L'ASINO DI BURIDANO

Massimo Parodi

Professore di Storia della filosofia medievale all'Università Statale di Milano.

Castamente

Qualche giorno fa, papa Francesco, nella sua visita a Torino, ha parlato ai giovani e ha detto parole inattese, o forse una parola inattesa. Parlando dell’amore – secondo Repubblica – ha detto che l’amore è nelle opere e nel comunicare, ma è molto rispettoso delle persone e non le usa. Fin qui nessun problema; si tratta di una affermazione tradizionalmente cristiana e, in questi termini, quasi kantiana.
È la frase successiva a fare problema, quando spiega l’affermazione precedente in questo modo: L’amore è casto e a voi giovani, in questo mondo edonista, dove nella pubblicità c’è solo il piacere e passarsela bene, io dico siate casti. Perché casto? Non è un termine usuale; perché ha scelto proprio questo termine?
Nelle frasi seguenti si ribadisce che l’amore non usa l’altro per il suo piacere e questo sembra equivalere all’avverbio castamente. Come esempio di amore e rispetto si cita l’amore dei genitori, che al mattino vanno al lavoro stanchi perché non hanno dormito bene per curare il figlio ammalato. Possiamo sperare di non doverci trovare in condizioni simili per dimostrare la nostra capacità di amare? E cosa faranno quei genitori, di notte, quando – come ci auguriamo – il figlio sarà guarito? Dovranno solo dormire per riprendersi dalla stanchezza oppure potranno curarsi dei loro corpi, non usandoli certo, ma cercando comunque di procurarsi piacere reciproco?
È difficile comprendere per quali motivi riemerga continuamente nel discorso religioso la paura o il disprezzo per quel piacere di cui parlerebbe con insistenza la pubblicità dei nostri giorni; perché ci si debba augurare di trovare motivi di sacrificio per poter amare; perché il corpo sia degno di attenzione solo se malato, sfigurato dalla lebbra o consumato dalla fame; perché non si possa ammettere che la bellezza di Ingrid Bergman, di Paul Newman o della persona che amiamo renda il mondo più gradevole. Sarebbe come dire che solo il male o il brutto rimandano a Dio.
Il papa sembra contrapporre l’aggettivo casto proprio al piacere.
Il vocabolario Treccani online riporta, alla voce casto:

a. Che si astiene, con gli atti e con la mente, dai piaceri sessuali, sia in modo assoluto (una fanciulla c.; le c. vergini) sia con l’osservanza di precise norme morali (come per es. la fedeltà coniugale: sposa, moglie c.; la c. Penelope) …

poi aggiunge

b. Per traslato (oggi quasi esclusivam. in senso iron. o scherz.), il c. letto, il c. talamo coniugale o nuziale, il letto matrimoniale (in quanto l’amore tra coniugi è lecito). Con altro senso fig., letter., semplice, di una semplicità sobria e severa: La sala da pranzo degli avi più casta d’un refettorio (Gozzano).

Francesco non parla di verginità o di castità, che potrebbero rappresentare scelte – discutibili certo – determinate e comprensibili, ma qualifica come casto l’amore che raccomanda ai giovani che lo ascoltano. Intende allora l’osservanza di norme morali? Oppure la semplicità sobria e severa?
Più preoccupanti i riferimenti riportati dalla versione web del Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana di Ottorino Parmigiani, secondo cui alle origini ci sarebbe una radice kadh che, in sanscrito, significa lavarsi, purificarsi e rimanda anche al greco kath-aros, cioè puro. Altra possibile origine starebbe nella radice kas che richiama l’idea di tenere in ordine.
Non si vorrebbe credere, ma laggiù in fondo si profila l’invincibile immagine del dualismo gnostico, manicheo e cataro appunto. Tornano in mente le numerose contrapposizioni di origine neoplatonica, poi fatte proprie da una parte del cristianesimo, tra luce e tenebre, anima e corpo, spirito e materia, bene e male. Non ce ne libereremo proprio mai?
Forse un passo avanti lo abbiamo fatto: il papa non colloca l’amore in quanto tale dalla parte della corporeità negativa, non si pronuncia, ma ritiene di dover qualificare l’amore vero come casto/puro e, in questo senso, come contrapposto – sembra – al piacere. Eppure, dal suo punto di vista, dovrebbe essere Dio ad averlo voluto piacevole, o si deve ritenere che abbia usato questo trucco per incitare alla continuazione della specie, come la materialistica natura di Lucrezio? È proprio il dualismo che fa questi brutti scherzi e porta ad esagerare la prospettiva materialistica, come già Agostino aveva capito.
Potrebbe però essere l’astuzia della ragione ad aver suggerito quella espressione. Non si può più, in tempi di edonismo, condannare del tutto il piacere sessuale, ma si può instillare un vago senso di colpa, chiedendo che si mantenga casto. E in questo modo si salvano capra e cavoli – dualismo – per cui la prossima volta che proveremo piacere avremo anche quel brivido, che in tempi di edonismo trionfante rischia di perdersi, che nasce dal senso del peccato. Grazie.

  1. Proprio ieri sera leggevo il paragrafo 98 dell’enciclica:

    Gesù viveva una piena armonia con la creazione, e gli altri ne rimanevano stupiti: Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono? (Mt 8,27). Non appariva come un asceta separato dal mondo o nemico delle cose piacevoli della vita. Riferendosi a sé stesso affermava: È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: Ecco è un mangione e un beone (Mt 11,19). Era distante dalle filosofie che disprezzavano il corpo, la materia e la realtà di questo mondo. Tuttavia, questi dualismi malsani hanno avuto un notevole influsso su alcuni pensatori cristiani nel corso della storia e hanno deformato il Vangelo (Laudato Si’, § 98).

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