Una pace possibile: armi e disarmo fra stop and go

Da Reset-Dialogues on Civilizations

«All’alba del 2012, sono circa 4.400 le armi nucleari operative in tutto il mondo. Quasi 2.000 di queste sono tenute in stato di massima allerta operativa. Se dovessimo tenere conto di tutte le testate nucleari attive e inattive possedute da Stati Uniti, Federazione Russa, Regno Unito, Francia, Cina, Israele, India e Pakistan il numero totale delle armi nucleari presenti in tutto il mondo sarebbe pari a circa 19.000 mila testate». Da una parte, dopo il picco raggiunto a metà degli anni Ottanta, il numero delle testate nucleari è andato diminuendo. Dall’altra, continua la modernizzazione degli arsenali militari e nucleari.

Ci sono poi i droni, le mine antiuomo, le cluster bombs e un panorama a luci e ombre che ha visto, soprattutto a partire dal secolo scorso, una moltiplicazione dei tentativi di arrivare a un accordo per fermare la proliferazione nucleare e per regolamentare quanto più possibile il commercio di armi convenzionali, «l’irruzione della società civile sui temi della sicurezza e della difesa», ma anche il fallimento di negoziati nei quali le parti in causa hanno preso tempo per non decidere affatto.

A ripercorrere il cammino dei tentativi di disarmo e dei trattati andati in porto, oppure fermatisi in una situazione di stallo, è il volume La pace possibile. Successi e fallimenti degli accordi internazionali sul disarmo e sul controllo degli armamenti, a cura di Maurizio Simoncelli (Ediesse 2012), che ripercorre e analizza i trattati internazionali sulla base di uno studio svolto dall’Archivio Disarmo. Basti pensare alla recente Conferenza Onu che si è svolta a New York nel luglio 2012, che avrebbe dovuto portare all’adozione di un Arms Trade Treaty, un trattato sui trasferimenti e sul commercio di tutte le armi convenzionali, che si è risolto in un «fallimento annunciato» anche per la mobilitazione della lobby delle armi.

Non ci sono solo fallimenti, però, anche se il quadro regolamentare in cui si muovono il commercio delle armi e i tentativi di disarmo sono molto frastagliati e complicati. Ad esempio, dal dopoguerra c’è stata l’istituzione di numerose zone denuclearizzate, spesso attraverso trattati abbastanza all’avanguardia e in aree quali il subcontinente latinoamericano (con il trattato di Tlatelolco, che ha istituito la prima zona denuclearizzata, precursore anche del Trattato di non proliferazione nucleare), il Pacifico meridionale, l’Asia Centrale. In queste ultime due zone geografiche l’istituzione delle aree denuclearizzate fa seguito agli esperimenti nucleari che erano stati condotti in quei paesi – basti pensare all’atollo di Mururoa o agli esperimenti nucleari fatti in Kazakhstan, che ancora oggi dispiegano i loro effetti.

Il Trattato di non proliferazione nucleare, entrato in vigore nel 1970, è stato una «pietra miliare nel disordine nucleare», un «pilastro del regime di non proliferazione» ma allo stesso tempo ha avuto anche dei limiti, ricostruiscono gli studiosi: il disarmo è stato disatteso dagli Stati nucleari, la non proliferazione fra gli altri Stati è stata messa duramente alla prova da nuovi programmi nucleari. Un altro trattato rimasto però in sospeso, spiegano gli studiosi, è il Trattato per la completa sospensione dei test nucleari, che ha raggiunto nel 2012 la quota di 183 adesioni e 157 ratifiche ma non è ancora entrato in vigore perché manca la ratifica di numerosi Stati riconosciuti con capacità nucleari, fra i quali si segnalano Stati Uniti, Pakistan, Israele, Iran, India, Egitto, Corea del Nord e Cina. Proprio alcuni fra i principali Stati “leader” negli armamenti sono quelli che mancano anche a due trattati che rappresentano un successo della società civile, perché hanno messo al bando le mine antiuomo e le cluster bombs: fra i problemi lasciati aperti da queste convenzioni, si segnalano proprio i paesi che non hanno aderito, fra i quali Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele. Il Trattato di Ottawa relativo alle mine antiuomo, firmato alla fine degli anni Novanta, e la Convenzione di Oslo sulle cluster bombs del 2008 rappresentano comunque iniziative di successo, frutto dell’impegno della società civile. Spiega Simoncelli a proposito di questa rete: «Uno degli elementi che merita di essere evidenziato è rappresentato dall’intervento della società civile in settori che tradizionalmente rimanevano riservati alle diplomazie e ad ambienti ristretti. (…) Un nuovo soggetto diviene protagonista: i ristretti circoli governativi, militari e industriali, a cui veniva tradizionalmente demandata la gestione della difesa (con i relativi bilanci), devono iniziare a fare i conti con una società che pretende democraticamente di conoscere, d’intervenire e di partecipare al processo decisionale».

In un periodo travagliato dalla crisi economica e dalla recessione, le spese militari mondiali continuano a crescere, come accaduto anche all’indomani dell’11 settembre, mentre i paesi arabi e asiatici hanno aumentato le importazioni di armi. Tutto questo anche se le minacce che destano preoccupazione per la sicurezza sono sempre meno strettamente militari, ma legate alla proliferazione nucleare, al terrorismo, ad attacchi informatici, alle sfide ambientali e all’accesso alla risorse. In tutto questo, fra spinte all’escalation bellicista e tentativi di arrivare ad accordi bilaterali o multilaterali che di volta in volta hanno prodotto risultati diversi, dalla semplice dilazione dei tempi alla sola eliminazione di armi vetuste al blocco effettivo di determinati armamenti, gli elementi da valorizzare nella ricognizione della storia del disarmo sembrano soprattutto due: da una parte, le remore dei paesi nucleari e di quelli con maggiore potenza offensiva, dall’altra la spinta propulsiva rappresentata dalle istanze provenienti proprio dalla società civile, che forse possono fare la differenza facendo pressione internazionale nelle “segrete stanze” per contrastare con un movimento opposto e contrario le spinte all’escalation militare e alle politiche di riarmo, all’instabilità regionale – basti pensare alla conflittualità fra Israele e Iran – e allo stallo delle Nazioni Unite, dove nonostante la Conferenza del 2012 non abbia prodotto risultati s’è comunque dimostrata l’esistenza di numerosi Stati che vogliono arrivare a un accordo nel settore del trasferimento di armi. Il tutto nell’ottica di un miglioramento delle relazioni internazionali e con la pace come obiettivo superiore.

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Titolo: La pace possibile. Successi e fallimenti degli accordi internazionali sul disarmo e sul controllo degli armamenti

Autore: Maurizio Simoncelli (a cura di)

Editore: Ediesse

Pagine: 176

Prezzo: 12 €

Anno di pubblicazione: 2012



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