River to River:
l’India va in scena a Firenze

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Poco “politico” e molto “sociale” quest’anno, come i matrimoni combinati e la questione femminile. Una rassegna con molti inediti, e che spazia tra film targati Bollywood e film indipendenti, ammesso che si possa fare ancora questa distinzione, come afferma Selvaggia Velo, direttrice del Festival. Last but not least, una presenza d’eccezione, la regista indo-canadese Deepa Mehta, già candidata all’Oscar nel 2007 con Water, storia di una vedova-bambina costretta a vivere in penitenza in un ashram nel 1938, ai tempi dell’ascesa di Gandhi. Stavolta, domenica 6 dicembre, è stata lei a presentare in prima nazionale la sua ultima opera, Beeba Boys, gangster movie su due gang indo-canadesi che si sfidano per la conquista del mercato della droga e delle armi a Vancouver. Queste le novità, oltre a molte altre, della Quindicesima edizione del River to River Florence Indian Film Festival, che si è tenuto dal 5 al 10 dicembre scorso al cinema Odeon di Firenze.

Notevole la prima nazionale di Beeba Boys di Deepa Mehta. “È interessante vedere che è stato girato da una donna” ha spiegato Selvaggia Velo a ResetDoc. “Da donna mi sento di dichiarare che le donne possono fare tutto ciò che desiderano, che piace loro fare, senza farsi intimidire da argomenti o cose che per tradizione non sarebbero, diciamo, di loro competenza”, ha invece affermato Deepa Mehta in conferenza stampa. “La storia si basa sui fatti, su incidenti reali di queste bande di gangster in Canada, ed era importante che gli attori provenissero dalle comunità sud-asiatica e indiana residenti in Canada, per dare un tocco di realtà, perché di questo parla il film”, ha concluso sempre Deepa Mehta.

Per quanto riguarda gli altri film, debutto e chiusura all’insegna della commedia. L’ultima, forse la più disimpegnata, Dil Dhadakne Do, di Zoia Aktar, proiettata l’11 dicembre, parla di due coniugi che, per festeggiare i loro trent’anni di matrimonio, invitano amici e parenti ad una crociera sul Mediterraneo e qui ne succedono delle belle. Invece, sempre con il lieto fine ma con un impegno più indirizzato al sociale, un film di Sharat Katariya, Dum Laga Ke Haisha, che racconta di un matrimonio combinato: due ragazzi di un piccolo villaggio nel nord dell’India e di diversa estrazione sociale (lei è un’insegnante, lui proprietario di un negozio di musicassette), vengono fatti sposare ma il giovane non accetta la sposa dipingendola eloquentemente come “un ippopotamo”: la storia, tra incomprensioni reciproche, avrà però un lieto fine, nonostante a un certo punto si parli anche di divorzio.

La vicenda sembra un po’ mainstream con il suo finale pacificante, ma in proposito, a margine a un incontro con Sabrina Ciolfi, docente di Cultura e Cinema Indiano alla Statale di Milano, il regista Sharat Katariya ha evidenziato: “Per quanto riguarda il lieto fine ritengo che il matrimonio sia fondamentalmente una questione di fortuna, perché si può essere innamorati pazzamente, sposarsi, ma poi veder svanita la passione. In questo film non è che volessi sostenere il matrimonio combinato o prescrivere qualcosa” ha poi concluso Katariya, “ma volevo solo mostrare che la felicità può scaturire quando vi è la volontà di accettarsi reciprocamente. Se poi c’è anche un lieto fine meglio, eppure il mio intento era un altro: il mio film è più un commento sulla storia di una coppia che sul matrimonio in quanto tale”.

E sempre a margine dell’incontro, tenutosi domenica 6 dicembre, ResetDoc ha posto alcune domande a Sabrina Ciolfi. Un problema sul tappeto è la situazione dell’India post-liberalizzazione dal punto di vista sociale e dei matrimoni combinati. “Certamente la liberalizzazione economica in India, ha detto la Ciolfi, ha portato maggiori possibilità di istruzione e di impiego anche per le donne. Ciò nonostante, questo non si è tradotto in una maggiore diffusione dei matrimoni per libera scelta rispetto ai matrimoni combinati che, invece, continuano a essere prevalenti. Per quanto riguarda le richieste di dote, invece, si deve rilevare che sono sempre più esose, soprattutto nell’ambito della classe media urbana. Ricordo che la dote è spesso alla base di drammatici casi di violenze domestiche”.

E in proposito Sabrina Ciolfi è stata ancora più specifica: “In generale l’ammontare della dote va ben oltre le disponibilità dei genitori della ragazza. Le richieste della famiglia dello sposo cominciano in genere dopo i primi incontri e possono continuare anche per anni dopo il matrimonio. In alcuni casi, se gli accordi non vengono rispettati, la giovane sposa subisce maltrattamenti e violenze da parte del marito e della sua famiglia che possono arrivare fino all’omicidio, poi camuffato da suicidio o un incidente domestico in cucina, da cui il termine bride-burning, ovverosia “bruciamento della sposa”, con cui eufemisticamente viene definito il fenomeno. Le femministe indiane – ha proseguito la Ciolfi – hanno registrato negli anni Ottanta un aumento vertiginoso di questi casi, omicidi o tentati omicidi che purtroppo, nella grande maggioranza dei casi, restano impuniti. Da allora il fenomeno si è mantenuto costante, 10.000-15.000 casi l’anno secondo le stime ufficiali, molti di più secondo gli ospedali che ricoverano le vittime e le associazioni che offrono loro assistenza. In ogni caso si tratta certamente di numeri che tendono a non emergere se si pensa che la popolazione indiana supera il miliardo e duecento milioni di persone, eppure sono cifre estremamente indicative della gravità e della diffusione delle violenze domestiche subìte dalle donne in India.

Altro nodo importante riguarda gli effetti dell’era Modi in India, il leader di estrema destra hindu che è diventato Primo Ministro nel 2014. Esiste o no un certo malcontento? “Esiste”, ha affermato la Ciolfi. Ma da parte di tutte le categorie sociali o solo degli intellettuali? “Una buona parte degli strati più bassi della società non sembra particolarmente insoddisfatta, anche se i risultati delle ultime elezioni nello Stato del Bihar dicono il contrario – ha proseguito la Ciolfi –il malcontento viene prevalentemente avvertito dagli intellettuali, che ritengono che questo governo possa costituire una minaccia ad alcune libertà, compresa quella di espressione”.

Ma l’era Modi ha avuto effetti anche sulle donne?Alcuni esponenti del BJP (Bharatiya Janata Party), il partito di destra al potere – ha concluso la docente – in merito ai recenti casi di stupro hanno fatto negli ultimi tempi affermazioni fortemente sessiste nei confronti delle donne, regolarmente riportate dai giornali, che hanno provocato preoccupazione e proteste. D’altra parte si deve rilevare che il governo ha lanciato alcune iniziative, programmi e campagne di sensibilizzazione a favore di queste. In particolare mi riferisco alla campagna che prevede la costruzione di servizi igienici nei villaggi – soprattutto a protezione delle donne, che rischiano di essere aggredite quando sono costrette a uscire di casa di notte – e al nuovo programma contro la piaga dell’infanticidio femminile, lanciato personalmente dallo stesso Modi nel gennaio 2015”.

Poco “politico” dunque al festival, molto “sociale”, e questo vale anche per i corti e i documentari presentati. Tra questi ultimi si possono ricordare Liquid Borders, della regista Barnali Ray Shukla sui confini geografici e politici che delimitano l’India e che sono contrapposti anche a quelli umani e Letters from the City yet to Come di Gorav e Rohan Kalyan girato immediatamente dopo lo stupro mortale di una ragazza avvenuto nel 2012 a Nuova Dehli (su questo tema esiste una quantità enorme di girati, avverte Selvaggia Velo). Infine la docu-fiction Bhopal: a Prayer for Rain di Ravi Kumar che riflette sul disastro ambientale di Bhopal avvenuto in India nel 1984 quando una nube tossica uscì dalla fabbrica di pesticidi della Union Carbide uccidendo migliaia di persone.

Infine, una riflessione sull’India da parte di un grande regista e intellettuale italiano: tra gli eventi speciali, infatti, l’8 dicembre è stato proiettato il documentario Appunti per un film sull’India di Pier Paolo Pasolini che nel 1967 è stato girato per le strade di Bombay, Nuova Dehli e degli Stati dell’Uttar Pradesh e del Rajastan. A seguire, l’incontro con l’attore e scrittore Giuseppe Cederna e lo scrittore e documentarista Folco Terzani che hanno incontrato il pubblico sul tema Viaggi e racconti intorno al pianeta India.

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