COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Si scrive Coblenza ma si legge Norimberga. La Norimberga siriana.

A Coblenza è stata emessa una sentenza storica o una sentenza mite? Vediamo subito di cosa si tratta: Eyad al-Gharib, ex agente dei servizi segreti siriani, è stato condannato dal Tribunale tedesco  a quattro anni e mezzo di carcere per complicità in crimini contro l’umanità. Era accusato di far parte di un’unità che nella città di Douma, piccolo centro nel sud del Paese dove proprio dieci anni fa è cominciata la sollevazione popolare siriana, prelevava i dissidenti dopo le manifestazioni contro il regime di Bashar al Assad per portarli nel carcere Al Khatib, o Unità 251, dove poi venivano torturati. A processo sempre a Coblenza anche un sospetto torturatore la cui sentenza deve essere ancora emessa.

La condanna a quattro anni e mezzo di reclusione a molti è parsa mite, o non adeguata per un reato come complicità in crimini contro l’umanità, ma il punto da considerare è che al Gharib è stato giudicato prima dell’alto imputato, il colonnello dei servizi segreti Anwar Raslan, ancora in attesa di verdetto, per via della defezione dal regime e della collaborazione con gli inquirenti. Raslan fu casualmente riconosciuto per strada da una sua vittima,  torturato anni fa prima di fuggire in Germania, che lo denunciò. 

Così il punto decisivo è un altro. Per la prima volta un tribunale europeo riconosce il regime di Bashar al.-Assad colpevole di crimini contro l’umanità, quelli evidentemente perpetrati in Siria da dieci anni a questa parte. Dunque è applicabile quella giurisprudenza che ritiene perseguibile un reato così grave anche se commesso in un altro Paese. Di qui dovrebbe scaturire una possibile estensione ad altri tribunali del meccanismo giudiziario per cui soggetti appartenuti al regime sono perseguibili se individuati e riconosciuti tali. 

Ma il vero punto nuovo di Coblenza è che per la prima volta i carnefici vengono processati, e oggi si può dire condannati, per iniziativa delle vittime, non delle potenze vincitrici contro di loro. Parte infatti da vittime fuggite dal loro paese e impossibilitate a rientrarvi la richiesta di giustizia: davanti alla politica queste vittime non hanno avuto ragione, anzi si potrebbe dire che sin qui hanno avuto torto. Eppure la loro voce ha saputo farsi sentire e la corte ha riconosciuto che i reati di cui accusano il regime di Bashar al Assad sono in effetti crimini contro l’umanità e in quanto tali perseguibili da ogni tribunale. Il punto dunque non è se le condanna è o non è mite, ma trasferire ciò che attesta, che il regime di Assad ha commesso crimini contro l’umanità, da un’aula di giustizia a quella della politica.

Forse è propria questa paura che potrebbe spiegare una voce non verificata e non verificabile, relativa all’eliminazione di uno dei testimoni di Caesar, il semplice impiegato siriano incaricato di fotografare con un numero identificativo accanto migliaia di vittime nei lager siriani: foto frontali, di profilo, dal basso, dall’altro lato. Lui era incaricato di fotografare la morte. Poi è fuggito all’estero portando gli originali, il suo archivio di orrori, il suo inferno popolato da migliaia di vittime civili e innocenti… L’ossessione del regime per documentare tutto ha creato non solo il gigantesco archivio di Caesar, parte del quale è stata esposta al Memorial Museum della Shoà a Washington come al Parlamento europeo e a Roma al Maxxi per la mancata disponibilità di sedi istituzionali. Ma, come scrive in queste ore la televisione statunitense CBS, “Stephen Rapp, che è stato ambasciatore degli Stati Uniti ai tempi della presidenza Obama per i crimini di guerra, dice che se mai si andasse a processo contro il presidente siriano Bashar Assad” le prove sarebbero schiaccianti. L’ex procuratore per i crimini di guerra afferma che un tesoro di prove è stato accumulato contro il presidente siriano, persino più ampio di quello che gli alleati usarono per condannare i gerarchi nazisti a Norimberga. “I nazisti erano famosi per aver documentato le loro atrocità, ma”, afferma Rapp, “nemmeno loro hanno scattato foto di singole vittime con informazioni identificative.” L’ambasciatore Rapp parla di carte e documenti di lavoro che ricostruiscono catene di crimini. La CBS se n’è occupata nel suo programma 60minutes domenica 21 febbraio. Sarebbe il caso che anche alti funzionari dei ministeri degli esteri di tutto il mondo si sintonizzassero e ascoltassero il podcast. Quello siriano è l’ultimo genocidio, ma non lo deve essere solo in attesa del prossimo. 

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