Il Pd e Vicienz’ o’ gladiatore

Il Corriere della Sera: “‘Età flessibile per le pensioni’. L’idea di anticipare l’uscita con assegni più leggeri. ‘A tutti il calcolo di quanto avranno'”. “Il Presidente dell’Inps Boeri: reddito minimo anti povertà. Cala il tasso di disoccupazione”.
Sotto: “‘Avanti con l’Europa ma ora cambi passo'”. “Mattarella in Germania”.
A centro pagina: “La Lega in Veneto si schiera con Zaia. Ultimatum a Tosi”. “Lo scontro. ‘Commissariata’ la Liga”.
Accanto: “Nemtsov, le indagini sulla modella Anna”.
L’editoriale, firmato da Massimo Gaggi: “L’Iran, il nucleare e altri sospetti”. “Israele e Usa mai così distanti”.
A fondo pagina: “La cittadinanza? Vent’anni e tanto studio”. “La mia storia di albanese diventato italiano. E le polemiche sul caso della donna di Varese”, di Leonard Berberi.

La Stampa: “Meno disoccupati: ‘Ma non basta’”, “Dopo un 2014 disastroso, primi segni di miglioramento sul fronte del lavoro. Riprende anche quello giovanile”, “Tasso al 12,6%, il premier: bene, fare ancora di più. Poletti: col Jobs Act 150 mila posti”.
Una foto in prima per il capo dello Stato: “Mattarella: l’Europa cambi passo”, “A Berlino la prima missione all’estero. E arriva un sì alle nostre riforme”.
A centro pagina: “Veneto, la Lega sceglie Zaia. Salvini manda il commissario”, “’Tosi decida, o il partito o la Fondazione’. La replica: inaccettabile”.
E a centro pagina anche la riforma della scuola: “Scuola, stop di Renzi all’Ncd. Niente superbonus alle private”, “Oggi il Consiglio dei ministri anche sulla banda larga”.
Nella colonna a destra, la Cina: “Smog, il film che beffa la censura”. Ilaria Maria Sala si occupa del documentario interamente autoprodotto e scaricabile su Internet gratuitamente che è stato visto in due giorni da 150 milioni di persone, realizzato da una (ex) giornalista della tv Cctv che ha scioccato l’intero Paese dando conto dell’inquinamento in Cina.

La Repubblica: “De Luca, lite nel Pd. Renzi: non cambio la legge Severino”, “Gli sconfitti del voto dem in Campania: ricontare le schede”, “Salvini commissaria Tosi: hai 7 giorni per decidere”, “Il sindaco di Verona: è una porcata, allora mi candido”.
A centro pagina: “Dietrofront sulla scuola, niente decreto, l’assunzione di 150mila prof a rischio rinvio”.
La foto in grande evidenza è per il Nasdaq: “America, euforia Nasdaq, mai così alto da 15 anni”.
Una foto anche per il capo dello Stato e la sua prima missione all’estero: “Mattarella a Berlino: ‘La Ue cambi passo’. Italia, giù i disoccupati”.
A destra, due interventi della pagina delle “Idee”. Il primo è di Christian Salmon: “Atene e l’Europa alla guerra delle parole”. Il secondo di Anthony Giddens: “E Londra balla sull’abisso della ‘Brexit’”.
A fondo pagina: “Paradisi fiscali, anche Montecarlo rinuncia al segreto bancario”.
La storia della “copertina”: “Siamo sempre più intelligenti, il Qi misura la nostra evoluzione”. Maria Novella De Luca ed Elena Dusi commentano i risultati di una ricerca del King’s College di Londra.

Il Fatto: “Renzi va da Putin: ‘Niente domande, Matteo non vuole’”, “Il Cremlino comunica il protocollo della conferenza stampa di giovedì tra i due leader a Mosca. Palazzo Chigi: ‘Ma il premier parlerà portando forse un fiore sul luogo dell’omicidio del dissidente Boris Nemtsov’. Sul tavolo il dossier Libia, sullo sfondo il tema spinoso dei diritti civili. Intanto l’European Council on Foreign Relations declassa la nostra diplomazia”.
La vignetta raffigura il nostro capo dello Stato: “Mattarella dalla Merkel…con il cappello in mano”.
A centro pagina, in grande evidenza: “De Luca candidato ineleggibile. Pronta una legge ad personam”, “Il sindaco di Salerno condannato sarebbe sospeso se diventasse presidente Pd in Campania. Lui attacca: ‘La Severino è demenziale’. E arriva il trucco per neutralizzare l’abuso d’ufficio e lasciarlo in sella”.
Ancora a centro pagina: “Ecco chi comanda davvero: il governo dei ministri ombra”, “La battaglia sulla rete Telecom ha fatto emergere il ruolo della squadra di fedelissimi del premier che sta espropriando le competenze dei dicasteri: decidono solo gli uomini del presidente”.
In prima anche “I guai di Salvini”: “Veneto, la finta tregua della Lega: corre Zaia, ma Tosi pensa all’addio”.

Il Giornale: “Renzi vola. In elicottero”. “La Leopolda dell’ipocrisia”. “Il maltempo smaschera il premier nel suo volo di Stato da Firenze a Roma”. “Nulla di male, ma ora la smetta di esaltare la sua sobrietà”. “E le primarie in Campania distruggono il Pd”.
L’editoriale, di Salvatore Tramontano: “Chi gufa la nazionale del centrodestra. L’alleanza Berlusconi-Salvini”.
A centro pagina una intervista al generale Pollari: “‘Sulla morte di Calipari 10 anni di fango”. “L’ex direttore del Sismi ricostruisce i fatti e replica alla vedova del dirigente ucciso”.
In evidenza anche – con foto di Gino Strada: “Emergenza Emergency. Compagni a caccia di eredità”. La ong di medici “punta a nuove entrate e va alla ricerca di lasciti”, scrive il quotidiano.
In prima anche un articolo di Vittorio Feltri: “Se un’Europa di fantasmi dà del mostro a Putin”. “Accuse senza prove”.
A fondo pagina: “Per dire la verità bisogna pagare”. “La versione di Flavio Briatore” che “compra una pagina di pubblicità per replicare alle accuse di evasione”.

Il Sole 24 Ore: “Caso Telecom in Borsa. Spunta il ‘dossier Orange'”. “Balzo dei titoli del gruppo italiano per l’interesse espresso dai francesi su una possibile fusione”. E poi: “Oggi il piano banda larga. Salta il decreto sulla rete in rame”.
Di spalla: “Mattarella incontra la Merkel: ‘La Ue cambi passo e torni a crescere. Apprezzamento per le nostre riforme'”.
A centro pagina: “Grecia verso il terzo salvataggio”. “Secondo la Ue potrebbe essere necessario un nuovo piano di aiuti tra i 30 e i 50 miliardi”. “Il dollaro vola ai record di 11 anni fa. Nasdaq oltre quota 5000”.
In alto: “A gennaio 11 mila occupati in più. Pressione fiscale al 43,5 nel 2014”. “Nel 2014 disoccupazione record al 12,7 per cento”.

De Luca

La Repubblica dedica al caso di Vincenzo De Luca – sindaco di Salerno dichiarato decaduto per effetto della legge Severino a seguito di una condanna per abuso d’ufficio – che ha vinto le primarie Pd per le elezioni alla Regione Campania con il 52%, le prime quattro pagine: “Pd, imbarazzo per De Luca, vince le primarie in Campania ma la legge Severino lo blocca”, “Se eletto, resta sospeso. Gli avversari: ricontare le schede. La minoranza: ‘Renzi vuol cacciarci’. Il premier: ‘Non è vero’”. Il “retroscena” è firmato da Goffredo de Marchis: “La mossa di Palazzo Chigi: ‘Nessuno chieda di cambiare le norme anticorruzione”. E lo stesso De Luca, intervistato dal quotidiano, dice: “Non sono Berlusconi, tocca ai gruppi Dem aiutare la mia corsa senza regole demenziali”. Berlusconi, sottolinea De Luca, “è stato condannato per un reato fiscale in via definitiva”.

Anche su Il Fatto, le pagine 2 e 3 sono dedicate al sindaco di Salerno Vincenzo De Luca, che ha vinto le primarie Pd per la candidatura alla presidenza della Regione Campania: “De Luca, candidato fuorilegge”, “Alle primarie campane nel Pd trionfa il sindaco di Salerno, che è stato condannato in primo grado e ora spera nel ricorso al Tar per poter arrivare in Regione”. Ne scrive Enrico Fierro, che dà conto della conferenza stampa tenuta ieri da De Luca: “’Sindaco, ma lei lo sa che se vincerà le elezioni non potrà varcare il portone della Regione a santa Lucia?’. Vincenzo De Luca, trionfatore alle primarie del Pd in Campania, fulmina con lo sguardo il cronista e ascolta. ‘Arriverà un messo dalla Prefettura e le dirà che non è eleggibile e non potrà essere il Governatore della Campania’. E allora Vincenzo mette da parte la furia di Vicienz’ o’ Gladiatore (nomignolo affibbiatogli dai suoi supporter) e fa il diplomatico. ‘Vuol dire che saluteremo il messo e faremo subito ricorso al Tar’”. Fierro spiega “il pasticcio brutto” delle primarie: De Luca ha ricevuto 73.596 voti su 145 mila elettori, contro il 63 mila del suo competitor principale, Andrea Cozzolino. Il 50,7%, ovvero un plebiscito a Salerno e provincia, suo inattaccabile regno. Ma è diventato “Vicienz’ ‘o problema”, cioè una “grana grossa” per Matteo Renzi, verso il quale il vincitore ha sempre parole di ossequio, di stima e di amicizia, ma al quale ha rovesciato addosso la bomba a tempo della legge Severino. Che De Luca definisce così: “Una norma demenziale che non può condizionare la vita democratica. Mi sono candidato anche per questo, per fare una battaglia di democrazia e di civiltà del diritto. Sono stato condannato per abuso d’ufficio, ma solo per ragioni linguistiche…Farò la campagna elettorale senza imbarazzo alcuno, anzi l’imbarazzo è dei gruppi parlamentari. Non perdano neppure un minuto per ripristinare il diritto, il rispetto del voto dei cittadini e anche il buonsenso”. E Renzi, e il Pd? “Per la prima volta – risponde De Luca – il vicesegretario del partito Debora Serracchiani ha riconosciuto che c’è un problema e che verrà risolto”. Questo, secondo Il Fatto, sarà il refrain che De Luca userà in campagna elettorale: la legge Severino cambierà. “Ma anche lui sa – scrive Fierro – che si tratta solo di propaganda. Si vota il 10 maggio e, ammesso che Matteo Renzi voglia imbarcarsi in questa storia, non ci sono i tempi tecnici per modificare la legge”.
Alla pagina seguente, restando a Il Fatto: “Ma è già pronta la legge ammazza-Severino”, scrive Paola Zanca spiegando che è stata presentata alla Camera in tempi non sospetti – subito dopo la condanna del sindaco di Napoli Luigi De Magistris – la proposta di legge che può tirar fuori dai guai Vincenzo De Luca per modificare la legge Severino. A presentarla è stato Fulvio Bonavitacola, deputato Pd che il quotidiano definisce il “braccio destro” dello “Zar di Campania”: “Toglie proprio l’abuso d’ufficio dalle cause di ineleggibilità”. (“La legge Severino – spiega Bonavitacola – ha una scarsissima tutela per gli amministratori, che possono incorrere facilmente nel reato di abuso d’ufficio”).

La Stampa, pagina 8: “Campania, De Luca e la ‘rivoluzione’ del condannato”, “Ma il Pd non cambierà la legge Severino”, scrive Mattia Feltri ricordando che si è in attesa della decisione della Corte costituzionale: il Tar ha infatti rimesso la questione alla Consulta, per chiedere se sia costituzionale togliere l’incarico ai condannati non in via definitiva, e dunque ancora innocenti; non era il caso di Silvio Berlusconi, ma quello di Luigi de Magistris, sindaco di Napoli già reintegrato aspettando che la Corte si esprima. Ciò vorrà dire, spiega Feltri, che si tratterà di un periodo compreso fra gli otto e i dodici mesi durante i quali – dicono ufficiosamente al Pd – la Severino non sarà riformata, soprattutto per non sollecitare le geremiadi di Forza Italia.

Su La Repubblica Stefano Folli evidenzia “le incoerenze del premier nelle primarie”: De Luca è stato sospeso e poi è decaduto da sindaco, è difficile adesso voltare pagina e abbracciarlo. Il presidente del Consiglio “rottamatore”, scrive Folli, ha ridimensionato Beppe Grillo sottraendogli alcuni temi: cambiare la legge Severino per favorire un proprio candidato gravato da una condanna “è qualcosa per cui Renzi pagherebbe un prezzo troppo alto nel suo mondo e nel suo elettorato”.

Su Il Giornale si legge che De Luca “tira dritto e preannuncia che farà ricorso al Tar per annullare gli effetti della legge Severino”, mentre il Pd “appare spiazzato da un successo tutt’altro che scontato, giunto al termine di un percorso travagliato”. Il quotidiano ricorda che De Luca “è condannato in primo grado per abuso d’ufficio e perciò un minuto dopo l’elezione potrebbe essergli notificata la decadenza. Dal canto suo, De Luca prova a chiedere al Pd qualcosa in più: cambiare la legge. Una richiesta, spiegano esponenti della segreteria Pd, che difficilmente potrà essere accolta”. Secondo un renziano anonimo, citato dal quotidiano, “‘riaprire in campagna elettorale le porte della Severino, vorrebbe dire non solo esporsi nei confronti di FI e di Berlusconi, cui quella legge si applica, ma anche alle critiche degli altri partiti'”.

Sul Corriere, che pure dedica ampio spazio al tema della legge Severino (“De Luca apre subito il fronte Severino”, per esempio), una intervista a Gennaro Migliore, che si è ritirato dalle primarie qualche giorno prima del voto per il “fallimento della candidatura unitaria”, come scrive il quotidiano milanese. Dice che sosterrà De Luca “al 101 per cento”, che il tema della sua eleggibilità è aperto davanti alla Corte Costituzionale, che dovrebbe pronunciarsi sul caso analogo di De Magistris, ma “sul piano politico la vittoria di De Luca rappresenta chiaramente la volontà dei cittadini” di avere De Luca Presidente. Dice anche che “le primarie vanno rese più stabili”, e preannuncia una proposta di legge per “regolamentarle”. Dice che ha giudicato “incomprensibile” l’appello fatto da Roberto Saviano a non andare a votare.

Il Mattino intervista Antonio Bassolino: “Per De Luca determinante l’appoggio del Pd nazionale”. Dice che “a gara già partita non si poteva calare dall’alto una candidatura, come è successo per Gennaro Migliore”. Spiega che una delle ragioni della sconfitta di Cozzolino contro De Luca è nella “notevole differenza di votanti tra Napoli e Salerno”, nel senso che Napoli è più grande ma a Salerno la partecipazione è stata più alta. Inoltre De Luca ha iniziato la campagna elettorale molto prima e “sicuramente aveva più alleanze interne nel Pd” rispetto al suo avversario. Si ricorda che De Luca ha perso contro Caldoro nel 2010, ma – dice Bassolino – oggi le condizioni sono “molto diverse”, con Forza Italia “in declino” e Cosentino “fuori gioco”. Infine, dice che Forza Italia farà “largo uso” dell’argomento della legge Severino, che per questo andava cercata una “candidatura condivisa” tra De Luca e Cozzolino, che però ormai De Luca ha vinto e che spera che “i dirigenti nazionali” del Pd “abbiano esaminato il problema”.

Veneto

Su Il Giornale si descrive Berlusconi animato da un “moderato ottimismo” a proposito delle vicende della Lega: Zaia è “forte, funziona, ha ottime possibilità di farcela ma soprattutto continua ad essere un interlocutore privilegiato degli azzurri”. Inoltre “non ha nessuna intenzione di mettere a repentaglio la sua rielezione, nei prossimi giorni continuerà a discutere di alleanze e liste assieme al neo commissario Giampaolo Dozzo, tenendo al tavolo della discussione anche Fi”. Quanto al nodo Ncd-Tosi, secondo il quotidiano, “Alfano chiederebbe a Berlusconi di aggiungersi alla compagine centrista tosiana ottenendo un ‘no grazie’. Un rifiuto che, però, non comprometterebbe l’alleanza Forza Italia-Ncd in Campania. Insomma, una mossa che salverebbe Caldoro”. Se si risolvesse così la questione Veneto, “a cascata si potrebbero sbloccare anche le altre Regioni. In Liguria, per esempio, Forza Italia potrebbe convergere verso il candidato forte della Lega, Edoardo Rixi. In compenso il Carroccio potrebbe fare un passo indietro in Toscana, dove per ora ha lanciato la candidatura dell’economista Claudio Borghi Aquilini, a favore di un azzurro”, secondo Il Giornale.

Sul Sole: “Zaia all’unanimità, Tosi commissariato”. Il quotidiano di Confindustria scrive che “il partito regionale viene sostanzialmente commissariato”, nel senso che il senatore Giampalo Dozzo, “personalità super partes“, dovrà fare da mediatore sul tema delle liste alle elezioni regionali. Ma non è commissariata la Liga Veneta, aggiunge il quotidiano.

Sul Corriere, a proposito del Veneto: “Ora più vicina l’intesa con FI. E il ‘ribelle’ è pronto a lasciare”. Anche sul Corriere si spiega tuttavia che Tosi resta segretario della Liga Veneta, che riunirà il suo consiglio federale giovedì, e che Salvini non ha voluto proporre il commissariamento della formazione. “Tosi in un vicolo cieco. Giovedì il vertice decisivo nella Regione”, la sintesi del Corriere.

“Alla fine Salvini ‘licenzia’ Tosi”, titola La Stampa: “Zaia sarà candidato. Il leader sceglie la linea dura: ‘O lascia la sua Fondazione o è fuori. Nessuno può avere due tessere’. E nomina un commissario per gestire le elezioni in Veneto”. In realtà, scrive Alberto Mattioli, Salvini ha fatto due conti: i sondaggi danno a Zaia un vantaggio dai 15 ai 20 punti sulla sfidante dem Alessandra Moretti, che non convince nemmeno diversi dei suoi. Una lista Tosi è accreditata del 10-12%: dunque, i margini sarebbero meno larghi, ma Zaia potrebbe vincere anche senza Tosi. Il quale per ora tace, dice di meditare, ma ha già le valigie e magari qualche alleato (per esempio l’Ncd) pronti: “Nelle urne non può vincere, ma può far perdere Zaia”.
Alla pagina seguente, il “retroscena” incentrato sullo stesso Tosi: “Il sindaco: deluso da Maroni, ha tradito il nostro accordo. Ora restare è più difficile”, “Lo sfogo con i suoi fedelissimi: mi hanno voluto umiliare”.

La Repubblica: “Salvini commissaria Tosi: ‘Scelga, o la Lega o la sua lista. Sì a Forza Italia, no ad Alfano’”, “Zaia correrà in Veneto, Dozzo gestirà la Liga. Aut aut al ribelle. Il segretario cauto su Casa Pound: ‘Il Duce? È il passato’”. E, su Tosi: “L’ira del sindaco: ‘Porcate: così rompo e mi candido’”. Alla pagina seguente, ancora sul centrodestra: “Berlusconi molla Angelino: ‘Stiamo con i lumbard‘”, “Il leader di Forza Italia boccia l’ipotesi di una coalizione con l’Ncd e il sindaco di Verona”.

Su La Stampa: “Il rebus delle alleanza per Forza Italia. In gioco c’è la scelta tra Lega e Ncd”, “Berlusconi vedrà il leader del Carroccio tra oggi e domani”.

Il Fatto: “Ghe pensi mi: Salvini asfalta i veneti e il sindaco Tosi”, “Il ribelle della Lega dovrà scrivere con Zaia le liste per le Regionali e rinunciare alla sua fondazione. A meno che non decida di strappare”.
Alla Lega e in particolare alla manifestazione di domenica scorsa di Salvini a Piazza del Popolo Il Fatto dedica ancora due pagine: “Il falso storico di Piazza del Popolo ‘gremita’”. Gran parte dei quotidiani (a parte Il Messaggero e Avvenire, come sottolinea il quotidiano), avevano per l’appunto parlato di una piazza piena e gremita: ma si va da un minimo di 12 mila a un massimo di 20 mila, secondo Il Fatto. “Significa che la piazza era vuota a metà”, scrive il quotidiano.
E, alla pagina seguente: “Il fronte fascioleghista avanza ma è già vecchio”, scrive Fabrizio D’Esposito: “Dai reduci missini alle camicie verdi sedute in poltrona da vent’anni, così la piazza dell’altro Matteo si propone come il nuovo ma è già stantia”.
E il quotidiano intervista Antonio Pennacchi, lo scrittore autore de “Il fasciocomunista”, che dice: “Sono dei malati di potere”, “lì i fascisti sono pochi, sono degli sciovinisti, dei revanscisti, dei reazionari senza pensiero”, non esprimono “nulla”, “Salvini non ha mai lavorato un giorno in vita sua”. Ai tempi di Bossi “c’erano Miglio, Formentini, l’assessore di Milano era Daverio, un minimo di pensiero lo costruivano”.

Inps

Il Corriere della Sera intervista Tito Boeri, presidente dell’Inps. Boeri dice che prenderà “103 mila euro lordi l’anno, uno stipendio elevato, ma pur sempre meno di quanto prende un dirigente di seconda fascia all’Inps e molto meno di quanto guadagnavo prima”. Rimarrà direttore scientifico del Festival dell’Economia di Trento, mentre ha sospeso tutti i suoi lavori precedenti. Boeri annuncia la partenza della famosa “busta arancione”, il calcolo di quanto si avrà di pensione promesso da molti anni. “Una definizione in realtà superata perché la lettera col conto contributivo e la stima della pensione la manderemo solo ai lavoratori senza una connessione Internet. Per gli altri, ci sarà un “pin” col quale accedere attraverso il sito Inps al proprio conto e simulare la pensione futura, secondo diversi scenari di carriera e di crescita dell’economia”. Entro il 2015 “daremo questa possibilità a tutti i lavoratori dipendenti privati”, mentre per i pubblici ci vorrà più tempo. Boeri dice che si dovrebbe anche pensare ad una uscita anticipata dal lavoro rispetto alle attuali regole, ma “prima bisogna convincere la Commissione europea, perché purtroppo i conti pubblici vengono considerati nella loro dimensione annuale anziché sul medio-lungo periodo. Per l’Ue se si consentono i pensionamenti anticipati risalta solo l’aumento immediato della spesa ma non il fatto che poi si risparmierà perché l’importo della pensione sarà più basso. Bisogna battersi in Europa per arrivare a una valutazione intertemporale del bilancio”.

Internazionale

La Stampa, pagina 13: “Obama, schiaffo a Netanyahu: ‘È senza strategia sull’Iran’”, “Il premier al convegno della lobby ebraica: nessun accordo sul nucleare. La Casa Bianca: noi abbiamo delle idee per evitare che Teheran si armi”. Ne scrive Paolo Mastrolilli, inviato a New York. Si legge che il premier israeliano ha intenzione di chiedere agli Usa di annullare la scadenza di fine marzo per l’accordo nucleare con l’Iran e prendere più tempo per considerare gli effetti negativi della possibile intesa con Teheran per la sicurezza dello Stato ebraico. Il duello a distanza tra il premier e la Casa Bianca è iniziato ieri mattina al convegno dell’Aipac, la più potente lobby pro Israele degli Usa: Obama non ha partecipato, ma ha inviato a rappresentarlo l’ambasciatrice all’Onu Samantha Power, irlandese cattolica molto impegnata contro l’antisemitismo, e la consigliera per la Sicurezza nazionale Susan Rice, che aveva definito “distruttivo” il discorso di Netanyahu al Congresso, organizzato senza informare la Casa Bianca. Il portavoce della stessa Casa Bianca, Josh Earnest, ha ieri ha sottolineato che “mentre il presidente Obama ha delineato una strategia per evitare che l’Iran si doti di armi nucleari, il premier Netanyahu no”. Ed Earnest ha anche fatto sapere che Obama non ha seguito l’intervento del leader israeliano in tv. Nel suo intervento all’Aipac, Netanyahu ha spiegato: “Il mio discorso non intende mostrare alcuna mancanza di rispetto nei confronti del presidente Obama, o di stima per la carica che ricopre. Le notizie sulla morte delle relazioni fra Israele e gli Usa non sono solo premature, ma sbagliate”.

Sul Corriere una intervista firmata da Farian Sabahi alla scrittrice iraniana Fariba Hachtroudi, che vive in Francia da quando è adolescente, rientrata un paio di volte nel suo Paese, l’ultima nel 2009. Il padre è un matematico e filosofo, il nonno era un leader religioso membro della costituente del 1906 e “difensore della laicità e della tolleranza”. La scrittrice dice che Rohani “è un pragmatico che comprende i veri problemi dell’Iran”, ed è consapevole che se il suo governo cade l’Iran rischia “un conflitto, anche civile”.
Sullo stesso quotidiano Massimo Gaggi si occupa dei rapporti Usa-Israele e rievoca il bombardamento israeliano di un reattore iracheno nel 1981, con Reagan “furibondo” e la dura replica dell’allora premier Begin. Gaggi ricorda insomma che “dalla crisi di Suez del 1956 alla guerra del Kippur, molte sono state le scintille tra i due alleati”, prima del viaggio di Netanyahu a Washington. Scrive Gaggi che “Obama ha denunciato, sì, il viaggio di Netanyahu come dannoso, ma si è limitato a fargli il vuoto attorno: il premier non vedrà il presidente, né il suo vice Biden, né il segretario di Stato Kerry. Ma le voci di riduzioni degli aiuti militari a Gerusalemme sono state smentite”. E tuttavia “la vera gravità di questo conflitto non sta nella pesantezza dello sgarbo di Netanyahu, nei pessimi rapporti tra i leader e nemmeno nell’approccio più muscolare di Israele” ma nella questione Iran: “Obama crede che l’Iran possa diventare un fattore di (relativa) stabilità in un Medio Oriente sconvolto dalla frantumazione del mondo arabo sunnita. Netanyahu considera una visione simile un pericolo mortale. Se arrivasse l’accordo con Teheran, e Israele non cambiasse rotta, il conflitto potrebbe diventare insanabile”, conclude Gaggi.

Due pagine de La Repubblica tornano ad occuparsi dell’omicidio di Boris Nemtsov a Mosca: Nicola Lombardozzi, il corrispondente, dà conto delle reazioni “tra gli ultranazionalisti che odiavano Boris, ‘Nemico della Russia’”, “Si dicono più patrioti di Putin: ‘Stava con l’Ucraina. Nessun cordoglio per lui’”, “Secondo il tamtam di Internet, avrebbero esultato dopo l’assassinio: ‘Parlava troppo, la Crimea non si tocca’”. E sulla pagina seguente, in un’intervista, Vera Politkovskaya, figlia di Anna, la giornalista uccisa nel 2006, dice di considerare quello di Nemtsov “un delitto dimostrativo come quello di mia madre”: “proveranno a insabbiare”, “adesso verranno fuori informazioni contraddittorie e le ipotesi più assurde”.

Sul Corriere Fabrizio Dragosei scrive che “in mancanza di fatti nuovi, senza nessun arresto e nessun sospetto di cui si sia parlato, gli investigatori che indagano sull’uccisione di Boris Nemtsov sembrano volere insistere sulle piste indicate fin dal primo momento: quella di una provocazione contro Vladimir Putin attuata da esponenti della stessa opposizione di cui faceva parte il politico assassinato; e quella delle vicende private, legate all’attività economica o alla vita privata di Nemtsov che negli anni Novanta era stato anche vice primo ministro”. La compagna Anna Duritskaya intanto è tornata in Ucraina, ma prima aveva risposto ad una emittente tv, Dozhd: “‘Non ho visto nulla perché l’assassino è arrivato alle nostre spalle. Ho solo notato dopo la macchina di colore chiaro che si allontanava’”. Quanto alle indagini sulle immagini delle telecamre di sorveglianza, “al quotidiano Kommersant una fonte riservata ha detto che le telecamere erano tutte guaste. Un portavoce del Comune ha invece affermato che le loro erano perfettamente funzionanti e che i nastri sono a disposizione degli inquirenti. Ma dovrebbero esserci anche ulteriori riprese delle autorità federali, solo che non se ne sa nulla. Gli amici di Nemtsov pensano però che l’omicidio sia nato nel clima di odio contro l’opposizione di questi mesi. Qualcuno, magari all’interno dei servizi segreti, si è sentito autorizzato ad agire”.

Sul Sole Antonella Scott sui funerali, che si terranno oggi: non ci saranno Putin e Medvedev, non ci saranno altri ministri né i presidenti dei due rami del Parlamento. “Eppure stiamo parlando dell’ex governatore di una grande città, di un uomo che è stato vicepremier”. Ci sarà l’ex ministro Alekesej Kudrin, “ex ministro delle finanze”, e “uomo vicino a Putin” ma anche “attento ad ascoltare l’opposizione”.

Su La Stampa, Aline Arlettaz intervista Nagib Azergui, leader del Partito dell’Unione dei Democratici Islamici di Francia (Udmf): “Il partito dei musulmani sfida la Francia, ‘Non siamo quelli del libro di Houellebecq’”, “Il leader dei democratici islamici Azergui: correremo alle elezioni . La nostra priorità è rifare la scuola per battere le diseguaglianze”. Il partito si presenterà fra poche settimane al voto dipartimentale. Il Pdmf ha 900 iscritti, 8mila simpatizzanti ed ha sfilato insieme a milioni di francesi all’indomani della strage di Charlie Hebdo.

La Repubblica intervista l’inviato dell’Onu per la Libia, Bernardino Leon: “In Libia troppe armi. Il mondo s’impegni per l’embargo totale”, dice Leon, che considera il blocco navale “un’opzione”. “L’Is sta avanzando: ci vuole un’intesa politica fra le fazioni o vince il Califfato”. Un’azione militare più forte potrebbe aiutare a sconfiggere il terrorismo in Libia? Leon: “C’è una differenza tra combattere il terrorismo e sconfiggere il terrorismo. La prima azione richiede intelligence e una forte azione di polizia, assieme a un forte sostegno internazionale. Ma per il secondo non c’è alcun dubbio: è inevitabile un accordo politico e una grande unione fra i moderati”.

E poi

Sul Giornale una intervista a Nicolò Pollari, a proposito della morte – il 4 marzo del 2005 – di Nicola Calipari mentre riportava a casa la giornalista de Il Manifesto Giuliana Sgrena. Dice Pollari: “Quella sera a Bagdad, in un posto di blocco americano non segnalato, un soldato Usa sparò e Calipari fu colpito a morte. Il processo ha riconosciuto l’immunità funzionale in capo al militare e l’assenza di giurisdizione italiana. È la supremazia della legge”. Risponde alle accuse contenute nel libro dell’ex direttore del Manifesto Gabriele Polo, in cui la vedova di Calipari Rosa, oggi deputata Pd, “parla di una direzione del Sismi ‘ambigua che agiva machiavellicamente su due linee strategiche opposte e alla fine contrapposte, un gioco che costerà la vita a Nicola’. Pollari dice che “il libro tradisce una scarsissima conoscenza dei fatti”, dice che Calipari e Mancini, i due agenti impegnati nella vicenda, “erano entrambi titolati a occuparsi di quel dossier essendo Mancini direttore della divisione che si occupa di controterrorismo, controspionaggio e criminalità organizzata transnazionale; e Calipari direttore della Ricerca”. Dice anche che “Calipari e Mancini erano amici, io stesso ho cenato con loro a casa di Mancini e so che i due si vedevano spesso in un ristorante siciliano della Capitale. Probabilmente erano competitor professionali. Dopo l’incidente gli americani negavano l’accesso a chiunque. Mancini riuscì a superare le resistenze, entrò nell’ospedale militare e fotografò di nascosto il cadavere del collega”.

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