L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Nomina nuda tenemus

È impossibile ricordare Umberto Eco, nel momento tristissimo della sua scomparsa, senza cadere nella retorica celebrativa o nella rassegna dei suoi innumerevoli contributi alla storia della cultura italiana ed europea. Posso solo ricordare le prime cose che mi tornano alla mente, per dire che mi sento personalmente colpito perché so che molto da lui ho imparato o cercato di imparare.
Dall’Elogio di Franti ho cercato di imparare l’ironia e la capacità di collegare ambiti culturali diversi, facendone motivo di riflessione per il nostro oggi e la nostra formazione.
Da L’antiporfirio, pubblicato in Il pensiero debole a cura di Vattimo e Rovatti, e poi ripreso e discusso in numerose altre sedi, ho cercato di imparare la capacità di coniugare ricerca storica e critica teorica, ma anche l’acutezza dello sguardo capace di individuare in una frase del suo Tommaso il segno della debolezza intrinseca di una proposta metafisica che nel De ente raggiunse le vette del pensiero filosofico occidentale.
Il Medioevo di Eco è sempre stato uno dei riferimenti essenziali dei miei studi su quel periodo della nostra storia e mi ha insegnato a prenderlo sempre sul serio, senza mai prendere troppo sul serio le conclusioni cui di volta in volta mi pareva di giungere.
Il nome della rosa mi ha insegnato come si potesse vivere quel Medioevo. non limitandosi a farne un oggetto di studio e di ricerca, e una frase di quel romanzo mi ha spiegato, più di tanti saggi, che cosa spesso accada nella storia e che cosa avevo direttamente vissuto negli anni della giovinezza. Remigio, per riassumere la propria esperienza nel movimento dolciniano, segnato da innumerevoli errori e fondamentalismi di carattere politico e dottrinale, trova un’espressione straordinariamente sintetica che mi aiutò a crescere: … i predicatori ci dicevano: La verità vi farà liberi. Ci sentivamo liberi, pensavamo che fosse la verità ….
In questo momento di commozione profonda, so che continuerò a leggerlo, sicuro che continuerò a imparare.

  1. Capii in quel momento quale fosse il modo di ragionare del mio maestro … Capii che, quando non aveva una risposta, Guglielmo se ne proponeva molte e diversissime tra loro. Rimasi perplesso.
    – Ma allora – ardii commentare – siete ancora lontano dalla soluzione… –
    – Ci sono vicinissimo – disse Guglielmo – ma non so a quale –
    – Quindi non avete una sola risposta alle vostre domande? –
    – Adso, se l’avessi insegnerei teologia a Parigi –
    – A Parigi hanno sempre la risposta vera? –
    – Mai – disse Guglielmo – ma sono molto sicuri dei loro errori –
    – E voi – dissi con infantile impertinenza – non commettete mai errori? –
    – Spesso – rispose – ma invece di concepirne uno solo ne immagino molti, così non divento schiavo di nessuno -.
    Ebbi l’impressione che Guglielmo non fosse affatto interessato alla verità, che altro non è che l’adeguazione tra la cosa e l’intelletto. Egli invece si divertiva a immaginare quanti più possibili fosse possibile.
    (Il nome della rosa, Quarto giorno, Vespri)

  2. In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio e compito del monaco fedele sarebbe ripetere ogni giorno con salmodiante umiltà l’unico immodificabile evento di cui si possa asserire l’incontrovertibile verità. ma videmus nunc per speculum et in aenigmate e la verità, prima che faccia a faccia, si manifesta a tratti (ahi, quanto illeggibili) nell’errore del mondo, così che dobbiamo compitarne i fedeli segnacoli, anche là dove ci appaiono oscuri e quasi intessuti di una volontà del tutto intesa al male.
    (Da Il nome della rosa)

    • Senza dimenticare l’incipit del primo capitolo – Era una bella mattina di fine novembre – che accosta la citazione del Vangelo di Giovanni, usata nel Prologo, a un riferimento a Snoopy.

  3. Sei e resti quello che ha scritto il saggio più intelligente sul suo libro, proprio perché gli piaceva quel tuo essere mandrogno – un po’ goffo fuori e sensibile ed elegante nell’analisi e leggero nella scrittura – che hanno certi che hanno visto Genova dalla bassa.

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