Follie antisemite e orgoglio di ebrei
(o quasi tali)

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Un’idea. Forse una provocazione. Forse soltanto il modo più intelligente per uscire dall’incubo del passato e affrontare presente e futuro. ll presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha recentemente commentato le pagine internet di Radio Islam. Lui come altri, ebrei e non, si sono scandalizzati, arrabbiati, spaventati. “Le liste di proscrizione rimandano a un periodo non così lontano in cui essere indicati come ebrei significava l’allontanamento dal mondo della scuola e del lavoro”. Per questo, dice Gattegna, “è importante il passo compiuto dalla Procura di Roma, che ha aperto un fascicolo d’inchiesta sui delinquenti che da molti anni impunemente seminano odio e pregiudizio antiebraico su un delirante sito web denominato Radio Islam. Si tratta di schede che contengono informazioni insensate, sconclusionate, inesatte e diffamatorie, ma la loro stessa esistenza sulla rete costituisce una violazione dei diritti fondamentali e un pericolo per l’intera società”.

Andiamo con ordine. Prendiamo in esame le pagine web incriminate. Sono tre le parti da analizzare. La prima riguarda un lungo elenco di giornalisti e altri che si occupano di stampa e televisione in Italia e che sono messi all’indice in quanto ebrei. La seconda parte si riferisce a uomini di potere e dell’economia, anche loro ebrei, nel nostro paese. Il terzo elenco è un miscuglio di ebrei italiani che potrebbero essere sayanim, ossia disponibili ad aiutare Israele e i servizi segreti di quel paese.

Cominciamo da qui. Il termine fu coniato dallo stesso Mossad, l’intelligence esterna israeliana. Non è nuovo. È un dato di fatto (come ho raccontato in Mossad base Italia) che spesso nel nostro paese e nel resto del mondo, ebrei hanno dato una mano a combattere i nemici d’Israele e, ancora prima, ad aiutare altri ebrei sopravvissuti all’Olocausto a raggiungere la Palestina e partecipare alla lotta per la creazione del nuovo stato. È una realtà, questo legame profondo quanto meno psicologico con la vecchia-nuova patria degli ebrei, che ha troppo spesso messo in dubbio la lealtà degli ebrei rispetto ai loro paesi di cittadinanza. E ancora di più quando oltre alla cittadinanza italiana (o di altre nazioni) affiancano quella israeliana.

Di recente, in Italia c’è chi (anche all’interno dell’ebraismo ufficiale) ha guardato con fastidio alla nomina di una nota giornalista, Fiamma Nirenstein ad ambasciatore d’Israele in Italia. Fino a poco tempo lei fa sedeva nel nostro parlamento ricoprendo un ruolo delicato nella commissione Affari esteri. Pensava agli interessi italiani o a quelli d’Israele? O forse riteneva che gli interessi di un paese coincidevano con quelli dell’altro? Un dubbio, però, che ha creato imbarazzo di fronte alla nomina di suo figlio, giovane funzionario dei nostri servizi segreti, a capo dell’ufficio di Tokyo nonostante la legge italiana stabilisca che i parenti di un diplomatico straniero non possano ricoprire ruoli formali al servizio dell’Intelligence italiana. Non sono considerazioni che riguardano soltanto l’Italia. Un diplomatico israeliano non può sposare una donna non israeliana. Un uomo di governo israeliano non può mantenere, ad esempio, la sua cittadinanza americana anche se gli Stati Uniti sono considerati il maggiore alleato d’Israele.

Ma andiamo oltre. E a ciò che ritengo possa essere la risposta giusta, sicuramente non sulla difensiva, alle follie del nuovo antisemitismo che il collega Gad Lerner e altri nella lista pubblicata su internet commentarono già qualche anno fa dopo aver visto il sito neonazista americano Stormfront, fondato nel 1995 da Don Black, ex leader del Ku Klux Klan.

In Italia gli ebrei iscritti alle Comunità sono 35 mila. Rispetto ai circa 60 milioni di italiani rappresentano lo 0,6 per mille della popolazione. Esiste però quella che nelle statistiche si definisce “popolazione ebraica allargata” che sarebbe di almeno 45 mila persone. Questi sono formalmente ebrei (ossia di madre ebraica) e sopratutto laici.

Dal sito dell’Unione delle comunità risulta che nella penisola esistono ufficialmente ventuno Comunità: Ancona, Bologna, Casale Monferrato, Ferrara, Firenze, Genova, Livorno, Mantova, Merano, Milano, Modena, Napoli, Padova, Parma, Pisa, Roma, Torino, Trieste, Venezia, Vercelli, Verona.

“A ciascuna di queste fa capo una circoscrizione territoriale che comprende anche piccole Comunità o semplici nuclei che, per la loro esiguità, non possono costituire una Comunità organizzata a sé stante. Le dimensioni delle Comunità sono molto diverse. Due da sole, Roma (15 mila persone) e Milano (7 mila), raccolgono quasi il 70 per cento di tutti gli ebrei italiani. Accanto ad esse vi sono Comunità di media grandezza, con 1000-500 iscritti, come Torino, Firenze, Livorno, Trieste, Venezia e Genova, e altre piccole che comprendono da qualche centinaio a poche decine di iscritti, come Ancona, Bologna, Napoli, Padova, Verona, Mantova, Ferrara, Modena, Pisa, Parma, Merano, Vercelli, Casale Monferrato. Tutte, grandi o piccole che siano, hanno una vita interna organizzata e regolata dallo Statuto dell’ebraismo italiano. Tutte fanno capo all’Ucei (Unione delle Comunità ebraiche italiane), con sede a Roma, che le rappresenta a livello politico interno e internazionale”.

Per motivi storici direttamente legati all’antisemitismo cattolico, gli ebrei ai quali fu negato il diritto alla proprietà furono costretti a indirizzare i loro sforzi verso il piccolo commercio, il settore bancario (soprattutto nel Medio Evo) e determinati settori intellettuali e scientifici legati alla loro stessa cultura. Ho trovato e sfoltito un elenco (non sempre del tutto preciso) su un altro sito web che va ad integrare, se vogliamo, la lista pubblicata da Radio Islam. Tutti ebrei. Italiani e no.

Karl Marx, Leon Trotsky, Albert Einstein, Sigmund Freud, Baruch Spinosa, Enrico Fermi, Edith Stein, Martin Buber, Rita Levi Montalcini, George Gershwin, Moses Mendelssohn, Leonard Bernstein, Gustav Mahler, Benny Goodman, Marc Chagall, Amedeo Modigliani, Franz Kafka, Marcel Proust, Boris Pasternak, Alberto Moravia (Pincherle), Umberto Saba, Italo Svevo, Elsa Morante, Primo Levi, Woody Allen, Mel Brooks, i fratelli Marx, Steven Spielberg, Stanley Kubrick, Roman Polanski, Oliver Stone, Marilyn Monroe, Paul Newman, Cary Grant, Harrison Ford, Kirk Douglas, Mikael Douglas, Richard Gere, Sarah Bernhardt, Carol Kane, Jon Stewart, Jerry Lewis, Marcel Marceau, Winona Ryder, Peter Sellers, Dustin Hoffman, Marty Feldman, Walter Matthau, Tony Curtis, Peter Falk, Elizabeth Taylor, Olivia Newton John, Alessandro Haber, Anna Magnani, Claudio Amendola, Paolo Hendel, Luca Barbareschi, Raul Cremona, Franca Valeri, Marta Flavi, Bob Dylan, Lou Reed, Barbara Streisand, Arnoldo Foà, Vittorio Foa, Isac Asimov, i fratelli Coen, Leonard Cohen, Bruno Pontecorvo, Scarlett Johansson, Natalie Portman, Arnaldo Momigliano, Daniele Manin, i fratelli Rosselli, Giuseppe Ottolenghi, Claudio Treves, Ugo Lombroso, Benvenuto Aronne Terracini, Gino Luzzatto, Donato Ottolenghi, Mario Fubini, Leone Ginzburg e Natalia Ginzburg, Mayer Rothschild, Golda Meir, Henry Kissinger, Alan Greenspan, Bill Gates, Mark Zuckerberg, Carlo De Benedetti, la Famiglia Olivetti, Bernard Henry Lévi, Stefano Levi Della Torre, Julio Iglesias, Calvin Klein, Levi Straus, Harry Houdini.

Queste personalità del mondo della cultura, della scienza e dello spettacolo, sono note e apprezzate per ciò che hanno significato e ci hanno lasciato. E senza rendersi conto che erano o sono ebrei è probabile che anche molti antisemiti li abbiano apprezzati con gratitudine. E qui, credo, è necessario compiere un ulteriore passo analitico. I nemici “islamici” d’Israele hanno poco a condividere con gli antisemiti, nemici degli ebrei. E viceversa. Ci troviamo di fronte all’estensione della vecchia regola “il nemico del mio nemico è amico mio”.

Negli anni Settanta, a Sebha, nel cuore del deserto libico, fui inviato a una conferenza organizzata dal regime di Gheddafi. C’erano giornalisti venuti da mezzo mondo e rappresentanti dei più noti e meno noti movimenti di liberazione. Persone note e da rispettare e altre quanto meno sospette. “Perché avete invitato quel giornalista texano – chiesi a un mio interlocutore libico – non sapete che è un razzista del Klu Klux Klan?”. Come unica risposta: “Vedi, in prima pagina del suo settimanale c’è un grande attacco a Israele e a difesa dei palestinesi”. Dovetti fargli vedere l’ultima pagina della stessa pubblicazione che teneva in mano per fargli capire che i libici avevano preso quanto meno un abbaglio. Conteneva una lunga requisitoria contro gli arabi e i musulmani da paragonare, più o meno, ai “negri”. Il texano non fu mai più invitato in Libia. Gheddafi aveva un rapporto di odio-amore con Israele reo di aver occupato la terra dei palestinesi ma capace di aver trasformato il deserto (mi diceva) in qualcosa di molto vivibile e di aver creato quel senso di stato che nella sua Libia non esisteva. Nulla aveva contro gli ebrei, mi spiegò sottolineando come proprio due giornalisti ebrei, il famoso Eric Rouleaux di Le Monde e un altro Eric, erano gli unici ad avere libero accesso nella sua Libia e alla sua famosa tenda.

Stormfront.com e Radioislam.it vanno denunciati e stroncati ma il modo migliore per combattere le loro teorie neo-naziste è ignorarli, non apparire spaventati dalle loro farneticazioni e raccontare con orgoglio, e con lunghi elenchi di nomi se necessario, ciò che gli ebrei (molto prima della nascita d’Israele) hanno contribuito al mondo.

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