne abbiano contrassegnato la prima presidenza. “Il GOP ha perso due elezioni presidenziali di fila perché spinge i propri candidati così a destra per passare le primarie, dominate dalla base ultraconservativa, da non riuscire a riavvicinarsi abbastanza al centro per conquistare le elezioni nazionali.”

Un’analisi dell’elettorato della destra americana, arriva dalle pagine del sito The Nation, dove Jon Wiener sottolinea che “se martedì avessero votato solo i bianchi, Mitt Romney avrebbe conquistato ogni Stato, a eccezione del Massachusetts, dell’ Iowa, del Connecticut e del New Hampshire”. Gli elettori tipici della destra diventano, nel pezzo di Wiener, maschi, anziani e bianchi, ossia coloro che erano abituati, nel passato, a “gestire ogni cosa”: “venti anni fa i bianchi erano l’87% dell’elettorato; quest’anno erano il 72%.”

Salon, infine, raccoglie i tweet avvelenati di un Donald Trump che perde pubblicamente le staffe di fronte alla débacle della sua parte politica.

La vittoria delle donne

Nella “War on women” della retorica elettorale repubblicana, alla fine sembrano averla spuntata le donne. Il numero delle elette al Senato americano, segna di nuovo un record, con ben 20 poltrone colorate di rosa. L’infografica proposta dall’Huffington Post evidenzia gli Stati che hanno preferito una rappresentante femmina, mentre quella – in continuo aggiornamento – del Washington Post, mostra i cambiamenti nei voti, dalla tornata elettorale del 2008 a quella di pochi giorni fa.

Tuttavia, nonostante il trionfo elettorale, il voto delle donne non sembra essere stato così determinante nella rielezione di Barack Obama. Un bene, secondo il punto di vista espresso da Slate che definisce questa vittoria come “ancora più dolce”, sottolineando come l’espressione di un voto di genere avrebbe evidenziato un’emarginazione delle donne. “Quello che le donne hanno mostrato in questa elezione è una realizzazione, un lento e persistente aumento di potere che non ha nulla a che vedere con la politica di facciata del 1984” (ndr. Quello che fu definito “l’anno delle donne”, con la vice presidenza americana affidata, per la prima volta, a una donna).

Ma, sebbene non proprio di facciata, la vittoria delle donne appare comunque mutilata dall’esito del referendum della Florida, che ha visto rigettare l’abolizione dei finanziamenti all’aborto. Tutt’altro risultato, hanno avuto quelli a favore del matrimonio omosessuale (passato negli stati di Washington, Maryland, Minnesota e Maine – benché in quest’ultimi due, fosse solo consultivo). La nuova mappa interattiva delle unioni gay negli States, viene disegnata dal sito Mother Jones.

 

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