COSE DELL'ALTRO MONDO

Riccardo Cristiano

Giornalista e scrittore

Bergoglio chiude l’epoca di Ratisbona e apre quella del “popolo”

“Si assiste con sconcerto al fatto che, mentre da una parte ci si allontana dalla realtà dei popoli, in nome di obiettivi che non guardano in faccia a nessuno, dall’altra, per reazione, insorgono populismi demagogici, che certo non aiutano a consolidare la pace e la stabilità: nessun incitamento violento garantirà la pace, ed ogni azione unilaterale che non avvii processi costruttivi e condivisi è in realtà un regalo ai fautori dei radicalismi e della violenza”.

Devo confessare che quando papa Francesco ha pronunciato queste parole mi sono commosso. La nostra vecchia teoria degli opposti estremismi, che non possono vivere l’uno senza l’altro, l’illuminante teoria baumaniana che odio e paura sono fratelli siamesi e non possono che morire insieme, hanno trovato in queste parole di papa Francesco la più ferma e commovente conferma.

Non c’è nulla di più profondo, semplice e vero in questo nostro mondo di questo. E lui, papa Francesco, lo ha detto così, con coraggio e chiarezza, al Cairo, durante l’incontro con l’imam di al-Azhar. E proprio il suo discorso ad al-Azhar è stato forse il più importante. Perché le cose non erano partite benissimo. Lo sceicco al-Tayyeb ha infatti dato voce a tutto il profondo dolore del mondo islamico nel non sentirsi capito, più che al suo desiderio di capire. Il cristianesimo non è terrorista, ha detto, nonostante quel che alcuni hanno fatto nel suo nome. L’ebraismo non è terrorista, ha detto, nonostante quel che alcuni hanno fatto nel suo nome. E così l’islam non è terrorista, nonostante quel che alcuni hanno fatto, e fanno, nel suo nome.

Il discorso di papa Francesco invece è partito dalla grandezza dell’Egitto, dal suo passato, dal suo contributo insostituibile alla storia dell’umanità. Così facendo il papa non ha interpretato “versetti problematici”, ma ha parlato a un popolo, fatto di musulmani e cristiani. Gli ha chiesto di guardare al proprio passato, di sentirsi fiero di quel che è stato l’Egitto. La ferita, il complesso di inferiorità/superiorità degli arabi è stato lenito. La denuncia del terrorismo che si pretende islamista non è stata una richiesta, ma è emersa dalle sue parole come una condivisione.

Lo stesso si può dire del sottilissimo discorso pronunciato davanti all’uomo forte del Cairo, il “caudillo” al-Sisi. In Egitto governa lui, e Bergoglio gli ha ricordato le sofferenza di tanti genitori (anche quelli di Giulio Regeni?), di tanti ragazzi, (quelli di piazza Tahrir?), di tanti affamati o assetati, riconoscendo però all’Egitto di ospitare milioni di profughi. L’Egitto di ieri e quello di oggi sono tornati a fondersi anche in questo secondo discorso, soprattutto quando Francesco ha detto: “Questo destino e questo compito dell’Egitto costituiscono anche il motivo che ha portato il popolo a sollecitare un Egitto dove non manchino a nessuno il pane, la libertà e la giustizia sociale. Certamente questo obiettivo diventerà una realtà se tutti insieme avranno la volontà di trasformare le parole in azioni, le valide aspirazioni in impegno, le leggi scritte in legge applicate, valorizzando la genialità innata di questo popolo.”

Così Bergoglio ha ridato un volto a un popolo, fatto di musulmani e cristiani, lo ha fatto sentire riconosciuto, importante, amato. E infatti lo ha omaggiato, chiamandolo per nome, e definendolo “presente in questa sala”. Il suo affetto di addolorata vicinanza per i copti così sarà divenuto l’affetto di tanti egiziani che si sono  sentiti riconosciuti da lui molto più che dalle loro autorità.

Costruire la cittadinanza per tutti è la sola salvezza per il Medio Oriente. Papa Francesco ha parlato al popolo egiziano, separandolo dai terroristi, vittime di ideologie ammalate che hanno ucciso figli di tutto il popolo egiziano.Per costruire la “comune cittadinanza” non c’è strada migliore.

La sua citazione poi di uno slogan dei tempi della decolonizzaizone, “Dio è di ciascuno, la patria è di tutti”, è stato il capolavoro “politico”, che ha ridato agli arabi la titolarità della loro società plurale, prodotto autoctono e non “importato”.

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