A BASSA VOCE

Giuliano Amato

Napolitano, il ponte e l’osso che non c’è

Te lo dice qualunque dentista che se serve un ponte per tenere insieme i tuoi denti, ci vuole l’osso sotto la gengiva altrimenti il ponte non ha nulla su cui poggiare. E se l’osso non è abbastanza, occorre vedere se lo si può far crescere prima di fare il ponte.

Ebbene, il Presidente Napolitano si è trovato esattamente nella condizione del dentista alle prese con un ponte da fare su un osso che al momento non c’è. Ha giustamente evitato di cimentarsi subito col ponte ed ha avviato invece la verifica della possibile crescita dell’osso.

E’ questa infatti la situazione in cui ci troviamo. Dalle elezioni è uscito un Parlamento nel quale si fronteggiano tre gruppi maggiori, la convergenza di due di loro è essenziale per formare una maggioranza, ma sinora questa è stata negata: dal Movimento a Cinque Stelle per un qualsiasi governo non presieduto da un proprio esponente, dal Partito Democratico per un governo politico col Popolo delle Libertà, dal Popolo delle Libertà per un ulteriore governo tecnico.

E’ in ragione di ciò che il Presidente “pre-incaricato” Bersani ha dovuto constatare l’impossibilità di avere con sé una maggioranza certa. Ed è per la stessa ragione che il Capo dello Stato si è trovato subito dopo nella condizione di non poter conferire altri incarichi. Ne doveva desumere che l’unica cosa da fare era rinunciare e rendere inevitabile (da parte del suo successore) lo scioglimento di un Parlamento appena eletto, seguito per ciò stesso da un immediato ritorno alle urne?

Per il Capo dello Stato questa è sempre un’opzione aperta, ma sempre come extrema ratio, sempre quando non ve ne sono altre e sempre con il massimo conforto possibile delle forze politiche presenti in Parlamento. E tutto questo non può non essere particolarmente vero quando si tratta di un Parlamento appena eletto.

In questa occasione, sotto l’incrocio paralizzante delle disponibilità e delle indisponibilità, il Presidente Napolitano ha potuto constatare, come tutti noi, l’esistenza di punti programmatici almeno in parte condivisi. E si è fatto conseguentemente una domanda, che sarebbe francamente irresponsabile lasciare senza risposta prima di imboccare la strada dello scioglimento: ma se si lavora un momento su quei punti e viene fuori che c’è accordo sul loro svolgimento, potranno le forze politiche mantenere i loro no pregiudiziali, non si sentiranno spinte a rendere possibile la formazione di un governo, comunque sostenuto, che quell’accordo lo realizzi?

Certo, la procedura adottata per farlo- la nomina di due commissioni di “saggi”- è una novità per noi. Ma intanto ha un precedente in Olanda, dove ha funzionato rendendo possibile un governo sostenuto da partiti, che subito dopo le elezioni si guardavano come fanno da noi il PD e il PDL. E poi ciò che può uscirne non è nulla di più di un accertamento, le cui conseguenze non potrebbero mai essere tratte dal Capo dello Stato, ignorando le valutazioni delle forze politiche presenti in Parlamento. L’osso su cui dovrebbe poggiare il ponte- per tornare all’analogia del dentista- ce lo mettono loro. E nessun dentista potrebbe far finta che ci sia, quando né c’era, né si è formato.

Non è normale che un Capo dello Stato si spinga sino a questo punto nei suoi accertamenti e negli stimoli a cui assoggetta le forze politiche? No, non lo è, ma è principio consolidato della stessa forma di governo parlamentare che in essa il Capo dello Stato funga da motore di riserva, costretto a entrare in funzione quando il motore principale non riesce ad avviarsi o si ferma, allo scopo non di sostituirlo ma di farlo ripartire e, se non riparte, rimettere la parola agli elettori. Ciò che non è normale, allora, non è che entri in funzione il motore di riserva, ma che non funzioni quello principale. E se ciò accade, meno male che quello di riserva c’è.

Tocca allora agli elettori, e alle forze politiche, evitare l’anomalia, creando maggioranze capaci di formarsi e di funzionare da sole. A quel punto anche il Capo dello Stato, per la soddisfazione sua e di tutti, può esercitare le sue stesse funzioni nella normalità di un operante sistema parlamentare.

Il post originale sul blog di Giuliano Amato.

  1. La “realtà effettuale delle cose”, ovvero non si ripete la “controrivoluzione preventiva”. Stiamo evocando i 500 anni del geniale trattatello “De Principatibus” (1513-2013). Orbene che cosa insegna il Segretario fiorentino, ovviamente non a cuor leggero ma con profondo travaglio dialettico ? Considerare la “realtà effettuale delle cose”. Tra l’altro, per vie diverse, ne derivano la “autonomia” della politica dalla morale ( Croce, Antoni ) e le “Note su Machiavelli” ( Gramsci). Guai a chi sbaglia nella “analisi delle istorie” ! Nella presente crisi etico-politica italiana, virtuali preincarichi di ‘premier’ si sono effettuati coinvolgendo ogni interlocutore possibile, alla ricerca di piattaforme valide per una improbabile intesa. Ebbene, che cosa hanno sottolineato le organizzazioni sindacali e gli imprenditori, i giovani e i gruppi ? Defiscalizzazione per imprese medie; abolizione dell’IMU sulla prima casa fino a 1000 euro ( leader della CGIL in persona ); lavoro ai giovani e provvedimenti collegati. Dunque, che il “paese sia nei guai” è risaputo. E che le ricette più plausibili sian note, è acclarato. Il “paese è nei guai” ( Direzione di uno dei partiti di “maggioranza relativa” o di “parallela minoranza”, avrebbe detto decenni fa Claudio Martelli ) ricorda i versi della “Ginestra” di Giacomo Leopardi, onde – di fronte alla natura avversa – bisogna “confederarsi” ( “titanismo eroico”, non fuor di luogo per chi crede nella nostra tradizione umanistica e teoretica ). Ma questa evenienza è stata intercettata ! I “Don Ferrante del cambiamento” non ne vogliono sentir parlare: sì che sorgerebbe il dubbio che non a risolvere i complessi “guai” italici si stia mirando, bensì solo a escogitare azioni strategiche per la “egemonia”. In tal caso, ove reale, si tornerebbe a “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”: le accuse di “socialtraditori” ai socialdemocratici tedeschi ed europei; l’ “Omaggio alla Catalogna” di Orwell; la demonizzazione del rivale; forse e senza forse, la prima “Tangentopoli” ( v. il recente volume sulla storia del socialismo italiano con commento ). In realtà, però, la “storia non si ripete”. Oggi, i gravi scandali MPS o “Re Nero” di San Marino e tant’altro, fanno sì che la mossa da “controrivoluzione preventiva” difficilmente possa sortire nuovamente ad effetto. Il Partito organicistico è isolato, e sa di esserlo: donde l’ arroccamento. Onde uscire dallo “stallo”. o “ostaggio”, o “pantano” ( Pierluigi Battista e altri notisti così si esprimono ), non si può far altro che ritrovare una corraggiosa “concordia”. No di certo l’immagine metaforicamento infausta dell’ affondamento della “Concordia”, che tanto ancora pesa nell’immaginario collettivo ! Realisticamente, allora, il Capo dello Stato Napolitano ha inteso evidenziare alcuni aspetti: non siamo il paese dell’ 8 settembre, i “nipotini dell’ 8 settembre” ( diceva il fine critico fiorentino Geno Pampaloni ); siamo eredi del Sorgimento o Risorgimento, ove regge l'”accordo tra mente e animo” (Croce); le istituzioni non sono allo sbando, ancorché falcidiate, ma fanno “ponte” ( Rami del Parlamento, governo in carica per gli affari correnti mai sfiduciato, anche se certo non nella pienezza di poteri; commissione Giorgetti: pochi se ne saran ricordati ); in generale, esigenza di ritrovare un ” accordo” per la amministrazione e la elezione del nuovo Capo dello Stato. Sono strumenti “pallidi”, “deboli”, “residuali” ? Ma la libertà non viene soffocata, giovandosi anzi di “nuovi modi regolativi” ( cfr. il mio “Ci vuole un new deal per il liberalismo” in “Libertates.com” del febbraio 2013 ). Con queste chiose, ritengo di integrare le osservazioni di Giuliano Amato a proposito dell’ “osso che non c’è” ( “Reset” del 31 marzo ), auspicando il declino di certa “paranoia” illiberale che sembra talvolta furoreggiare nella polemica contingente o dei ‘media’. Giuseppe Brescia

  2. Giusto l’appellativo “dottor Sottile”. Presentazione formalmente impeccabile di uno strano oggetto presidenziale. La cui utilità resta tutta da dimostrare. In termini più concreti: se i segretari di PD e PDL non riescono a parlare dei presunti punti di convergenza (ma anche quelli di divergenza) perchè mai dovrebbero riuscire persone ‘terze’ che comunque dovrebbero poi ri-confrontarsi coi diretti interessati? Per un problema di incomunicabilità/antipatìa personale tra Bersani e Alfano? Mi sembra una spiegazione poco convincente. Inoltre, tra i preparatori dell’osso mi sembra che manchi un ‘rappresentante’ di una delle parti in causa: i 5Stelle. Di qui l’impressione, credo giustificata, che in realtà Napolitano cerchi di lasciare al suo successore un pacchetto semi-pre-confezionato per il suo Governissimo nella coscienza, comunque, che sarà il nuovo Presidente a dover sbrogliare la matassa (elezioni o Governo del Presidente). In tutto questo mi sembra che manchi una considerazione essenziale, e cioè la risposta al ‘perchè’ c’è incomunicabilità tra le parti. Dove il vero referente è all’esterno dei meccanismi istituzionali. E risiede nello stato d’animo degli elettori con particolare riguardo al progredire di quella componente che, in modo generico, viene definito come ‘qualunquista’. E che, in caso di nuove elezioni, diventa il fattore determinante (asetnuti + un’eventuale quota di elettroi 5Stelle ormai delusi). Credo che le tre componenti siano caratterizzate da tre modalità diverse di confronto con questo segmento. Il PDL vuole giocare sui suoi temi di sempre (i magistrati, i comunisti, le tasse). 5Stelle sulla “alterità” (noi stufi e compatti, loro tutti corrotti/inciuciati). Il PD su una razionalità “povera” (aggiustiamo gli errori e miglioriamo l’esistente) ma senza un programma veramente articolato, convincente e quindi traducibile in un messaggio credibile di “crediamo nel futuro”. Di qui l’impossibilità per 5Stelle di lavorare con “loro” (se PD o PDL non fa differenza e soprattutto devono apparire come la stessa cosa, cioè: “loro”). Per il PD il rifiuto duna convivenza di chi ha coltivato la maggior parte degli “errori” che ci hanno portato alla situazione attuale. Il PDL mi sembra nella posizione più comoda: non ha bisogno di fare vedere le carte (tasse che comunque vanno pagate, magistratura, televisione) e può sempre dimostrare che radicaldemagoghi (5Stelle) e “comunisti” non portano da nessuna parte. In questo contesto, tra l’altro, credo che né PDL né 5Stelle abbiano alcuna intenzione o interesse a cambiare la legge elettorale. E non so, ma dubito che una parte del PD sia della stessa opinione.

  3. Come si puo’ ora collaborare con chi autore dell’attuale porcellum per anni e anni si è avvalso di una maggioranza spesso comprata per conservare quella legge finché ha fatto comodo. Come credere che ora, miracolosamente convertita alla democrazia, voglia collaborare se non per imporre un salvacondotto per il capo. Corrotti gli uni contrari a legge anticorruzione, incompetenti gli altri ed eterodiretti. Abbiamo a che fare con due movimenti sedicenti politici che hanno un capo dispotico che difende esclusivamente i propri interessi personali.

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