Il saluto di Napolitano

Il Corriere della Sera: “‘Dobbiamo colpire presto’. La rete jihadista in Italia”. Ancora nella parte alta della prima, una intervista a Michel Houellebecq: “‘Sì ho paura, nulla sarà più come prima’”.
Il titolo più grande è per il Presidente Napolitano: “‘Torno a casa, restate uniti’. Il giorno delle dimissioni. Il saluto ai corazzieri. ‘Gli italiani stiano tranquilli per il futuro’. Oggi Napolitano lascia. La battuta con una bimba: ‘Il Colle? Quasi una prigione'”.
A centro pagina: “Più tempo per risanare i conti. Juncker apre alla flessibilità”. “Deficit, margini di manovra a chi fa le riforme. Renzi: l’Europa si muove”.

La Repubblica: “L’Europa: colpiranno ancora. Jihad, venti indagati in Italia”. La foto è per le esequie delle vittime della strage di Parigi. E un’altra foto raffigura la redazione di Charlie Hebdo: “Charlie Hebdo di nuovo in edicola, ecco i disegni che sfidano il terrore”. L’inserto R2 del quotidiano ne riproduce alcuni.
Un richiamo in prima per il commento dello scrittore israeliano David Grossman: “Ora sapete cos’è la paura”.
In apertura a sinistra: “Napolitano: sono contento di tornare a casa”, “Oggi le dimissioni, a Grasso la supplenza”, “Dalla Ue via libera alla flessibilità”.
A questo tema è dedicato un lungo editoriale del fondatore Eugenio Scalfari: “I sogni e le fatiche di un Sisifo al Quirinale”.
In taglio basso, il video shock dell’Is: “Il bambino dell’Is con la pistola”.

La Stampa: “Napolitano: contento di tornare a casa”, “Oggi le dimissioni del capo dello Stato, ‘L’Italia sia unita’. E a un gruppo di studenti davanti al Quirinale: qui si sta troppo chiusi”, “Renzi conclude il semestre Ue. Sì di Bruxelles alla flessibilità nella correzione dei conti”.
Sulla successione al Colle, l’editoriale di Luigi La Spina: “L’identikit del nuovo presidente”.
A centro pagina, il fermo immagine del video diffuso dall’Is: “Così l’Is vuole choccare il mondo”, “L’orrore in rete: in un video un ragazzino spara alla nuca di due ostaggi”.
E il “Buongiorno” di Massimo Gramellini: “Se questo è un bimbo”.
In prima anche l’allarme lanciato da Europol: sarebbero 5000 i combattenti europei. E la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati da parte della Procura di Roma di 10 presunti estremisti islamici: “Giovani, con un lavoro e integrati: indagati 10 jihadisti italiani”.
“Che cosa intendiamo quando parliamo di libertà” è il titolo di un’analisi di Gian Enrico Rusconi.

Il Sole 24 Ore: “Flessibilità, prime aperture Ue. Per l’Italia investimenti fuori dal deficit per 3,5 miliardi e correzione ridotta”. “Linee guida della Commissione: vincoli soft per chi fa le riforme. Il premier: col semestre cambio di direzione”.
A centro pagina: “Btp ai minimi, Borse in rally. Forte domanda e rendimenti in calo per i titoli triennali (0,62 per cento). Piazza Affari a + 1,96”.
Accanto: “Europol: 5 mila fighters in Europa. Dieci islamici indagati a Roma”. “Charlie oggi in edicola con Maometto in copertina”.
In alto: “Napolitano, nel giorno dell’addio l’ultimo richiamo all’unità. Renzi: ha operato con saggezza”.

Il Fatto è oggi in edicola offrendo ai lettori in allegato il nuovo numero di Charlie Hebdo.
Titolo di apertura: “Charlie ride con noi”, “Da oggi (e nei prossimi giorni) in edicola con Il Fatto il primo numero del settimanale satirico francese dopo le stragi di Parigi. Le vignette e i migliori articoli tradotti in italiano”.
“Tout est pardonné”, dice il Maometto raffigurato in lacrime dalla vignetta che campeggia sulla nuova edizione del settimanale francese: tra le mani ha un cartello con lo slogan “Je suis Charlie”.
E il direttore Antonio Padellaro spiega la scelta editoriale: “Perché sì”.
A centro pagina, l’ultimo video diffuso relativo all’attentato a Charlie: “Le nuove immagini dei due fratelli terroristi Kouachi subito dopo l’assalto sanguinario nella redazione di ‘Charlie’: prima fanno gesti per rivendicare l’azione, poi su un’auto scappano sparando con i kalashnikov e mettendo in fuga una pattuglia della polizia”.
A fondo pagina: “Giù dal Colle”, “Re Giorgio, l’addio: ‘Ho provato a salvare Renzi da se stesso’”.
Dell’addio di Napolitano si occupa l’editoriale di Marco Travaglio: “Dal sovrano al popolo sovrano”.

Il Giornale: “Napolitano, fine dell’imbroglio. Oggi vanno in archivio nove anni di partigianerie, con la ciliegina del governo Monti. Però Re Giorgio minaccia: ‘Darò ancora il mio contributo’. L’identikit del successore? Democratico, cattolico e sicuramente debole”.
In alto: “Ecco il numero di ‘Charlie’ con le vignette sulla strage”. “Il giornale torna in edicola, l’Islam minaccia altre stragi. Tra i jihadisti 5mila europei. Indagati da Roma a Milano”.

Charlie, Jihad, Islam

Le pagine 12 e 13 de La Repubblica sono dedicate alle indagini dopo le stragi di Parigi e alle reazioni della politica francese. Si sintetizzano nei titoli le dichiarazioni del primo ministro Manuel Valls ieri all’Assemblea Nazionale che, come si racconta anche attraverso le immagini, ieri si è alzata in piedi per intonare la Marsigliese: era la prima volta dal 1918. “Valls: ‘La Francia è in guerra’. La Ue: ‘Tra noi 5.000 jihadisti, impossibile escludere altri attacchi’”, “Stati Uniti, Obama accelera sulla lotta allo Stato islamico, chiesto ai leader del Congresso l’ok all’uso della forza militare”.
In basso, il reportage di Marco Mensurati si occupa di Amedy Coulibaly, l’attentatore del supermercato kosher di Porte de Vincennes: i fondi per finanziare la tre giorni di terrore parigino, Coulibaly li avrebbe racimolati con un prestito della Cofidis, agenzia francese specializzata nel credito a distanza. Seimila euro, chiesti il 4 dicembre, barrando la casella ‘massima urgenza’ sul modulo. Coulibaly – scrive Mastrogiacomo – era un delinquente conclamato, a maggio aveva tolto il braccialetto elettronico ed era stato condannato in via definitiva per terrorismo, da quando era uscito dal carcere, per sua stessa ammissione, aveva fatto il giro delle moschee di Parigi con il dichiarato intento di fare proselitismo e arruolare giovani jihadisti. Insomma, non era imprevedibile che quei soldi non servissero per acquistare una macchina nuova. “Ho dato diverse migliaia di euro ai fratelli Kouachi -ha confessato Coulibaly nel video di rivendicazione postumo- per consentire loro di ultimare il piano”. Intanto un nuovo video mostra i Kouachi allontanarsi indisturbati dopo la strage a Charlie Hebdo.

Anche su La Stampa le parole del primo ministro francese: “Valls: ‘La Francia è in guerra contro l’islamismo radicale’”, “Il premier Valls: rischi elevati. Dietro la fuga di Boumedienne (la compagna di Coulibaly, ndr.) una ‘rete afghana’. L’Europapol: cinquemila combattenti europei pronti a rientrare da Siria e Iraq”.
Il reportage di Alberto Mattioli da Parigi: “L’altra Parigi che non è Charlie, ‘Il minuto di silenzio non ci riguarda’”, “tra i giovani musulmani delle banlieue: ‘Massì, alla fine se la sono cercata’”.

Di Charlie si occupano le prime 8 pagine de Il Fatto, che offre in allegato ai lettori il nuovo numero del settimanale. Pagina 2: “Quegli insopportabili cugini disprezzabili a gauche”, “Ora è corsa alla solidarietà, ma in passato da Cohn-Bendit ai colleghi attacchi contro il loro stupido oltranzismo”.

La Stampa scrive anche che la redazione di Charlie Hebdo ha deciso di concedere alcune vignette al giornale della borghesia laica turca Cumhuryet e che in questo quotidiano i giornalisti sono divisi sulla opportunità di pubblicarle.

Su Il Fatto, due intere pagine ospitano le interviste sul tema: a confronto le opinioni di Moni Ovadia (“Giusto non cadere nell’autocensura”), Andrea Riccardi (“Serve rispetto, ma difendo la libertà”), Davide Piccardo (“Ci sono dei limiti, hanno esagerato”), Oliviero Toscani (“Amiamo chi ci sta sui coglioni”).

Sul Corriere una intervista di Stefano Montefiori a Michel Houellebecq. Del suo lavoro dice: “I miei grandi riferimenti in letteratura sono Dostoevskij e Conrad. Entrambi hanno dedicato romanzi all’argomento di attualità più importante dell’epoca, ossia gli attentati anarchici e nichilisti, la rivoluzione russa che covava. Sono molto diversi nel modo di trattare il soggetto, ma questi rivoluzionari per loro si dividono in due tipi: farabutto cinico o naif assurdo, talvolta altrettanto pericoloso. Io descrivo invece, quasi unicamente, dei farabutti cinici attraversati talvolta da un pizzico di sincerità”. Sulla marcia di Parigi: “Non credo che quella marcia pur immensa avrà enormi conseguenze.La situazione non cambierà nel profondo, torneremo con i piedi per terra”. “Non vorrei sembrare cattivo… Ma invece un po’ sì. Quando c’è stato l’incendio della redazione, il primo attentato a Charlie Hebdo nel 2011, non pochi dei colleghi giornalisti e dei politici dissero “sì, la libertà va bene, ma bisogna essere un po’ responsabili”. Responsabili. Questa era la parola fondamentale”.
Sul senso del suo libro: c’è un ritorno alla religione “che i media non riescono a cogliere, pensano che la religione sia un fenomeno passato di moda. Ma prima di domenica le grandi manifestazioni di piazza sono state le manif pour tous. Fatte da cattolici molto diversi da quelli che mi ricordavo da giovane, ovvero gente complessata e all’antica oppure di sinistra insopportabilmente perbenista (ride, ndr )”. Dice anche che “la violenza non è connaturata all’Islam. Il problema dell’Islam è che non ha un capo come il Papa della Chiesa cattolica, che indicherebbe la retta via una volta per tutte”.
Sulla Francia ricorda che il FN ha il 25 per cento dei voti e solo due deputati: “C’è uno scarto evidente. Il Front National ha un peso nella società che non corrisponde affatto alla sua rappresentanza parlamentare. Mi domando fino a che punto una situazione simile sia sostenibile, con questa astensione poi. C’è un sistema che dovrebbe essere democratico e che non funziona più”.

Il Corriere intervista anche la “femminista islamica” Malika Hamidi, che in marzo discuterà a Parigi la sua tesi di dottorato con il noto sociologo franco-iraniano Farhad Khosrorkhavar. Dice che non sarebbe andata alla marcia neppure se fosse stata a Parigi, per non “sfilare insieme a capi di governo come Erdogan o Netanyahu che violano i diritti fondamentali”. Dice che la galassia salafita e jihadista è “superfinanziata” mentre la maggioranza del mondo musulmano “è resa silenziosa dai media”, soprattutto coloro che fanno “un lavoro durissimo per lo sviluppo della comunità islamica”.

Il Giornale pubblica il discorso pronunciato dal Presidente egiziano Al Sisi alle massime autorità religiose “moderate” del suo Paese il 28 dicembre scorso. Un “duro discorso sulle colpe dell’ideologia islamista”. “Abbiamo bisogno di rivoluzionare la nostra religione”. Il problema non è la fede, ma “l’ideologia, e questa ideologia viene santificata in mezzo a noi”, diceva Al Sisi. Il titolo: “Basta ideologia musulmana, rivoluzioniamo la nostra fede”.

Sul Corriere della Sera un articolo di Fiorenza Sarzanini si sofferma sulle indagini di Carabieri e Ros che ha portato alla individuazione di “una ventina di persone che si muovono tra il nostro Paese e l’estero con ‘basi’ nella capitale ma anche in Lombardia e Veneto dove altre indagini collegate sono tuttora in corso” e cita le dichiarazioni del capo dell’antiterrorismo dell’Unione europea Gilles de Kechove: “‘Non possiamo prevenire nuovi attacchi, sappiamo che è in atto una massiccia radicalizzazione, soprattutto nelle prigioni’. I numeri fanno spavento. Li fornisce il direttore di Europol Rob Wainwright al Parlamento britannico, spiega che ci sono ‘tra i 3mila e i 5mila combattenti europei andati in Medio Oriente per addestrarsi e partecipare alla guerra santa, che potrebbero tornare in patria proprio per compiere attentati'”. Le indagini in Italia sono partite dal “controllo del web, è poi andata avanti mettendo sotto controllo alcuni ‘sospetti’, cercando di seguirne le mosse in modo da ricostruire contatti e strategie. ‘Se avessimo avuto la sensazione di un pericolo imminente li avremmo già fermati’, spiegano gli investigatori lasciando intendere che sviluppi potrebbero arrivare a breve proprio per fermare il possibile processo emulativo”.
Sul Corriere Lorenzo Cremonesi parla dell’ultimo video diffuso dallo Stato Islamico, otto minuti per documentare l’esecuzione da parte di un “killer bambino” di due prigionieri nelle mani degli islamisti. Il video si apre con le parole dei due ostaggi, che confessano di essere “spie” dei servizi segreti russi. Poi, nella seconda parte, un “ragazzino dai capelli lunghi” e dai “tratti asiatici” con accanto un “gigantesco guerrigliero” . Il bambino spara alla nuca dei due ostaggi. Lo stesso ragazzino appariva in un video di novembre, insieme ad altri “giovani volontari”.

Napolitano, riforme

Le prime 5 pagine de La Repubblica sono oggi dedicate alla fine del mandato di Napolitano e alla sua successione.
A pagina 2: “Napolitano si dimette: ‘Felice di tornare a casa ma il Paese resti unito’, ‘Qui non è una prigione ma si resta troppo chiusi’”.
In basso: “Renzi cerca un ‘arbitro saggio’. Veltroni e Mattarella in pole position. Il summit tra il premier e Berlusconi”, di Francesco Bei. Dove si conferma l’intenzione del presidente del Consiglio di “calare la carta” sul nome del successore solo dopo il terzo scrutinio, quando il quorum scenderà a 505 voti: “intanto, però, nel segreto più assoluto, il premier è riuscito a incontrare l’uomo a cui s’affida per colmare gli eventuali buchi che i franchi tiratori dovessero aprire: Silvio Berlusconi. Il faccia a faccia si è svolto il 19 dicembre, lontano da Roma. Un primo approccio per capire se il patto del Nazareno poteva estendersi anche al Quirinale con un nome condiviso. E la risposta dell’ex Cavaliere è stata positiva. Dal poco che filtra su quell’incontro misterioso sembra che il capo del governo si sia presentato all’appuntamento preliminare mettendo sul tavolo quattro nomi”. Si tratterebbe dunque di Walter Veltroni, di Sergio Mattarella (ora giudice della Corte costituzionale), dell’ex segretario Ppi Pierluigi Castagnetti e di Anna Finocchiaro. Ma di questi quattro, due sarebbero emersi nella discussione come testa di lista: Veltroni e Mattarella.
Il quotidiano intervista Emanuele Macaluso, già senatore Pci e storico amico del capo dello Stato: “Serve un nome stimato in Ue. Giorgio? Non va in pensione”, dice. La convince come mossa l’intenzione di Renzi di proporre un solo nome per la successione, uno del Pd? “Sì, perché la proposta, da sempre, spetta al partito di maggioranza relativa e poi certo va discussa con le altre forze politiche. Potrebbe andare come nell’85, quando De Mita suggerì a noi comunisti Cossiga, che poi passò addirittura al primo colpo”. Veltroni sarebbe un buon presidente? “Non faccio nomi, è solo un modo per bruciarli”. Le qualità che deve avere il futuro capo dello Stato per Macaluso: deve essere “una personalità di spessore in Europa, stimata nel mondo, ma che nel contempo conosca bene i meccanismi della politica italiana, i rapporti di forza del potere; una figura che sappia dispiegare la propria autorevolezza nel mondo della giustizia”. Sembra l’identikit di Prodi, pensa a lui? “Non mi tiri per la giacca”, “abbiamo bisogno di politici di altissimo livello: Napolitano, per dire, alzava il telefono e parlava con Obama e la Merkel”. E del futuro di Napolitano: Non riesco a immaginarlo in pensione, Giorgio farà politica finché riuscirà”.
Alle pagine 4 e 5 il lungo editoriale di Eugenio Scalfari, che ricorda il lungo percorso politico del capo dello Stato: “Dal Pci fino al quirinale, i sogni e le fatiche di un Sisifo per una nuova classe dirigente e per gli Stati Uniti d’Europa”, “Dopo i fatti d’Ungheria del ’65 nacque la corrente ‘migliorista’, guidata da lui e da Macaluso, che si schierò contro Mosca quando ci fu una seconda repressione a Praga”. E, parlando di Napolitano, racconta: una volta gli chiesi un giudizio su Papa Francesco. Mi rispose che interpreta il ruolo in un modo che va imitato da chi rappresenta e tutela “i diritti di tutti e in particolare dei deboli, degli esclusi, dei poveri e delle minoranze che hanno una visione comune diversa da quella della maggioranza”.

Su Il Giornale, con Vittorio Feltri, si legge: “Se ne va il despota gentile, un buon segno per l’Italia”. “Re Giorgio, il garante mancato diventato un tiranno raffinato”.

La Stampa, pagina 3: “Il premier mischia le carte: ‘Grande personalità al Colle’”, “La battuta su Prodi con i suoi: sa scegliersi il nemico ‘giusto’. Nella prima triade di nomi Fassino, Mattarella e Bassanini”.
L’inviato a Strasburgo Fabio Martini ha seguito la conferenza stampa di Renzi ieri e racconta che all’ennesima domanda sulla successione al Colle, il premier ha tratteggiato un identikit preciso: “Deve avere il profilo di un arbitro, dunque non il giocatore di una delle due parti”, “deve essere saggio”, “una personalità di grande livello”. Quanto a Prodi, l’inviato sottolinea come la freddezza di Renzi nei suoi confronti sia confermata tanto nei colloqui privati che nelle esternazioni pubbliche.

Su La Repubblica, pagina 6, intervista a Umberto Bossi: “Ma che Prodi, al Quirinale vedo bene la Finocchiaro”, “Renzi non può spaccare il partito. Nominerà un altro comunista”.

Anche su La Stampa, pagina 4, intervista a Umberto Bossi: “Se al Colle serve una donna, vedrei bene la Finocchiaro”.

Stefano Folli, nella sua rubrica “Il punto” su La Repubblica: “La mossa del premier, un ‘arbitro’ sul Colle per blindare i Dem senza franchi tiratori”, “se i dissidenti saranno più di 200, difficile chiudere al quarto scrutinio”, “Berlusconi disposto ad aspettare il candidato di Palazzo Chigi”.

Il Fatto, pagina 14: “Quirinale, 15 candidati e le loro bande in azione”, “Mattarella, Castagnetti e Veltroni in pole nella rosa di Matteo ai Dem per un presidente arbitro. Poi Prodi e Fassino”, “La minoranza spera nell’incasso. Civati: ‘Magari ce l afa davvero al quarto scrutinio. Mentre spicca l’attivismo di Cantone”. E la foto è proprio per Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. E sulla fine del mandato di Napolitano, l’articolo di Fabrizio D’Esposito: “Napoltano oggi scende dal Colle. A mani vuote”, “’Qui è una prigione, a casa starò bene’. Non ha incassato legge elettorale e cambi alla Costituzione chiesti come condizione per la sua rielezione”.

Nella classifica dei nomi graditi ai lettori de Il Fatto continua a spiccare il nome di Stefano Rodotà, che raccoglie 14.641 preferenze. Seguono Ferdinando Imposimato (6700), poi Gustavo Zagrebelsky (3652) ed Emma Bonino (2940).

Sul Corriere della Sera Marzio Breda racconta le ultime ore del mandato di Giorgio Napolitano, cita le sue parole sui fatti di Parigi e sulla questione jihadista, cita il riferimento al suo impegno che non si interromperà: “Darò ancora il mio contributo, resterò vicino agli sforzi degli italiani”. Il che significa ripudiare qualsiasi ipotesi di ‘pensionamento’ dalla vita pubblica, per quanto sia oggi stanco e provato. Lavorerà al Senato, invece, per accompagnare le riforme sulle quali ha tanto insistito e il cui cantiere è finalmente aperto. E contribuirà con il suo voto a eleggere il proprio successore (la prima votazione sarà il 29 gennaio alle 15), nella speranza che abbia il profilo adeguato alla sfida”.

Sul Sole, Lina Palmerini ricorda che i rapporti tra Renzi e Napolitano sono iniziati con “freddezza” (si ricorda la frase ‘mi pare che il Pd abbia deciso’ quando ci furono le dimissioni di Letta), ma che poi Napolitano abbia capito che le riforme poteva farle solo Renzi. Ma si ricorda anche che il Presidente considerò “avventuroso” il tentativo di fare un governo da parte di Bersani, e che “quello fu considerato un vero strappo tra Napolitano e il suo partito di provenienza, i Ds, che Bersani in quel momento rappresentava. Uno strappo che è diventato più forte proprio per la progressiva vicinanza con Renzi”.
Secondo Il Sole 24 Ore “il patto del Nazareno regge”. La nuova versione innalza dal 37 al 40 la soglia per conquistare il premio di maggioranza, introduce i capilista bloccati e le pluricandidature, e ufficializza la clausola di salvaguardia: la legge entrerà in vigore il 1 luglio 2016. FI – scrive il quotidiano – ha sottoscritto le proposte di modifiche. “I berlusconiani hanno salvato la faccia non sottoscrivendo invece l’emendamento che introduce il premio di lista e cancella quello di coalizione. Ma anche questo emendamento dovrebbe avere i numeri per superare l’esame dell’aula”. Ma si ricorda che la Lega ha presentato 40 mila emendamenti, e che la minornza Pd ha criticato la decisione di concedere solo 3 ore per la presentazione di subemendamenti”. “Domani mattina è prevista un’assemblea del gruppo Pd al Senato alla presenza del premier Matteo Renzi”.

Su Il GIornale: “Italicum, FI frena sul premio di maggioranza”. Ma si scrive anche che “i primi test di tenuta in Aula appaiono positivi”. Il quotidiano ricorda i “malumori sparsi” di Pd, Ncd e FI, oltre all’ostruzionismo annunciato dalla Lega.
Secondo lo stesso quotidiano “Berlusconi blinda le riforme per avere un arbitro al Colle”, nel senso che punterebbe ad un rispetto del patto del Nazareno “come garanzia che il Capo dello Stato sarà davvero super partes”. Si riferisce che oggi il Cavaliere incontrerà i “fan azzurri al santuario del Divino Amore a Roma”.
Ancora sul Giornale, un articolo sul “prossimo Capo dello Stato: cattolico, democrat e scialbo”, dove si citano Dario Franceschini, Sergio Mattarella, e poi Linda Lanzillotta, Franco Bassanini, Pierluigi Castagnetti.

Ue

Sul Corriere della Sera: “Juncker verso il sì ai conti di Italia e Francia”. “Il Presidente Ue apre alla flessibilità, più tempo a chi scommette sulla crescita e vara le riforme”. “Padoan: risultato importante del nostro mandato. Moscovici: l’esame definitivo dei deficit a marzo”. Si ricordano le dichiarazioni dei vicepresidenti della Commissione “di centrodestra”, tra cui Katainen, secondo i quali “la Commissione non propone alcun cambio delle attuali regole”. Si citano anche le opposizioni manifestate dal Commissario tedesco Oettinger.

Sul Sole 24 Ore Adriana Cerretelli paragona Juncker al principe di Salina, “deciso come lui a ‘non cambiare nulla perché tutto cambi’. O quasi”, nel senso che “il patto resta intatto ma i contrafforti che gli sono stati precipitosamente costruiti interno”, ovvero il 2-pack, il 6-pack e il fiscal compact “risultano decisamente indeboliti”. Insomma: Juncker ha deciso di lavorare “ai fianchi l’ortodossia tedesca ma “salvaguardando Maastricht”, e “sfruttando tutti gli spazi disponibili per dare fiato allo sviluppo e agli investimenti, crollati di più del 20% negli ultimi 10 anni”, per risparmiare “in marzo alle due maggiori economie dell’area, Francia e Italia, trattamenti eccessivamente punitivi”. Per l’Italia questo significa che “se farà riforme strutturali ‘importanti, con effetti positivi verificabili sul bilancio nel lungo termine, compreso l’aumento del potenziale di crescita, ed effettivamente attuate’ potrà deviare temporaneamente per una percentuale non superiore allo 0,5% del Pil dall’obiettivo del pareggio di bilancio, a patto che non superi il 3% di deficit. E a patto che raggiunga il pareggio entro 4 anni dal quando ha fatto scattare la clausola”. Il pareggio è di fatto rinviato al 2017. Per noi “sarebbero fuori luogo i trionfalismi, non la consapevolezza di aver dato una mano all’avvio del nuovo corso”.

Sul Corriere un articolo di Danilo Taino: “Ora tocca a Draghi, Bce verso l’acquisto di Btp”. Taino scrive che oggi la Corte di giustizia europea fornirà una prima indicazione, su richiesta della Corte Costituzionale tedesca, sulla “legalità o meno del programma Omt della Bce, sostanzialmente il predecessore del Quantitative Easing, al solo annuncio del quale, da parte Draghi, il momento di acutezza della crisi finanziaria sui mercati nel 2012 cessò”. “Pochi si aspettano una netta bocciatura” da parte della Corte di giustizia Ue. Poi, il 22 gennaio, ci dovrebbe essere l’atteso varo del QE.

Anche sul Sole: “Bce a giudizio della Corte europea”. Si legge che oggi l’avvocato generale della Corte di giustizia europea “pronuncerà la sua opinione sul piano Omt (Outright monetary transaction) della Bce. Se la Corte dovesse ritenere che le quantità illimitate del programma Omt sono illegali, come chiede la Corte Costituzionale tedesca, difficilmente la Bce potrà varare un QE senza un tetto prestabilito, scrive il quotidiano.

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