La carta in crisi e la rete, chi salverà edicole e edicolanti?

Questa intervista al segretario del Sinagi conclude l’inchiesta di Alberto Ferrigolo sullo stato dell’edicole e sulla crisi del mercato dei giornali.

Com’è il declino della stampa, visto dall’edicola? Da dietro al vetro, guardando la strada, tastando i lettori e le loro esigenze? A registrare il fornito e verificarne la resa? Stretti tra pile di testate e gadget, mentre ogni tanto qualcuna, al mattino, viene a mancare all’appello quotidiano. Com’è fare i conti a fine giornata? L’abbiamo chiesto, più che a un semplice edicolante, a un signore che la categoria la rappresenta e i problemi li conosce nel suo complesso, al di là e oltre i casi specifici. Si chiama Giuseppe Marchica, ed è il segretario nazionale del Sinagi, il sindacato dei giornalai affiliato alla Cgil, che lamenta e denuncia: «In sette, otto anni hanno chiuso i battenti undicimila edicole»

Segretario, i nostri lettori lo sanno già, questo dato l’hanno potuto leggere. Cosa chiedete agli editori, il vostro braccio di ferro è in primo luogo con loro, se non erro?

Abbiamo un contratto con loro che è scaduto da tre anni ed è un contratto vecchio, che non ha più molto senso per come è costruito. Non risponde neanche più alla realtà odierna. Pensi che è un contratto che ancor oggi prevede per gli allegati un compenso dello zero virgola zero e qualcosa quando oggi l’allegato non attira più nessuno. Un contratto che dà alle edicole tutti gli oneri ma di diritti pressoché nessuno, perché è contratto nato in momenti in cui c’era parecchia vendita per cui non c’erano problemi, se non quelli di gestione.

E oggi cosa ci vorrebbe invece?

Oggi gli editori fanno un’operazione poco simpatica, perché da una parte investono e indipendentemente dal tenere in piedi una rete di vendita, che comunque è stata dedicata all’editoria, anzi esclusivo terminale dell’editoria, dall’altra utilizzano la rete di vendita come se si trattasse di un Bancomat, perché mettono fuori pubblicazioni già riciclate seimila volte.

Scusi, in che senso?

Sì, gli editori si riciclano le rese. Con il giochino di farle pagare in anticipo utilizzano flussi finanziari che provengono direttamente dalle edicole, fra l’altro piuttosto in crisi in questo periodo, per utilizzare soldi non propri. Sono capaci tutti di fare gli imprenditori andando a prendere soldi a costo zero presso le edicole.

Può spiegare meglio cosa significa che “mettono fuori pubblicazioni già riciclate”?

Quel che ho detto: edizioni già pubblicate e rimesse in circolazione ripetutamente. Pensi che sono arrivati a rimettere in circolazione, che so, pubblicazioni tipo dei calendari di due, tre anni fa. Si può immaginare lei, ma chi va in edicola a comprare il calendario di due, tre anni fa?

Calendari con le date vecchie?

Li avevano in magazzino e li hanno rimessi in circolo. Ma è una cosa quasi normale. Poi ci sono altre operazioni, per cui con questo contratto tutte le pubblicazioni che sfruttano il periodo bimestrale dovrebbero essere in conto deposito. Lo scorso anno, invece, oltre 1.500 di queste testate invece che in conto deposito sono state messe a pagamento in conto diretto. Ma complessivamente, come numeri assoluti fanno anche tre, quattro mila “pezzi”, perché magari sono bimestrali o trimestrali ed escono anche più volte in un anno. Non è che si tratta di un numero solo, “una tantum”. E se si calcola due, tre, quattro euro a pubblicazione e lo si moltiplica per i tre, quattro mila numeri per quindici, venti, trentamila edicole faccia lei i conti: sono un flusso finanziario impressionante. Soldi che vengono drenati dai rivenditori, poi restituiti, certo, però in realtà restituiti sostanzialmente mai, perché mentre l’editore mi rende una pubblicazione di questo genere con la mano destra, lo stesso editore intanto con la mano sinistra me ne offre un’altra da collocare sul bancone, cosicché l’anticipazione è sempre un’anticipazione e tale rimane. È un circolo vizioso.

Ma una volta il materiale non era tutto “in resa”?

Sì, ma se io una pubblicazione a lei editore adesso gliela pago e tra un mese gliela rendo e dopo lei mi restituisce i soldi, io comunque di questo mese le ho anticipato la somma. Un’operazione in conto capitale. E se lei editore una pubblicazione la manda a trentamila edicole, anche solo del costo di 1 euro, che poi non ne esistono nemmeno di questo tipo – sono in genere tutte del valore di due, tre, quattro euro, e poi ci sono dei Dvd e dei Cd a otto, nove, dieci euro – ma per semplificare il ragionamento facciamo 1 euro. Bene, lei manda questa rivista a trentamila edicole, ne manda due copie a ognuna, quanto fa? A casa mia sessantamila copie a 1 euro sono sessantamila euro, che lei editore prende per quella sola pubblicazione e che sono soldi miei che lei utilizza come fossero suoi. Ma le sembra normale? E se anziché 1 euro sono i 9 di un Dvd faccia un po’ lei i conti. Sono 540 mila euro, veda quindi un po’ quanto respiro economico viene sottratto alle edicole.

Voi che soluzione proponete, invece?

Sono anni che chiediamo di sistemare questa contabilità, ma non c’è verso. Gli editori non ne vogliono sapere. È chiaro che prima o poi sconteranno anche loro il prezzo di queste operazioni disinvolte. Sono anche sostanzialmente poco intelligenti, perché pensano che la chiusura delle edicole, la loro selezione, farà sopravvivere solo gli editori più forti che alla fine potranno contare su una rete di vendita dedicata, facendo però fuori tutta la piccola editoria. Non si rendono invece conto che così facendo stanno solo ammazzando se stessi, tant’è vero che editori come Rizzoli, Mondadori, sono stati costretti a liberarsi e mettere in vendita delle testate, le hanno dovute chiudere.

Mi spiega perché gli editori dovrebbero preferire distribuire nei supermercati anziché nelle edicole? Quali sono i vantaggi? dal punto di vista della distribuzione, come terminale le edicole sono più capillari, meglio distribuite, coprono un’area e un territorio più vasto.

Se lei parla di un editore a cui interessa vendere una pubblicazione, sì, il suo ragionamento è corretto, ma se lei parla di un editore che non ha interesse a vendere nulla, e a cui interessa intascare solo i proventi della pubblicità e far vedere che la sua testata esiste, c’è, è presente sul mercato editoriale, ha una sua diffusione, così i pubblicitari gli danno più soldi garantendogli maggiori inserzioni pubblicitarie o inserzioni meglio retribuite, allora sì, preferiscono i supermercati.

Lei mi sembra dire: l’importante non è vendere ma l’esserci, apparire. Quindi per l’editore il problema sono i contatti visivi, non i contatti fisici, reali.

Teoricamente sì, è così. Se però tutto ciò desse loro dei risultati potrei anche capirlo, però quando vedo i grossi editori che mettono in vendita le loro testate, le cedono ad altri perché non ce la fanno più a sostenerle economicamente, allora sorge qualche dubbio che questa scelta non sia davvero così lungimirante mi viene qualche sospetto.

Noto che molte edicole, anche del centro città, chiudono a pranzo e magari non riaprono neppure il pomeriggio. Oppure chiudono la sera anticipatamente, alle 18. Orari davvero strani, sregolati.

Scusi, ma secondo lei l’edicolante è uno stipendiato dello Stato che va lì a fare una presenza oppure uno che vive del suo lavoro. Se lei parte dal fatto che vive del suo lavoro e aggiunge che di queste 32 mila edicole, almeno 22-23 mila non arrivano al reddito di mille euro netti al mese, faccia lei i suoi conti… Quindi l’edicolante spesso chiude e va a fare un altro lavoro. Incassa i suoi sette, ottocento euro al mese con il lavoro da edicolante sino all’una, le due, poi va a fare un lavoro diverso per integrare il reddito, altrimenti non ci sarebbero i margini per vivere.

Una volta però l’edicola era ricca, era un luogo redditizio, veniva anche proposta come tema, oggetto della liquidazione – o di parte di essa – a direttori di giornali dopo un ciclo di onorato servizio. Parte in denaro, parte con un’edicola, che so, nel centro di Milano. Un tempo un’edicola valeva moltissimo, una fortuna. Era un vero investimento. Oggi non è più così?

No, non è più così. Oggi due terzi delle edicole guadagnano al netto meno di 1.000 euro al mese.

Lei intende per edicole i chioschi o cos’altro?

Intendo per edicola quella che deriva dal lavoro che si fa con la vendita dei giornali. Che siano chioschi o negozi non mi interessa, io parlo esclusivamente del lavoro dell’edicola.

Da questo punto di vista però l’edicola è diventato anche un luogo diciamo polifunzionale, che vende di tutto, più cose, i gadget ma persino il Gratta&Vinci, i profumi, i giocattoli, non più solo le figurine Panini.

Ma il Gratta&Vinci in verità l’han sempre venduto le edicole. È adesso che non lo vendono più. Una volta, quando c’era il monopolio, davano il Gratta&Vinci a tutte le edicole, adesso che invece c’è la libertà e la liberalizzazione il soggetto privato, che è poi Lottomatica, li dà solo a chi gli pare. E se considera che nella Lottomatica c’è dentro la De Agostini, il darle a chi gli pare ha finito con escludere proprio una gran parte delle edicole. Danno il Gratta&Vinci più fuori che non alle edicole, per cui una parte di queste – soprattutto nelle città grandi, tipo Roma – cercano di arrangiarsi vendendo altre cose per poter riuscire a sopravvivere. Perché laddove non ci sono questi margini potendo vendere anche altri prodotti, le edicole chiudono. Come di fatto hanno chiuso, stanno chiudendo e continuano a chiudere.

C’è poi questa ipotesi di cui si parla, che è chiamano informatizzazione o digitalizzazione dell’edicola. Cos’è? Può essere un soluzione?

Consiste nel mettere “in rete” tutte le edicole, collegate ad un unico server centrale e con la vendita dei prodotti editoriali che avviene attraverso l’utilizzo della lettura del codice a barre, così da consentire di mettere in trasparenza l’intero sistema e all’editore di avere i dati delle vendite in tempo reale. E, teoricamente, di consentire di dare “carichi” adeguati al tipo di vendita richiesta e necessaria. Un modo per limitare le rese e bilanciare le tirature. Ora, di fatto, un programma di questo genere c’era già e si chiama InfoRiv, significa Informatizzazione Rivendite. Adesso si sono impegnati a farne uno nuovo, da un anno dovrebbe essere già sul mercato ma ancora non c’è. Noi ne abbiamo uno che è in grado di fare questo tipo di attività, ma gli editori mi impediscono di poterlo diffondere perché per fare questa operazione c’è bisogno che i distributori locali mettano a disposizione le bolle ai rivenditori attraverso un meccanismo elettronico. Non costoso perché basterebbe per esempio mandare le bolle con il nostro sistema in formato testo con un procedimento che a costruirlo basterebbero 5 mila euro di spesa, ma anche fossero 10 mila mi consentirebbe in ogni caso di distribuirlo per tutte le città e le province. Sarebbe come avere un “cassetto” per ogni distributore locale. Lui dovrebbero mandare i dati della bolla con il fornito e ricevere in cambio quelli della resa attraverso il sistema inforatizzato.

Una semplificazione, una razionalizzazione, forse persino un risparmio. Se ne parla tanto per ogni cosa ormai, cosa osta?

Realizzare questo obiettivo significa mettere “in trasparenza” il sistema.

Ottimo, è la parola-chiave di quest’epoca. Trasparenza.

Certo, ma mettere in trasparenza significa anche dichiarare i dati. Lei nella sua attività professionale è mai riuscito ad avere da un editore i dati veri di vendita di un giornale o della testata per la quale lavora o ha lavorato? Io non sono così convinto che gli editori, i distributori locali e nazionali siano davvero così interessati alla trasparenza e a far sapere i propri affari. Perché fino a quando con l’autocertificazione prendono soldi, fino a quando nascondendo i dati o modificandoli o autocertificandosi i dati di vendita, e i costi della pubblicità si basano proprio su quelli, o fino a quando si utilizzano i rivenditori come Bancomat spremendoli come dei limoni, è davvero difficile che tutto ciò si possa realizzare. È un problema di volontà, perché se fosse solo un problema di software noi ce l’abbiamo bell’e pronto, lo mettiamo a disposizione, direttamente noi, gratuitamente. Lo abbiamo già detto, lo abbiamo già scritto anche sul nostro bimestrale, lo abbiamo dichiarato pubblicamente, agli editori, al governo. Ma non solo non ci hanno mai neanche detto “fatecelo vedere”, si sono ben guardati dall’entrare nel merito.

Perché?

Perché metteremmo in trasparenza un sistema. Sa i vecchi detti “sollevare i coperchio…”. Ecco, più o meno siamo lì. Nessuno vuole sollevare coperchi. Nuvole e coperchi fanno comodo solo a chi ha qualcosa da nascondere. Noi che puntiamo invece alla trasparenza vorremmo da tempo avere un sistema di questo genere. Per altro, una piccola sperimentazione l’abbiamo già fatta. Ci sono alcune edicole che il sistema InfoRiv lo utilizzano già, sono in rete, hanno solo la piccola rottura di scatole di doversi costruire manualmente il modello della bolla, ma per il resto il sistema funziona. E bene. Se lo applicassimo a tutti gli editori dopo un minuto avrebbero già il risultato quel che succede in edicola. Ma non vogliono. Sono succubi della Fieg, la Federazione degli editori, accettano tutto quel che la Fieg gli racconta. Purtroppo abbiamo dei governi deboli, e da questo punto di vista il peggiore di fatto è stato proprio quello tecnico dell’ultimo anno, perché s’è lasciato ricattare da rapporti anche personali. Ci sono situazioni davvero squallide sotto questo profilo. Ed è un sistema che porterà l’editoria italiana a diventare satellite di editori di altri Paesi. Si andranno a copiare qualche testata, come già fatto per altro, arriverà qualche sceicco a comprare un po’ di testate mettendo in crisi le altre. Se lei toglie gli investimenti che sta facendo il Gruppo Repubblica-L’Espresso, per esempio come ha fatto con i Beatles o i Pink Floyd, in questo momento, lei di altri editori vede forse in giro dei progetti nuovi, delle riviste nuove, qualcosa di nuovo nelle edicole? È tutto fermo. Tolga questi pochi investimenti che qualcuno che ha la voglia di fare, sta facendo, per il resto è calma piatta. Disinteresse totale. Ed è davvero un peccato lasciar morire un settore che negli anni ha fatto arricchire tanta gente. De Agostini ha fatto i soldi con le riviste, adesso è tutto rivolto verso orizzonti finanziari, i giochi, le lotterie, abbandonando pesantemente il settore che lo ha fatto nascere e crescere. Se non c’è una svolta, se non c’è una volontà, se il governo non dà una mano in questa direzione non se ne esce. Anziché dare soldi a manetta, il governo dovrebbe dire: adesso ci fermiamo qua e ragioniamo. Noi siamo sempre disposti a sostenere l’informazione, la cultura – perché di questo si tratta – si dovrebbe bloccare qualsiasi forma di finanziamento sulla carta, promozioni sulle tariffe postali, dovrebbero bloccare i finanziamenti diretti all’editoria per distribuirli meglio, non per bloccarli ma per dire fate meglio i prodotti. Dare finanziamenti sulla base degli investimenti che il mondo editoriale e imprenditoriale fa. Non si investe se non ci sono dei soldi disponibili, ma allora non si capisce cosa serve a mantenere in piedi un giornale in Canada o in Sudamerica o mantenere in piedi in Italia, attraverso tanti sistemi, tante testate anche attraverso il finanziamento pubblico. In tutto il mondo un blocco degli investimenti come quello che c’è in Italia, non credo ci sia eguale nemmeno in un momento di crisi come questo.

La liberalizzazione dei punti di vendita a chi ha fatto più male? Diciamo che se non ha giovato all’edicola, non ha portato vantaggi neanche agli editori mi sa…

La liberalizzazione ha fatto male solo all’edicola, perché di fatto stiamo parlando non di liberalizzazione ma di concentrazione. Quando lei ha fino a un certo punto 8 mila comuni italiani che programmano la propria rete di vendita e da un certo punto in poi hanno invece trasferito le competenze della rete di vendita mettendole in mano a cento distributori locali, secondo lei si è liberalizzato o si è concentrato? Per cui se prima decidevano 8 mila comuni come posizionare la rete di vendita, oggi decidono cento distributori a chi dare i giornali e a chi toglierli. Io porto l’esempio di un’edicola con cui ho parlato oggi che ha avuto problemi con il terremoto in Emilia e per un paio di mesi gli insoluti sono stati tollerati dal distributore, dopodiché non gli ha dato più i giornali. Poi l’edicola un po’ alla volta s’è messa in pari e adesso le hanno detto basta, i giornali non te li diamo più, perché nella tua città di edicola ne basta una e non è la tua. Devi chiudere. Ma le sembra possibile? È legge di mercato questa? È liberalizzazione dei punti di vendita? Non è accettabile. Non lo decide il mercato ma un soggetto privato secondo i propri interessi. Decide della vita professionale ed economica di altre persone.

Dovevate bloccare la distribuzione dei giornali nei tre giorni delle elezioni, a fine febbraio. Una serrata. E c’era un grande allarme. Poi avete revocato lo sciopero, perché?

Abbiamo avuto delle richieste da parte del governo, del prefetto di Roma, dei partiti che ci hanno chiesto di spostarlo e soprassedere. Nel momento in cui i politici dicono che hanno capito il problema, se ci dicono queste cose prendiamo atto e allora noi sospendiamo lo sciopero anche per senso di responsabilità. Ora però vediamo se rispettano gli impegni presi. Altrimenti siamo pronti a ritornare sul piede di guerra.

  1. Ho aperto da poco un’edicola, incontrando molte difficoltà.
    Il mio distributore mi ha chiesto una fidejussione e un costo di gestione settimanale pari a € 80,00, che non riesco a coprire con la vendita. E’ legale? A chi mi dovrei rivolgere? Grazie. Saluti

    • Costo di gestione di cosa?Scommetto che potevi scegliere tra fidejussione o stipulare un’assicurazione che ti coprisse un assegno a garanzia?

  2. io ho un piccolo supermercato con un angolo per i giornali ma e’ un incubo gestire questo angolo…mandano loro cio’ che vogliono anche articoli che bisogna pagare subito ma che non ho mai venduto nemmeno uno ma loro continuano a mandare una cesta di merce e si fanno forza perche’ sono gli unici rivenditori…e intanto devo pagare rid settimanali ufo altrimenti bloccano anche i settimanali che sono, assieme ai quotidiani, gli unici che si vendono…

  3. tutti bei discorsi ma e’ tutto inutile se dal 20% nn ci portano come minimo al 30% dovremmo unirci e nn pagare tutti insieme gli estratti conti e scioperare!!

  4. Purtroppo, anche se scontato e ormai banale…, bisogna ricordarci che siamo in Italia…paese dei balocchi ma solo per pochi (o per molti)..Ho rilevato da poco un chiosco edicola dove a quanto pare non posso far altro che vendere giornali e ricariche telefoniche…niente altro pare sia possibile nonostante le liberalizzazioni di cui tanto si parla…
    E non parliamo dei distributori concentrati di cui si dice…per ogni cosa (dalle ricariche ai giornali..) fidejussioni a più non posso.. per le quali ovviamente si pagano cifre certamente non irrisorie che vanno sommate ad affitti e fidejussioni accessorie da capogiro…Prima paghiamo e poi rendiamo l’invenduto proprio come dice Lei..ma se qualche conto deposito dal nome più strampalato ci resta in edicola sono affari nostri….dobbiamo sapere che “tutti gli animali del mondo”, per esempio, sono in realtà delle bolle di sapone…E non dimentichiamoci che noi edicolanti siamo il veicolo che gli editori utilizzano per propagandare abbonamenti alle varie testate!!!!!….
    Ho 19 anni e sto in edicola 13 ore al giorno, pranzo con un panino e non ho un bagno per espletare le più elementari necessità fisiologiche…e mi sto ponendo spesso la domanda…chi me lo ha fatto fare? Forse sono troppo ingenua e giovane sicuramente..spero che qualcosa possa cambiare perchè questo lavoro comunque mi piace, ma vedere che tante parole si fanno e fatti pochi è, a volte, molto deprimente.
    Mi perdoni lo sfogo
    Alyce
    Mi perdoni lo sfogo

    • Ti capisco e ti sono solidale sono un collega…faccio questo lavoro da tre anni,anch’io posseggo un’Edicola Chiosco che purtroppo non dispone del bagno ;-)….purtroppo il problema economico che affligge il settore c’e’ e non lo si vuole risolvere…a parte l’informatizzare con un gestionale tutti i punti vendita…basterebbe che tutte le varie pubblicazioni fossero fornite in conto deposito…facendo cosi avrebbero risolto anche il problema delle “rese per compensazione” o in eccesso…. non so te come ti comporti ma se tieni tutto cio’ che ti manda il distributore non fai nemmeno pari…io per tirare fuori lo stipendio rimando indietro cio’che presumo di non vendere “resa a specchio” e per fortuna il nostro distributore locale ci accetta….da questo punto di vista nella nostra zona ci possiamo ritenere fortunati ne abbiamo uno super corretto…per la mia esperienza lavorativa lo reputo tale…cosa non da poco se si fanno raffronti leggendo le riviste di categoria snag e sinagi dove colleghi di tutta italia oltre ai problemi di settore si trovano anche con quelli con i distributori che purtroppo specialmente nel sud respingono le rese anticipate…e mettono il contributo per la consegna…il mio e’stato un po’ uno sfogo….a forza di esporre questi problemi di vita di questo povero settore morente oramai in coma a giornali,riviste mi rendo conto da solo a parte la pubblicazione, di ricevere solo e direi forse per chi capisce compassione,ma di non arrivare a niente……Ai Politicanti….Non Facciamo Morire Questo Settore….Diego

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