La campagna elettorale più brutta

Soprattutto le televisioni (Berlusconi), ma anche molto le radio. Pochi i comizi (in particolare Grillo, che ha riempito le piazze). Molti invece i manifesti, i poster grande formato, che sono tornati a campeggiare, muti, dai muri e dagli appositi spazi (tutti gli altri, soprattutto i candidati meno abbienti, in particolare quelli che competono per le regionali). E poi Facebook e anche Twitter, a seconda dei casi (chi più e chi meno). E gli SMS. Tantissimi. E poi pure i sondaggi, la cui diffusione – quanto a influenza – conta molto (non è un caso che Berlusconi abbia lanciato l’ultimo, sulla rimonta, che lo certifica a -5 punti dal Pd, proprio alla vigilia del divieto di diffonderli fino al voto in base alla legge sulla par condicio, venerdì 8 febbraio). Qualcosa resterà pure nella testa degli italiani, no? Come dire: a me l’ultima parola.

È la campagna elettorale versione 2013. Multimediale e multitasking. Ma anche la peggiore mai vista. Qualcuno giura, persino, la peggiore dal dopoguerra. Brutta, avvilente e anche priva di contenuti. Non s’è discusso di programmi, di opzioni, strategie per come far uscire il Paese dalla crisi. E rilanciarlo. Salvo la boutade sul filo di lana della chiusura per lasciare il segno, sconvolgere le convinzioni, sparigliare il campo, tentare di recuperare il recuperabile («Perché tanto non ho nulla da perdere»), come ha fatto proprio Berlusconi con la proposta sulla restituzione dell’Imu, la tassa sugli immobili, e poi il condono tombale su fisco ed edilizia. Poi gli ha risposto Bersani con l’iniziativa dei 50 miliardi di euro da stanziare per chiudere i conti dei debiti che ha contratto lo Stato, la Pubblica amministrazione, nei confronti delle imprese a cui da mesi se non anni non salda le fatture emesse per la fornitura di servizi, materiali, lavori svolti.
È stata perciò (anche) la campagna elettorale di chi la spara più grossa (modello Ici 2008) e ha il fiato più lungo.

Radio e tv, Berlusconi le ha battute tutte. A tappeto. Testate giornalistiche, reti, talk-show, programmi d’intrattenimento mattutini e pomeridiani, con particolare preferenza, dove staziona il suo pubblico, prevalentemente anziano, casalingo, poco istruito. Reti grandi e piccole. Nazionali e locali, non disdegnando nulla, nemmeno TeleTuscolo o similari per intenderci. Anzi. E in modo sistematico.

Ed è così riuscito ad uscire dall’opacità e dalla semi-clandestinità in cui era piombato (si era ridotto) dopo la precipitosa (e consenziente) uscita dal Governo nel novembre del 2011 facendo persino risorgere (almeno mediaticamente) un Pdl diviso, frantumato, rissoso che ha perso ali estreme e noccioli moderati che si sono raggruppati ora nei Fratelli d’Italia ora al centro con la Lista civica di Monti. E facendo risorgere prima di tutto se stesso. Facendo dimenticare guai, processi, disavventure giudiziarie, feste&festini allegri e il baratro in cui ci ha cacciati con l’inazione del suo ultimo esecutivo piegato ai conflitti con Giulio Tremonti, il Superministro dell’Economia oggi candidato premier con la Lega di Maroni.

Una campagna elettorale volatile, combattuta soprattutto nell’etere e dentro il web, che non lascia traccia, se non per qualche fermo-immagine e per ciò che lascia negli occhi di chi ha seguito la tv. Una campagna per nulla fotografabile dunque, se non per quella parte di manifesti che sono affissi per strada, fuoriuscendo anche dagli appositi spazi.

Ma questo è pure l’effetto del Porcellum, la “legge elettorale porcata” come ha ammesso il suo stesso estensore, il leghista Calderoli che l’ha concepita pro domo sua e a danno di tutti gli altri dove, tra egemonia delle sigle, leader-pigliatutto e “listini bloccati”, all’elettore è stato sottratto il diritto di scegliere i propri eletti, cioè i candidati da poter votare, inibendogli così anche la possibilità di contribuire a selezionare l’offerta singola e la classe politica nel suo insieme.

Così almeno sul piano nazionale. Mentre sul piano locale (le regionali) una parvenza di scelta ancora c’è, tanto che i candidati tentano di mettersi in gioco, si mostrano e fanno vedere la propria faccia che campeggia in poster formato “elefante extralarge”. Si tratta per lo più dei “mezzibusti” di quanti non vanno o non possono andare in tv (e sì che, paradosso dei paradossi, viene definito mezzobusto proprio l’anchormen del telegiornale, la vecchia annunciatrice tv). Mentre qui i mezzibusti che si contendono un posto per il consiglio regionale stanno in bella vista sui manifesti per strada in foto quasi formato-tessera per stile e risultato. Un po’ tristi, specie i maschi. Le spalle insaccate, i volti privi di espressione, rigidi nella posa di trequarti.

Nel Lazio, Storace («Ora credici!») è quello che, visivamente parlando, è riuscito a dare il peggio di sé: tetro e vendicativo sui poster, guarda di traverso con fare obliquo e quasi minaccioso (se non mi voti sono affari tuoi…). Poi c’è chi abbraccia, saluta, sta in mezzo a persone normali (Zingaretti), ma ci sono anche le facce-zombie, i volti-reclàme, il mezzo busto femminile in atteggiamento sfilata-di-moda e in posa, oppure versione professionale, gli occhiali in mano (i maschi) e occhiali in mano e sciarpa al collo buttata all’indietro sulla spalla (le donne). Poi c’è pure la Meloni rifatta, restaurata e ritoccata (in photoshop), che non sembra nemmeno lei e con un buon giro di collo in meno.
Il Pdl invece va dritto al punto e avverte: «Se vuoi la restituzione dell’Imu devi votare: Berlusconi». L’ex premier, sorridente, un po’ di plastica e anche un po’ di cartapesta, stringe mani. E, tutte insieme, sono mani bucate.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *