L’assalto al Congresso: la bugia diventata grande, violenta e sistema

Lo shock della invasione del Campidoglio ad opera delle squadre pro-Trump non si spegnerà presto non solo per le scene drammatiche di violenza nella solennità dell’aula parlamentare, i vandalismi, il tripudio dei fieri protagonisti e il sangue, morti e feriti, che tutto questo è costato, ma perché questa violenza è stata incoraggiata, incitata da un ennesimo furioso comizio del presidente in carica. L’evento che umilia e copre di vergogna la storia della democrazia americana è il frutto di un incitamento cominciato ancora prima della sconfitta del 3 novembre del 2020 e di minacce che hanno accompagnato tutta la campagna elettorale di Trump, come se un esito favorevole al suo avversario fosse comunque da considerarsi un imbroglio, a prescindere da come gli elettori avrebbero votato.

Le bugie hanno preceduto il risultato, lo hanno accompagnato e seguito secondo un copione che sembrava scritto da una fervida mente tragicomica. Ma che ha funzionato ed è stato creduto da tanti «patrioti».

L’assalto al Congresso era già scritto; sarebbe difficile dire che il suo reale accadere secondo la traccia annunciata sia stata una reale sorpresa. Un certo ragionevole ottimismo, che spesso finisce per prevalere, per una forma di ordinaria pigrizia, lasciava pensare che in qualche modo gli schiamazzi si sarebbero verbalmente sfogati senza devastanti conseguenze. Ma questa ipotesi/speranza si è schiantata davanti al fatto che lo «stato di negazione», della realtà del risultato elettorale, ha potuto preservarsi intatto nella mente di un numero spaventoso di americani (circa la metà dei Repubblicani, calcoli più precisi non mancheranno di dirci di più) e ha fornito carburante alla rabbia, seminata dal presidente degli Stati Uniti, dal suo entourage, dal suo Partito, trasformato in una organizzazione a mentire.

Obama nel suo messaggio di commento ed esecrazione dei fatti di Washington ha giustamente usato l’espressione «ecosistema dei media» che fiancheggia il GOP e che consente la coltivazione di una atmosfera, di una media-sfera, che protegge chi ne fa parte dalle influenze esterne, anche se questa esternalità è la realtà stessa con le sue spiacevoli contraddizioni. Come nel Re Lear di Shakespeare e, ancora meglio, nell’Enrico IV di Pirandello, il contorno dei parenti fa credere al monarca o al pazzo di turno quel che lui si aspetta o quel che loro conviene.

Nell’ecosistema che ha inghiottito finora quasi tutto il Partito Repubblicano, gli accompagnatori del pazzo sono stati Fox News (salvo, questa, qualche modico ripensamento in extremis) e Newsmax, e ancora di più i social networks ed i siti dove le voci dei missionari della rivolta si confortano e si rinforzano vicendevolmente nel settarismo più scatenato.

Basta affacciarsi su thedonald.win o sull’alternativa a Twitter (quando il capo viene bloccato), una app di nome Parler, per trovare oggi proclami dove, nel nome del rifiuto del compromesso, si annuncia che la battaglia per la rivoluzione è solo all’inizio, che Pence è un pugnalatore alle spalle che fin dall’inizio si preparava ad abbandonare Trump, a causa della sua lealtà verso l’agenda di Obama che ha, di nascosto ma non tanto, messo in atto, venendo ora finalmente allo scoperto.

Adesso tutti vedono che Pence manifesta la sua vera natura, dandosi di gomito con Nancy Pelosi e intascando una tangente, che è il prezzo del suo tradimento. Quelli sono siti dove si trovano tesi fantasiose e truculente come quella secondo la quale i Democratici hanno organizzato omicidi di massa degli anziani per far aumentare la statistica dei morti e far credere che davvero ci sia in circolazione un virus tanto pericoloso come il Covid. Il quale virus è invece una pura invenzione introdotta per far perdere le elezioni a Trump. Davanti a fantasie così colossali e ostiche da accreditare nella evidenza della vita quotidiana, l’idea che le elezioni siano state influenzate da brogli è un dettaglio molto più facile da spacciare.

Questo ecosistema della menzogna ormai è vivo e forte ed ha raggiunto l’età del suo forse massimo vigore. Aveva mosso i suoi primi passi dopo l’11 settembre, e dopo la guerra in Iraq, giustificata con la tesi che Saddam Hussein fosse il mandante di Bin Laden e Al Qaeda e che quel dittatore arabo possedesse armi di distruzione di massa capaci di entrare in funzione all’istante. In quell’occasione Fox News, mentre Powell esibiva una provetta con non si sa quale liquido giallo nell’assemblea plenaria dell’ONU, aveva conquistato il primato tra i canali televisivi americani battendo sul tema della viltà dei governi europei imbelli e succubi dei movimenti pacifisti. Furono spacciati per buoni documenti falsi. E Bush conquistò il suo secondo mandato quando le bugie erano già state smascherate, ma tenute ancora per buone nell’ecosistema.

Da allora quella «bolla» a prova di smentite ne ha fatta di strada, al punto che ora lo stesso Bush e con lui Karl Rove, allora in plancia al comando delle operazioni, inorridiscono. Giustamente. Si trattava allora di realtà lontane ed esotiche, terroristi nel deserto, dittatori arabi. Vai a capire… certe sottigliezze. Ora il laboratorio che produce di queste fictions macina prestazioni molto più grandi, riesce a far credere che il presidente che ha perso le elezioni resterà ancora lì per altri quattro anni.

Sarà difficile liberarsene, perché tutto questo avviene sotto la bandiera del free speech, principio sacro dell’ordinamento americano, sacro quanto quello del secondo emendamento, il diritto di portare armi.

La presenza di Trump nel futuro politico del Partito Repubblicano, dunque degli Stati Uniti, e dunque in quello di tutti noi, dipende dallo stato di salute di questo ecosistema, che non ha l’aria di volersi dissolvere e che sembra in grado di tenere in vita la storia delle «elezioni rubate» a tempi indefiniti.

 

Foto: Olivier DOULIERY / AFP

  1. A me sembra che gli avvenimenti abbiano avuto al Campidoglio il funesto esito conosciuto, perché Trump ha sdoganato e rimesso nel gioco politico tutta una serie di movimenti eversivi ed estremisti che in passato erano tenuti ai margini delle discussioni politiche (quelli che Trump chiama “Patrioti” ma che in realtà sono dei “complete” completi “jerks” idioti). Per rimetterli fuori dell’agone politico ora non vi è che una soluzione: per continuare a dirla in rima: la destituzione di colui che ha ordito il fallito colpo di Stato. Donald aveva avuto una “smashing idea”: l’aveva pensata bella Donald. I “Patrioti” fanno irruzione nel Campidoglio ed il Vice Presidente Pence che presiede la riunione capovolge “a furor di popolo” il risultato elettorale escludendo i voti dei grandi elettori degli Stati twist che si erano spostati nel campo democratico. Ma questa trovata non ha avuto il vento in poppa perché Pence non se la è sentita di partecipare al colpo di Stato, cosi’ l’azione dei “Patrioti” è stata vana. Fin qui la micro analisi dei fatti. Ma vi è da considerare la tendenza di lungo periodo e porsi in proposito alcune domande. L’elezione di Trump, nel 2016, è stata una semplice parentesi? O piuttosto é stato il sintomo della fine del secolo americano, analizzato dal direttore di Foreign Affairs, Gideon Rose? Oramai occorre prendere atto che il cosiddetto “ordine liberale mondiale è inconcepibile e non puo’ pertanto funzionare senza un governo di pari livello territoriale? Gli USA, in questa prospettiva hanno un ruolo decisivo da svolgere, insieme alla UE? Quest’ultima non dovrebbe entrare all’interno, (in un primo tempo) a fianco dei suoi Stati membri delle organizzazioni internazionali multilaterali mondiali (come le Nazioni Unite, il WTO, il FMI, la World Bank, e l’ILO)? Come ha acutamente osservato Domenico Moro in un contributo proposto al Centro Studi sul Federalismo e pubblicato anche da Euractiv (https://euractiv.it/section/mondo/opinion/la-fine-del-secolo-americano-e-la-sua-eredita/) il secolo americano è finito, nel senso che la leadership degli USA non è più sufficiente al governo del mondo? In altre parole, the US “da soli” “potranno contribuire alla nascita di un nuovo ordine mondiale? Biden può invertire quella che, con sempre maggior evidenza, si profila come una tendenza storica irreversibile? Biden piuttosto non potrebbe dare all’Europa, ed al resto del mondo, quattro anni di tempo per progettare un nuovo ordine mondiale”? Nell’ambito di questo nuovo ordine mondiale gli USA non dovrebbero rinunciare ad una parte della loro sovranità?

    “La parola decisiva spetterà” -tuttavia- “agli europei”? Dovremmo decidere, ad esempio, l’ingresso dell’UE in quanto tale nelle istituzioni multilaterali” accanto, agli Stati membri?

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