LA GUERRA DEI TRENT'ANNI

Lo Sguardo

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(Im)Preparati alla politica

Domenica pomeriggio (la scorsa). Nelle case degli italiani come un’epifania, fasciata in un vestito candido, con una coscia accavallata e un quintale di lipgloss, appare Nicole Minetti. Non lascerò spazio alla mia indignazione, ai miei pregiudizi, alle briciole di moralismo e al mio infuocato (pseudo)femminismo. Stimolata dalle sue parole con uno sforzo titanico di epoché, ho riflettuto una settimana intera se sia o meno legittimo affermare che per avere un incarico di governo la preparazione non basta. Il mio disagio maggiore è stato quello di trovarmi spaventosamente d’accordo con le parole dell’igienista/modella/politica. Il paradosso più grande è essere costretti a discutere di questo portato inevitabile del berlusconismo.

Nella pericolosa deriva degli ultimi tempi, si sono alternati ambigui personaggi della società civile (e incivile) prestati alla politica e podestà imparziali (se liberismo significa imparzialità) chiamati a salvare l’Italia. Dall’impasto di telecrazia e populismo al bagno gelido di serietà politica, si fronteggiano due modelli: quello berlusconiano e quello montiano, la soubrette e il professore. È diventato indifferente il curriculum, l’esperienza e il grado di istruzione. La preparazione ormai non conta più, ci sono altri parametri di scelta e altre strategie di consenso. Ma come è pericoloso e deresponsabilizzante affidare ad esperti la gestione della cosa pubblica,  è assurdo lasciarsi governare da incapaci che hanno sorpassato il limite consentito del buongusto e della moralità.

L’elogio dell’impreparazione è la cartina di tornasole della stanchezza della politica italiana, un argomento capzioso nelle mani della destra, ma anche una questione spinosa che smaschera il classismo della sinistra benpensante. Chi l’ha detto che un intellettuale sappia amministrare meglio di un artigiano con poche nozioni, ma tanto senso pratico?Può ancora esistere oggi il politico di professione? Democrazia dovrebbe significare una sfera comune, un insieme di atti e decisioni collettive, non è dominio esclusivo di alcuni, ma un tessuto in cui tutti devono avere il diritto di parola e la possibilità di amministrare.  Non è più ammissibile storicamente comparare la competenza al grado di istruzione, il profilo intellettuale alla garanzia di moralità. Senza contare che fino a quando la capacità o l’incapacità politica sarà un titolo di studio, saremo ancora vittime di un bieco classismo umanista e reazionaria. Nella deriva postmoderna in cui viviamo, la nuova politica per rigenerarsi non ha più bisogno di verità, ma di onestà responsabile che non si misura né con un paio di tette al silicone, né con un dottorato di ricerca. L’unica speranza non è la rottamazione o l’entusiasmo ostentato (da chi pretende di essere giovane a tutti i costi), ma un nuovo modo di pensare che scompagina il vecchiume categorico, sociale e politico in cui giorno per giorno affonda questo paese.

Libera Pisano

  1. Il mio disagio maggiore è stato quello di trovarmi spaventosamente d’accordo con le parole dell’igienista/modella/politica. Il paradosso più grande è essere costretti a discutere di questo portato inevitabile del berlusconismo. Mi ci ritrovo in pieno!

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