L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Tenersi per mano

Ci sono fotografie che entrano a far parte del patrimonio culturale del nostro mondo nutrito di immagini. Alcune sono epiche e bellicose per ricordare eventi che si spera non si debbano più ripetere: il miliziano che cade nella guerra civile spagnola, il bambino nudo e disperato che cammina su una strada vietnamita, il giovane che sulla piazza di Pechino ferma da solo la colonna dei carri armati. Altre ricordano momenti in cui si vede la storia ma nascosta dietro una immagine quasi serena, come quell’indimenticabile sorriso con cui Falcone e Borsellino scherzano fra loro solo poco tempo prima della loro tragica fine.
Ieri, alla notizia della morte dell’ex cancelliere della Germania Federale, Helmut Kohl, nell’immaginario della cultura europea è riapparsa una fotografia memorabile. Era il 22 settembre 1984, esisteva ancora la DDR, era ancora in piedi il muro di Berlino, avevamo persino ancora la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista, era dunque un altro mondo da quello di oggi, ma la nascita di quello che di positivo hanno portato gli anni successivi passava anche dall’evento testimoniato da quella foto.
François Mitterrand, presidente francese, ed Helmut Kohl, cancelliere tedesco, si incontrano a Verdun, dove, con una solenne cerimonia, commemorano i morti delle guerre che nel passato li hanno visti tante volte combattersi. Verdun nella storia europea è simbolo di una carneficina dalle dimensioni enormi; dal febbraio al giugno 1916 cadono mezzo milione, o forse settecentocinquanta mila uomini, di cui ne furono riconosciuti solo centosettanta mila.
In una cerimonia assai elaborata nella ricerca di una significativa semplicità, i due capi di stato rendono omaggio dapprima a un cimitero di guerra tedesco, poi a un cimitero di guerra francese e infine all’ossario in cui furono collocati i caduti non identificabili.
La fotografia famosa li presenta affiancati, di fronte a un feretro coperto di bandiere, che si tengono per mano, rappresentativi di se stessi persino nel banale immaginario diffuso che riconosce lo stile francese nel raffinato e minuto Mitterand e il tedesco, che sempre un poco intimorisce, nel gigantesco Kohl.
Nella loro dichiarazione comune si legge: La Germania Federale e la Francia hanno tratto il loro insegnamento dalla storia. Ci siamo riconciliati. Ci siamo accordati. Siamo diventati amici. L’Europa è la nostra patria culturale, e noi siamo eredi di una grande tradizione europea. L’unità dell’Europa è il nostro obiettivo comune. Per esso operiamo, in uno spirito di fraternità.
Sappiamo tutti che al sogno dell’Europa sono stati pagati anche prezzi pesanti, che quell’ideale sembra essersi arenato e aver dato origine a spinte contrarie, alla Brexit, alle polemiche di cui è ricca la discussione politica attuale; ma sappiamo anche che sarebbe assai grave tornare indietro, riaprire le ferite che vengono dal terribile secolo scorso.
Quell’immagine dei due capi di stato suggerisce anche qualcosa in più. Si tengono per mano, in un gesto che forse non molti anni prima sarebbe stato improponibile, almeno tra due uomini, e, se oggi si prova pensare ai duri e puri che rimpiangono la sovranità delle nazioni, non si riesce a immaginare che si possano prendere per mano. Sarà poco, ma sarebbe importante difendere almeno la possibilità di quel gesto, di quel gigantesco cancelliere tedesco che non gonfia il petto, ma, come uno scolaretto, prende per mano il raffinato presidente francese.

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