L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Memoria del presente

Quando mio padre mi raccontava della guerra e della prigionia da cui era tornato, sotto sotto mi pareva il racconto di un film; non avevo punti di riferimento, non conoscevo i luoghi, non riuscivo a immaginare le sensazioni. Mi impressionavano di più i racconti di mia madre sui bombardamenti che avevano colpito Genova e sulla vita da sfollati nel Monferrato: conoscevo i luoghi e lei mi dava dei particolari, mi faceva vedere i posti precisi in cui era successo questo o quello.
Mi faceva venire i brividi il racconto delle sirene che avvisavano di aerei in arrivo, della corsa nei rifugi, della curiosità drammatica con cui si tornava fuori a vedere cosa fosse successo, cosa fosse rimasto in piedi e cosa invece fosse stato colpito e non esistesse più.
Poi, nel corso degli anni, questi ricordi sono sbiaditi sia nella memoria dei protagonisti sia in quella di chi, come me, li aveva solo di seconda mano. Vicende di questo genere continuavano a svolgersi, ma in altre parti del mondo, lontane e in gran parte sconosciute. Un primo risveglio arriva nel 1982 quando si assiste a una guerra incomprensibile e dal sapore strano tra Argentina e Regno Unito per il controllo e il possesso delle isole Falkland o Malvinas: capimmo poco e il semplice pronunciare i nomi dei due stati che si scontravano, per isole di cui fino a quel momento ignoravamo l’esistenza, suggeriva qualcosa di antico, ancora una volta quasi di favola. Ci fu poi la guerra e l’intervento nei Balcani; la zona era vicina ma le minacce non erano rivolte verso l’esterno, discutemmo a lungo sul senso e l’utilità di un intervento, morirono degli uomini, ma non era ancora coinvolta la nostra vita quotidiana.
Non sono preparato oggi a pensare che a poche miglia dall’Italia qualcuno potrebbe lanciare un missile, organizzare sbarchi, minacciare in qualche altro modo le nostre coste. Anche le discussioni su pace e guerra, su pacifismo e interventismo hanno inevitabilmente un tono diverso, difficilmente possono rimanere su quel terreno di principio sul quale in gran parte si erano mantenute in occasione delle cosiddette missioni di pace, cui pure abbiamo partecipato frequentemente negli anni successivi alla caduta del Muro. Non sono preparato a guardarmi intorno con gli occhi di mia madre, domandarmi dove ci si potrebbe rifugiare, cosa si dovrebbe fare, come ci si dovrebbe comportare.
Non sono preparato a pensare alla guerra di Libia come a una cosa di oggi, anziché del 1911. Sembra impossibile, ma pare davvero che tutto torni.

  1. Mi spaventano gli ora e sempre come i né ora né mai. Mi spaventano tutti gli assoluti. Speriamo che anche l’Isis sia d’accordo.

  2. Questa guerra non s’ha da fare nè ora nè mai. Con semplicità, bonarietà e realismo il generale Arpino lo ha detto: L’Italia non è in grado di fare assolutamente nulla. Lasciamo che gli islamici risolvano i loro conflitti tra loro. Molto triste ma molto realistico. Gentiloni sta delirando? Alle sue parole possono seguire dei fatti? Non credo proprio.

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