Oggi parla Napolitano. Che governo sarà?

 

Il Corriere della Sera: “Governo, favorito Amato. Napolitano oggi si insedia, mercoledì darà l’incarico. Si lavora a un esecutivo di larghe intese, ma il tentativo è a rischio per le divisioni del Pd”. L’editoriale, firmato da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, è rivolto al governo: “E adesso pensate a famiglie e imprese”.

 

Il Sole 24 Ore: “Un Governo per lavoro e imprese. Oggi l’appello alla responsabilità di Napolitano. Grilli: credito debole peggiora la recessione. Nell’agenda la revisione della Fornero e Cig, investimenti, liquidità per le imprese e cuneo fiscale, ma servono subito 7-10 miliardi”.

 

La Repubblica: “Renzi: ‘Così rifonderò il Pd’. ‘Sfida a Grillo sul cambiamento: governo di un anno, poi il presidenzialismo’. Intervista al sindaco. Rischio scissione tra i democratici. Conferenza stampa dell’ex comico: ‘Golpettino’. I militanti invadono il Colosseo”. A centro pagina: “Bankitalia: ecco il patto antispread”. Di spalla: “’La Chiesa non tacerà’”, intervista al cardinal Ruini, ospite ieri de “La Repubblica delle Idee”.

 

La Stampa: “Napolitano, subito il governo”. “Oggi cerimonia ridotta al minimo. Grillo a Roma: è stato un golpettino furbo. Partiti divisi: il Pd non vuole il premier, il Pd per un forte esecutivo politico”. “Alle 17 il giuramento alla Camera: speditezza e sobrietà le parole chiave. Domani consultazioni lampo, poi incarico e ministri”.

 

L’Unità: “Napolitano: il governo subito. Oggi il Capo dello Stato porrà le sue ‘condizioni’. Esecutivo politico? Tensione alta nel Pd”. A centro pagina: “Pressing su Bersani, resti fino al congresso”.

 

Il Giornale: “Sì all’accordo, ma via l’Imu. Nelle larghe intese il Pdl deve portare il suo programma: giù le tasse e aiuti a imprese e famiglie. Berlusconi: due anni di riforme oppure meglio votare subito”. A centro pagina, con foto: “Grillo si rimangia il golpe”.

 

Governo, Renzi

 

Matteo Renzi viene intervistato da La Repubblica ed invita il Pd ad “accettare la sfida di un ‘infingardo’ come Beppe Grillo, dettando l’agenda del governo che sta per nascere. ‘Mettiamoci la faccia anche con un nostro premier”, dice, ma “indicando le priorità a cominciare dall’emergenza lavoro e senza paura del popolo del web. Un esecutivo che duri non più di un anno per poi tornare al voto con una nuova legge elettorale e dopo aver approvato un pacchetto di provvedimenti che diano una boccata d’ossigeno ai cittadini. E magari dopo aver introdotto l’elezione diretta del capo dello Stato”. Dice Renzi che il Pd “ha avuto una strategia perdente in quasi tutto. Ha inseguito le formule e i tatticismi regalando la leadership della discussione una volta a Grillo, una volta a Berlusconi. Ha rincorso e non ha guidato Questa è una settimana decisiva per imprimere una svolta”. Le proposte che il Pd dovrebbe fare: “Io dico: taglio netto non ai costi ma ai posti della politica. Via il finanziamento pubblico dei partiti. Trasparenza nelle spese dei partiti e della Pubblica Amministrazione. Io non voglio darla vita ai grillini. Sugli ‘open data’ siamo più bravi noi. La trasparenza non è lo streaming, non è il Grande Fratello, non è la morbosità ma è rendicontare le spese. E sapere cosa ci fa Grillo in Costa Rica”. E tutto questo lo si può fare con un governo insieme a Berlusconi? “Non mi interessa questa discussione sulle larghe intese o su Berlusconi. Non mi preoccupa il Pdl, con loro abbiamo già fatto un governo. Pensiamo a quel che si deve fare. Tutti sanno che io sono per andare a votare subito, ma è evidente che dopo la conferma di Napolitano al Quirinale le urne sono improbabili. Vogliamo continuare a parlare di questo o di cosa far? Io preferisco indicare le priorità, altrimenti buttiamo via altri giorni preziosi”. L’esecutivo può durare “il meno possibile” “ma se in sei mesi o in un anno realizza un po’ di questi interventi, ci guadagna il Pd e il Paese”. Chi dovrebbe presiederlo? “Intanto mettiamoci la faccia. Non si abbia paura di tutto, non inseguiamo i grillini. Mettiamoci la faccia e diciamo noi quel che va fatto”, “dimostriamoci leader e non follower”, “non si può essere terrorizzati da un tweet”. Si candida a guidare il Pd? “Non so come, non so quando, ma io ci sono. Ora non voglio aprire un dibattito su di me, non sono in cerca di una seggiola. Io in questo partito ci sono e ci resterò con Fassina e con Orfini. Non mi candiderò per il gusto di candidarmi. Bersani ha vinto alle primarie ma la sua linea è stata sconfitta”. Del progetto di Fabrizio Barca dice di non averlo capito, ma precisa: “Io voglio un partito che coinvolga le persone e le speranze ideali. Un partito concreto, su questo anche Barca ben venga”. Su Grillo: “Si prenda atto che Grillo con parole d’ordine tipo ‘golpetto’ va preso sul serio. Sfidiamolo dicendogli “sei un infingardo”, ‘tu parli e noi lavoriamo per davvero’. Poi Vendola: lui è fuori, apra il cantiere a sinistra, una formazione alla mia sinistra non mi fa paura. Noi siamo il Partito Democratico di Obama, di Hollande, di Clinton”. Dice ancora di essere in contatto con Vendola: per provare a governare insieme? “Ci penseremo al momento opportuno”, “di sicuro lui ha sbagliato sul Quirinale. Inaccettabile insistere su Rodotà davanti alla disponibilità di Napolitano”. Sul siluramento di Marini: “Sarebbe stato un passo indietro”. Su Prodi: “Io ho difeso Prodi a spada tratta”. Poi apre ad una ipotesi di elezione diretta del Capo dello Stato. E sulla legge elettorale da modificare propone l’adozione del sistema dei sindaci.

 

Governo, Pd

 

Domani la Direzione del Pd dovrebbe votare sulla linea che il partito dovrà tenere rispetto al prossimo esecutivo. “Il Pd ora non vuole il premier”, scrive La Stampa. “La Bindi stoppa un governo Letta, anche i ‘giovani turchi’ puntano a non legarsi le mani. Domani vertice”.

“La Direzione deciderà chi traghetterà il partito fino al Congresso”.

Il Corriere della Sera scrive del pressing su Bersani perché faccia rientrare le proprie dimissioni o, quantomeno, le congeli fino al Congresso che verrà. E il caso degli ex Ppi, che vorrebbero che Bersani portasse il partito fino al Congresso perché temono che la dipartita politica del segretario coincide con quello che il Corriere definisce un “game over” per tutti loro: “E non vorrebbero togliere il disturbo adesso, né tantomeno intendono assoggettarsi all’era renziana”. Il quotidiano racconta come i Democratici litighino anche su chi dovrà presentarsi alle consultazioni: la composizione della delegazione verrà formalizzata domani in direzione, certamente ci saranno i capigruppo di Camera e Senato Speranza e Zanda. Il parlamentino Pd dovrà decidere anche con quale mandato la delegazione dovrà affrontare le consultazioni. E qui lo scontro sarà inevitabile, vista la forte opposizione della sinistra, attratta da Vendola e Grillo, a un governo di larghe intese con il Pdl.

Su L’Unità: “Esecutivo politico? Nel Pd si apre lo scontro più pericoloso”. Le contestazioni si appuntano anche sulla presenza di Enrico Letta alle consultazioni, anche perché si fa il suo nome per un possibile incarico. E su questo ieri ha alzato la voce Rosy Bindi: “Ho grande stima per Enrico Letto, e penso che sarebbe capace di guidare un governo. Ma questo non è il momento”. Anche L’Unità scrive che l’ipotesi di un governo politico in cui convivano ministri del Pd insieme a quelli del Pdl sta già provocando fibrillazioni all’interno dei gruppi parlamentari democratici. L’attesa per il discorso che oggi pomeriggio il capo dello Stato farà a Montecitorio è alta, ma sono già diversi i deputati e senatori Pd che, secondo il quotidiano, annunciano il loro no alla fiducia nel caso si prefiguri un governo di larghe intese.

Michele Emiliano, sindaco di Bari, intervistato da L’Unità, ammonisce: “Il Pd ha escluso in due direzioni consecutive di governare con il Pdl. Se Napolitano vuole un governo di scopo, non serve l’ingresso di esponenti Pd”. Il cronista chiede se Emiliano voglia un altro governo tecnico, e lui risponde: “Preferirei l’incarico a Berlusconi con il nostro appoggio esterno. Oppure sì a Monti, o altro leader. Noi stiamo fuori e votiamo la legge elettorale e pochi altri punti”.

La Repubblica spiega che in alternativa ad un governissimo (con dentro Enrico Letta ed Angelino Alfano) circola l’ipotesi di un “governo del Presidente”, guidato da Amato o da un’altra personalità più neutra, ma senza politici in vista al suo interno. Lo stesso quotidiano scrive che “impazza il totoministri”, che il capo dello Stato, vista la situazione d’emergenza, per quel che riguarda il Ministero dell’economia, vorrebbe andare sul sicuro pescando nel bacino di Bankitalia (il direttore generale Saccomani, oppure il saggio Salvatore Rossi , membro del direttivo di Bankitalia), a meno che non resti l’attuale titolare Grilli per assicurare continuità al dicastero. Secondo La Repubblica l’ossatura della squadra “tecnico-politica” del governo cui starebbero lavorando al Quirinale sarebbe composta da molti dei dieci saggi che hanno redatto le proposte bipartisan (più il ministro dell’interno Cancellieri, che dovrebbe restare al suo posto).

Su La Stampa Marcello Sorgi dedica una intera pagina al “metodo Napolitano” per aggregare personalità condivise. Nell’esecutivo ci sarebbero cioè tecnici e politici di area, ma in grado di dialogare. I nomi che vengono citati sono quelli di Sergio Chiamparino, Stefano Rodotà, Emma Bonino, Anna Maria Cancellieri, con un elenco che si allarghi fino ad arrivare a Salvatore Settis o Milena Gabanelli. Secondo Sorgi non ci sarebbe da stupirsi che il Presidente ritenesse di richiamare qualcuno dei saggi come ministro: “In questo caso – si scrive – sarebbe veramente spiacevole che dai partiti o dalle aree di provenienza di alcuni di loro, più vicini alla politica, venissero dei veti” (vedi Quagliariello, Violante, Giorgetti).

Il Giornale titola: “Trattative, è già l’ora dei veti incrociati”, “strade in salita per le larghe intese tra Pdl, Pd, centristi e Lega. Spunta Grasso come premier”. Si legge che “l’opinione prevalente dentro il Pd è quella di limitare al massimo la presenza di politici, e vendere all’esterno questo esecutivo come ‘governo del Presidente’ mutuando come base programmatica il documento elaborato dai ‘saggi’ nel quale erano presenti soluzioni condivise sui temi istituzionali ed economico-sociali. Il Pdl invece non è entusiasta di una riproposizione del governo Monti con una pitturata di politica”.

Sullo stesso quotidiano: “Berlusconi: ‘due anni di riforme o si vota’”. Dove si spiega che il Cavaliere sa bene che il consenso guadagnato in questi due mesi potrebbe svanire se il Pdl si impelagasse in esecutivo Pd-Pdl di basso profilo oppure in un governo pseudotecnico.

Su La Stampa: “Il veto di Berlusconi su un governo tecnico”.

 

Sul Corriere della Sera in prima pagina Alberto Alesina e Francesco Giavazzi scrivono che chiunque guiderà il prossimo governo dovrà avere in campo economico due priorità: abbassare le tasse sul lavoro e sugli investimenti, e far ripartire il credito a famiglie e imprese. Il taglio della pressione fiscale deve essere significativo. Dove trovare le risorse? Dieci-dodici miliardi di sussidi si possono abolire da domani, e il rapporto predisposto da uno dei due economisti (Giavazzi, su incarico del governo uscente) contiene l’elenco e un provvedimento di legge già pronto. Non ci si può permettere il lusso di “continuare a finanziare servizi sostanzialemtne gratuiti, anche per i ricchi, a partire da università e sanità. Ai ricchi va offerto uno scambio: meno tasse, ma in compenso cominceranno a pagare alcuni servizi”. Anche sul fronte della agevolazioni fiscali qualcosa si può recuperare subito: gli incentivi alle rinnovabili costano a famiglie e imprese, che li pagano in bolletta, oltre 10 miliardi l’anno. E una parte di questi denari “sono una rendita concessa a chi ha investito nelle rinnovabili”. La seconda priorità per i due economisti è far ripartire il credito: le banche non prestano perché non hanno abbastanza capitale. E’ urgente costituire delle bad bank (che vuol dire togliere i crediti andati a male dai bilanci delle banche) perché solo banche “ripulite” possono attirare nuovi investitori. Sono i vecchi azionisti, ovvero le fondazioni, ad opporsi a questa operazione perché essa evidenzierebbe le loro perdite, che ora vengono tenute nascoste.

 

Quirinale, Rodotà

 

Stefano Rodotà risponde su La Repubblica ad Eugenio Scalfari, che ieri su aveva parlato della sua candidatura al Quirinale. A pagina 29 anche la controrisposta di Scalfari. Scrive Rodotà: “La mia candidatura era inaccettabile perché proposta da Grillo?”, “è infantile, in primo luogo, adottare questo criterio, che denota, in un partito, l’esistenza di un progetto fragile, insicuro, timoroso di perdere una identità peraltro mai conquistata”. Rodotà ricorda quando, all’indomani dell’assassinio di Falcone, il Pds obiettava alla candidatura di Oscar Luigi Scalfaro che non si poteva votare il candidato “imposto da Pannella”: “mi adoperai con successo, insieme ad altri, per mostrare l’infantilismo politico di quella reazione”. Rodotà ricorda anche l’iter che ha preceduto la sua candidatura: non soltanto in rete, c’erano appelli che la auspicavano. E conclude: “Rimango quello che sono stato, sono e cercherò di rimanere: un uomo della sinistra italiana, che ha sempre voluto lavorare per essa”.

Scalfari per parte sua precisa di aver consigliato a Bersani “per il tramite dell’amico Luigi Zanda, di prendere contatto con Rodotà affinché ricordasse pubblicamente la sua biografia politica strettamente legata alla sinistra democratica; questo, a mio avviso, sarebbe stato sufficiente a far convergere i voti del partito su di lui. Evidentemente questo mio suggerimento non fu accolto”. Il Pd, sottolinea ancora Scalfari, “non deve essere soltanto riformato ma rifondato”, ma Grillo, pur avendo detto che se il Pd avesse votato per Rodotà avrebbe appoggiato un governo fatto da quel partito, a distanza di qualche ora ha aggiunto che non avrebbe mai votato per un governo guidato da Bersani. E poi “che tipo di governo sarebbe dunque nato con l’appoggio di Grillo? Un governo con il quale la speculazione avrebbe giocato a palla, e l’Europa avrebbe severamente sanzionato”.

Su Napolitano, “ringraziamolo che abbia accettato”, di Giancarlo Bosetti, su Reset

 

 

Internazionale

 

Su La Stampa il corrispondente Usa racconta che la polizia di Boston ha trovato un arsenale di bombe rudimentali nella casa dei due terroristi di origine cecena. Secondo l’FBI avrebbero potuto colpire ancora. L’attenzione resta puntata su Dzjokhar, il diciannovenne ricoverato in un ospedale di Boston, le cui condizioni non consentono ancora l’inizio degli interrogatori. Ha ferite alla gola, è stato intubato, non è in grado di parlare.

Il fratello maggiore, Tamerlan, avrebbe fatto un viaggio in Cecenia e Daghestan nel 2012, al cui ritorno avrebbe dato segni di maggiore estremismo. Sullo stesso quotidiano un reportage dalla moschea in cui i killer si recavano in preghiera, nella zona urbana più povera di Cambridge: si racconta che Tamerlan, il maggiore, era giunto qualche settimana fa a contestare l’imam della moschea, contestando il fatto che avesse citato Martin Luther King: “Non bisogna farlo”, avrebbe detto Tamerlan, perchè “non era musulmano, e quindi nella moschea era soltanto un infedele”.

La Repubblica intervista lo scrittore anglo-pakistano Mohsin Hamid, autore de Il fondamentlaista riluttante”. Racconta che al suo arrivo a New York l’autista del taxi, musulmano, era furioso, “dopo dieci anni passati a contestare l’idea che gli islamici sono tutti terroristi, il problema ricomincia”. Al cronista che gli fa osservare come dalle prime indagini risulti come tra le motivazioni ci sia un elemento religioso, risponde: “Sì, ma da quello che sappiamo, pare che sia sviluppato in America. La radicalizzazione è avvenuta qui”.

 

E poi

 

Alle pagine R2 de La Repubblica il filosofo americano Michael Walzer racconta il confronto che ha avuto con la più autorevole delle autrici femministe degli anni 80, Susan Moller Okin, all’indomani della pubblicazione di “Sfere di giustizia”. Come spiega lo stesso Walzer, questo libro fu una difesa del pluralismo e dell’uguaglianza, in cui ci si contrapponeva all’idea che sia un unico principio, o un unico insieme coerente di principi, a definire la giustizia distributiva di ogni epoca e in ogni luogo. Nel saggio, invece, Walzer sosteneva che i beni sociali andrebbero distribuiti in conformità con il significato che hanno nell’esistenza della gente che li produce, e che li divide o condivide. Nella visione di Walzer, se i meccanismi di distribuzione fossero autonomi e se ogni bene venisse distribuito per le giuste ragioni, nelle varie sfere prevarrebbero diverse tipologie di individui. La Okin, ricostruisce Walzer, pensava che questa teoria non sarebbe risultata utile alle donne, poiché le convenzioni sociali relative all’istruzione, all’occupazione professionale, nella nostra società e in ogni altro contesto, portano all’esclusione radicale delle donne, relegandole ad una posizione assolutamente marginale. E le donne stesse si conformavano al proprio ruolo subordinato. Scrive ora Walzer: “L’oppressione delle donne è diversa da qualsiasi altra forma di oppressione. Mentre la maggior parte degli intellettuali di sinistra ragiona come se l’oppressione potesse assumere una unica forma, quella di un gruppo di gente che preme per tenere sotto un altro gruppo. Le donne però non sono un ‘gruppo’ come tutti gli altri, non vivono tutti insieme come i nativi di una nazione conqusitata o gli operai di un quartiere degradato, o gli ebrei, o i negri di un ghetto. Le donne vivono con i loro oppressori, che sono anche i loro padri, mariti, amanti, figli”.

Leggi il dossier “The new feminism” su Reset.

 

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