COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Noi, Aldo Moro e quel rispetto chiesto da De Mita

Sta arrivando, abbastanza in sordina, l’anniversario dell’assassinio di Aldo Moro, il 9 maggio 1978. La cronaca politica mi ha consentito di pensarci molto da diversi giorni e stranamente mi torna in mente una frase di Papa Francesco che tutti conoscono ma pochi applicano a se stessi: “chi sono io per giudicare?” Lo penso non certo riferendomi a quella terribile prigionia o alla sua feroce esecuzione. No, la frase del papa mi torna in mente con riferimento a come Moro è entrato in questi giorni nel nostro dibattito politico. Ecco, a molti come me questa frase del papa è piaciuta, ma riferendola a Bergoglio, o alla suprema autorità della Chiesa cattolica, mai a noi stessi. Noi invece rimaniamo sempre depositari della possibilità di esprimere giudizi definitivi? 

Quel “chi sono io per giudicare?” mi ha riguardato in particolare pochi giorni fa quando alcuni simpatizzanti di un partito critico del premier Giuseppe Conte hanno diffuso un tweet nel quale si vede uno spezzone di un’intervista a Ciriaco De Mita trasmessa da un’emittente nazionale. Riferendosi a voci che in questo senso si erano espresse, all’ex segretario della Dc è stato chiesto: lei che ne pensa che  Conte venga paragonato ad Aldo Moro? L’anziano leader democristiano, sguardo serissimo, ha atteso qualche secondo prima di rispondere, quindi ha detto “eh no, Moro merita più rispetto.” 

Prima di arrivare al punto vero della mia sorpresa voglio chiarire che trovo la domanda corretta, era un argomento d’attualità, e giustissima la risposta: a mio avviso infatti De Mita non ha giudicato Giuseppe Conte: giudicare il paragone tra un politico di così breve impegno attivo e un leader come Moro può apparire semplice, ma a mio avviso De Mita ha ritenuto di farci presente altro: a chi è ricorso a Moro ha detto che coinvolgerlo  in una polemica contingente è mancargli di rispetto. Moro non è più il protagonista di una stagione politica, l’artefice della scelta di una coalizione o di un’altra, neanche l’autore  dell’idea delle convergenze parallele, espressione per me di stupefacente bellezza e importanza. No,  dal giorno del suo sequestro Aldo Moro è diventato tanto altro, per tutti noi. E’ diventato il simbolo di una notte che dobbiamo ancora capire, una notte fatta di terroristi, di logge e servizi deviati, di stragi e tradimenti. Moro, al di là del nome e dello specifico di chi oggi lo interpreterebbe, non può essere piegato a ragioni che siano partitiche, discutibili. Il rispetto che dobbiamo tutti ad Aldo Moro non è un giudizio su Tizio o Caio, ma un giudizio su di noi. Voglio dire che c’è, deve esserci qualcosa di non disponibile nella disputa anche accesa, che magari ci coinvolge e ci vede schierati o perplessi. 

Recentemente ho trovato di opportuna nobiltà il film su Bettino Craxi, che nonostante qualche riferimento politico partitico inevitabile ha inteso restituirci quel che ci era stato tolto; il dramma umano del malato Bettino Craxi, dell’uomo… E invece solo a sentire il suo nome molti credono di poter giudicare, quasi ergendosi a giudici inappellabili della storia e della realtà di un uomo, incuranti della sua malattia. 

Così quella risposta di De Mita mi ha chiamato in causa: come hai giudicato quel riferimento? Lo hai trovato giusto, sbagliato, esagerato, o hai sentito Moro tirato in una storia di parti mentre la sua ormai è la storia che contiene tanti nomi precedenti e successivi, dalle vittime del terrorismo e a quelle della mafia, delle stragi e delle deviazioni? Certo, ho le mie idee: so che Moro ha attraversato anni difficilissimi, che ha fatto scelte e come chiunque ha dovuto scegliere potrà aver fatto a mio avviso qui bene e lì male, o entrambi. Ma Moro è diventato molto di più di questo: e questo di più o ci unisce, pur nelle nostre necessarie diversità, o vuol dire che noi non lo rispettiamo e quindi non ci rispettiamo. Ad esempio: io al tempo ero un trattativista, se ci ripenso ancora lo sono, e mi chiedo perché quel confronto ancora oggi sia difficile da farsi, al di là delle discussioni, pur importantissime, sui falsi comunicati delle Br e tanto altro: quella delle deviazioni è una storia, ma quella tra chi voleva e chi respingeva la trattativa è una discussione non sull’oggetto della trattativa, quello è un altro discorso ancora, ma sull’idea di Stato. E non c’entra tanto la discussione su cosa sia lo Stato nella discussione su come e perché sia stato ucciso Moro?  

E così arriviamo al motivo per cui quel tweet mi ha sorpreso. Innanzitutto, come ho detto, veniva da persone attive in politica, a così sembrava, quasi un modo per vantare un valido appoggio nella propria polemica con Conte più che il dovuto riconoscimento a Moro.  Ma a farmi scattare è stato il fatto che, nel momento in cui De Mita ha concluso la sua brevissima risposta, nello studio si è sentito ridere. Neanche ipotizzo che si sia riso di Moro, sono abbastanza adulto da aver capito almeno questo: si è riso perché De Mita non è stato capito e si è pensato che volesse dire che Conte non ha la statura di Moro. Ma questa banalità la poteva dire chiunque  e chiunque avrebbe usato il termine “statura”. De Mita ha usato il temine “rispetto”, per coinvolgerci tutti. O tutti, sostenitori e avversari di Conte, lo comprendiamo, a giochiamo una partita piccola, non degna di Moro. A mio avviso dunque non capire De Mita ha significato un’occasione persa, preferire l’espressione del nostro giudizio su Giuseppe Conte, fatto onestamente poco rilevante, che assimilare l’idea di cosa significhi rispettare Moro, per di più a ridosso del giorno in cui fu “eseguita la sentenza”. Rispettare Moro non vuol dire poco, vuol dire rispettare noi stessi, questa comunità. Poi, fatto questo, potrò tornare a occuparmi di quel che a me interessa di più: le convergenze parallele.  

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *