LIVING TOGETHER, DIFFERENTLY

Massimo Rosati

Docente sociologia generale Università di Roma Tor Vergata

L’homo religiosus al tempo del web

L’articolo di Alessandra Vitullo “Religione e web: simpatia per il diavolo?”, pubblicato su Reset il 25 giugno, suggerisce molte riflessioni. Non c’è alcun dubbio che il fenomeno del rapporto tra religioni e web sia un campo, in Italia pionieristicamente esplorato da studiosi come Fabrizio Vecoli ed Enzo Pace e che per fortuna inizia ad attrarre anche l’attenzione di nuove leve, tutto da esplorare e denso di questioni, che l’articolo della Vitullo ha messo chiaramente in evidenza. Se torno sulla questione è per guardare al significato presente e al futuro del fenomeno religioso sul web attraverso una lente forse apparentemente estraniante, quella dell’homo religiosus e della sua antropologia filosofica.

Homo religiosus è figura, naturalmente controversa, delineata in particolare dallo storico delle religioni Mircea Eliade, attraverso l’analisi della religiosità dell’uomo arcaico. La ricerca di Eliade sulle religioni arcaiche, così come quella sulle tecniche di salvezza (yoga, sciamanesimo, alchimia, varie tecniche soteriologiche) trovava la sua origine nel problema della libertà. Libertà pensata come libertà dalla storia, anziché nella storia, da una condizione di alienazione derivante dall’essere l’uomo moderno immerso nella contingenza, bisognoso di un riscatto, di una morte e risurrezione che liberi dalla gettatezza nella storia. L’uomo di Eliade, come anche la narrativa eliadiana rende manifesto, vive nella nostalgia di un tempo senza tempo da cui è esiliato, nella nostalgia di un orizzonte in cui la sofferenza storica poteva essere giustificata avvalendosi di categorie mitiche; sofferenza e precarietà a cui l’uomo moderno non ha invece nulla da opporre, se non forme camuffate e degradate di miti. L’uomo arcaico poteva relegare la storia – con relativa sofferenza e precarietà – nella sfera del profano, e dunque della non-esistenza, laddove il mito rappresentava il paradigma a cui ogni coscienza si riferiva per attribuire senso al tempo e allo spazio, mentre l’uomo moderno relega il mito ad una equivoca esistenza nel profondo dell’inconscio. La morfologia del sacro e la storia religiosa servono dunque a Eliade per ricostruire l’antropologia filosofica di un uomo, quello arcaico, che possedeva una chiave per trascendere l’illibertà dell’uomo moderno. La sterminata analisi eliadiana di ierofanie, teofanie e cratofanie, e delle strutture simboliche primordiali – simbologie uraniche, acquatiche, telluriche, agrarie, temporali etc. – altro non era che una fenomenologia del sacro volta a ricostruire l’antropologia filosofica di un uomo, quello arcaico, che nel rito vedeva la riattualizzazione di un tempo mitico, di un tempo in cui la storia era come sospesa.

Nonostante i molti problemi che il pensiero di Eliade pone, non si può commettere l’errore di farne semplicisticamente una nostalgica elegia di un passato arcaico. Eliade era attento, quanto pochi, alle forme che questa antropologia assumeva nel presente, in quei miti – che chiamava appunto ‘degradati’ e ‘camuffati’ – di cui l’uomo moderno, apparentemente senza religione, non può fare a meno. Divoratore di romanzi polizieschi, attento al significato delle forme avanguardistiche di arte e letteratura, Eliade dava la caccia alle forme di cui l’homo religiosus si ammantava nella modernità, convinto – in questo non diversamente da altri, tra cui prima di lui Émile Durkheim – che nelle religioni e nel sacro ci fosse qualcosa di eterno. Le domande, dunque, che ad un lettore un po’ retro’ come me il fenomeno delle religioni sul web fa sorgere, non sono solo quelle relative alle loro tipologie, alla trasformazione delle principali categorie religiose una volta pensate nel web (spazio, tempo, autorità, rito etc., come l’articolo della Vitullo sottolinea), ma più in generale questioni di prospettiva (che pure l’articolo tocca): quanto c’è di nuovo sotto il sole? Tutto, apparentemente, certo, e il compito del sociologo o dell’antropologo è quello di saper leggere le novità; però, forse, senza farsene abbagliare, fino a perdere di vista, dentro le discontinuità e novità, le eventuali continuità. Se il religionauta altro non fosse che l’ennesima forma camuffata – non dico degradata – dell’homo religiosus? Se questa ‘nuova’ frontiera (almeno da noi) degli studi sui fenomeni religiosi altro non fosse che un nuovo capitolo di una eterna fenomenologia del sacro, un capitolo che Eliade avrebbe forse scritto se ne avesse avuto modo? Se sono domande banali, mi si perdoni la banalità. Torno a leggere Eliade, e Durkheim. Ma l’idea di cercare nel web, lo spazio per definizione senza centro, la simbologia dell’axis mundi è troppo intrigante per non guardare al religionauta anche attraverso l’‘orizzonte arcaico’.

 

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