Maistrello: il fact checking occasione di maturità per giornali e politica

Le elezioni politiche dello scorso febbraio hanno visto l’affacciarsi nel giornalismo di una via italiana al fact checking. Un primo esperimento durante il confronto su Sky per le primarie del centrosinistra ma esempio viruoso anche il ministro Fabrizio Barca che twitta nel mezzo della diretta di Servizio Pubblico per correggere un dato. Il controllo dei fatti, pratica nata e diffusasi nelle redazioni angloamericane agli inizi degli anni Venti e rinata con vesti nuove durante le presidenziali del 2008, è arrivato anche in Italia sull’onda del successo di siti come Politifact. Mesi fa il pubblico italiano ha conosciuto l’operato di Pagellapolitica.it, Politicometro.it e Sky Fact Check – buoni esempi di un genere di giornalismo nuovo che tuttavia non riesce ad imporsi nel mercato italiano alla stregua dell’ispiratore statunitense.

Sergio Maistrello, giornalista, docente di Giornalismo digitale e autore di un recentissimo ebook intitolato Fact checking, identifica quella che potrebbe essere una motivazione: “Il pubblico non è pronto. Per tanti anni siamo stati abituati a un giornalismo che è molto autoriale e poco tecnico, poco preciso. Il discorso pubblico è transitato in tv e attraverso narrazioni televisive, spettacolari e sensazionalistiche, che lavorano molto poco sul dettaglio. In linea di massima, il pubblico italiano è molto umorale e impreciso”. E tuttavia, da biasimare non sono propriamente lettori e telespettatori: il problema alla base, secondo Maistrello “non è tanto il pubblico, ma come è strutturata l’informazione italiana che tende a puntare molto sulla pancia e poco sulla testa dei cittadini”.

I vizi storici dell’informazione italiana – dall’ infotainment alla mancata separazione tra popular press e quality press – hanno infatti formato un pubblico che tende a preferire la qualità della forma a quella dei contenuti: “Negli Stati Uniti, l’informazione è da sempre più tecnica, più codificata e meno bella da leggere. È naturale che lì siano nati gli strumenti della verifica. Anche il mercato è diverso, talmente vasto che la competizione, in certi casi eccellenti, può davvero giocarsi sulla qualità spinta – da cui l’esigenza di un surplus di controllo.”

Una necessità che è finita per diventare una superficialità in molte realtà d’Oltreoceano a mano a mano che la crisi si imponeva all’interno delle redazioni e costringeva a rivedere gli organici o a ottimizzarli nei settori più produttivi. Denigrato dalla maggior parte delle testate, il fact checking ha finito per ritrovare una propria posizione nel panorama dell’informazione sotto vesti leggermente diverse. Pur mantenendo il tipico scetticismo e la precisione professionalmente maniacale, il fact checking si è fatto indipendente e ha trovato un suo pubblico, spostando l’oggetto della verifica dai prodotti editoriali alla propaganda politica. “Qui in Italia ci si arriva perché giunge la moda dagli Stati Uniti”, spiega Maistrello precisando però che malgrado il “processo innaturale”, il fact checking italiano possa comunque funzionare, e sottolineando le conseguenze sul piano metodologico. “È interessante che si provi a mettere in circolo un metodo che riguarda tutti come cittadini prima che come giornalisti. E lo è ancora di più quando il fact checking diventa collaborativo. Non è tanto il cittadino che deve imparare a ricostruire la catena di ponti e di validazioni – cosa che già sarebbe eccezionale. Ma (è ancora più interessante) se ciascuno di noi, che oggi può scrivere, pubblicare, condividere con tutti e liberamente, entra nella logica per cui se io sostengo un’idea so che devo mettere a disposizione dei paletti per costruirla su argomentazioni visibili, link e riferimenti concreti – di modo che chi mi legge non debba ricostruire tutto il processo da capo”.

“In questo senso, il fact checking che oggi è una forma giornalistica più o meno alla moda, può essere strumentale a far crescere la consapevolezza che i politici non sempre dicono la verità, che i giornalisti non sempre fanno un lavoro perfetto e che tutti noi abbiamo bisogno di condividere un modo di formarci le idee e diffondere le informazioni che abbia un fondamento oggettivo e non solo l’estemporanea voglia di dire la propria opinione”.

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