Chaouki, la nuova Italia arriva in Parlamento

Rapide nella loro formazione e nel tempo in cui sono state varate. E poi trasversali, equilibrate, rappresentative, pluraliste. E “di genere”, 40% donne e molti, molti giovani. Sono le candidature che compongono le liste del Pd per le prossime elezioni del 24 e 25 febbraio. Ala fine, si può dire, Bersani ha mantenuto un po’ quel che ha promesso.

Certo, poi ci sono gli esclusi, i risentiti, quelli che rivendicano e che recriminano. È sicuramente stata una corsa, anche contro il tempo, nel tentativo di marcare il territorio, un po’ come fanno gli animali, per definirlo e caratterizzarsi rispetto agli altri. E anche un pigia-pigia per entrare, per esserci, per confermarsi o riconfermarsi. Ci sono poi i casi singoli e quelli singolari – casi personali, come si dice – in ogni luogo e in ogni dove. Come quello che Reset ha segnalato domenica a Verona, dove Alessia Rotta, volto di TeleArena, è poi finita in tredicesima posizione nella lista perla Camera dei deputati in Veneto. Ma non poteva essere altrimenti, perché per quanto si voglia e possa, ci sono pur sempre i potentati locali che resistono al rinnovamento, allo svecchiamento, al cambio di stagione.

Però Bersani segna un punto candidando alla Camera nel collegio Campania 2 Khalid Chaouki, nato a Casablanca, giornalista e responsabile Nuovi Italiani del Pd, 29 anni, autore di Salaam Italia. La voce di un giovane musulmano italiano, collaboratore e autore assiduo di questa rivista, sia nella sua versione cartacea che online. Si batte sui temi della immigrazione e della cittadinanza, attivo sui temi delle politiche di convivenza. Al telefono con Reset è felice e anche un po’ emozionato: «Questa mia candidatura – dice – è il frutto e l’espressone di tante battaglie per i diritti di cittadinanza. Ma c’è anche un altro tema che mi sta a cuore – aggiunge – e riguarda il rapporto dell’Italia con il mondo mediterraneo, nel tentativo di riavvicinare le due sponde». Con Chaouki, anche altri tre immigrati in lista: una ragazza congolese in Emilia Romagna, un afrcano in Trentino Alto Adige e romena in Veneto. Del resto il segretario l’aveva detto chiudendo la sua intervista a Lilli Gruber, lunedì sera a Otto e mezzo: «Il figlio di un immigrato nato in Italia deve essere italiano. Sarà la mia prima legge».

E nella composizione delle liste si può dire, anche, che non ci sono stati particolari favoritismi, né eccessive punizioni. Alla fine non è stato candidato Stefano Di Traglia, il portavoce del segretario Bersani, così come è rimasto fuori Roberto Reggi, il braccio destro di Renzi. È un peccato per Stefano Ceccanti, valido costituzionalista, uomo di riforme e di proposte di riforma soprattutto in campo d legge elettorale, ma non solo, esperto di materia federalista, ma a farne le spese – con lui – è stata un po’ tutta l’”area montiana”, ormai diventata invisa dopo che il premier è stato sostenuto – talvolta anche obtorto collo – da dopo l’estate in poi. E anche in questo caso non poteva essere altrimenti. Monti e Bersani sono alternativi uno all’altro e ormai anche scopertamente conflittuali, pur se affini in un’idea di una politica “per bene” rispetto al passato, recente e lontano di questi complessivi vent’anni, dal 1994.

Le liste confermano la “diversità“ del Pd nel metodo e nell’approccio, negli opposti che mette insieme e affianca (Epifani, ex segretario Cgil, e Giampaolo Galli, già direttore di Confindustria), così come nella larga rappresentanza cattolica (Edo Patriarca, ex presidente del Forum del Terzo settore, Emma Fattorini, storica della Chiesa, Ernesto Preziosi, ex numero due dell’Azione Cattolia, e Flavia Piccoli Nardelli, segretario dell’Istituto Sturzo, tra i promotori della convention cattolica di Tod, nonché figlia dell’ex esponente Dc Flaminio Piccoli. Opposti e diversi insieme come ricchezza, nell’accezione bersaniana di un “metodo” che si affida molto alla capacità di una “sintesi” per tenere iniseme il tutto. Partito e Governo.

E che in ogni caso dovrà fare il Segretario. O, pardòn, il Premier….

 

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