L’8 marzo in Italia. Le voci segrete della violenza sulle donne

Da Reset-Dialogues on Civilizations

L’ultima volta è stata quarantotto ore fa, in Sicilia: un uomo, dopo aver inutilmente provato a recuperare il rapporto con la ex moglie, ha prima picchiato la donna e poi tentato di ucciderla con un colpo d’arma da fuoco. Pochi giorni prima, questa volta al nord, in provincia di Udine, un altro uomo aveva ha ucciso la compagna con una mazza da baseball. La coppia era soggetta a frequenti liti, causate dalla gelosia. Due immagini dello stesso Paese che fotografano una realtà che ha fatto allarmare anche le Nazioni Unite . In Italia, viene uccisa una donna ogni due giorni: 124 solo nel 2012.

Gli autori di questa carneficina sono, nella maggior parte dei casi, uomini molto vicini alle vittime: mariti, fidanzati, ex partner, a volte anche padri o fratelli. Si chiama femminicidio, una parola che, come spiega Barbara Spinelli, autrice del libro Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale, nasce in Messico come conseguenza del movimento di pensiero femminista in risposta della strage delle donne di Ciudad Juarez (dal 1993, ndr) e che indica gli omicidi basati sul genere, “ovvero la maggior parte degli omicidi di donne e bambine”, commessi non soltanto da partner o ex partner, ma con una sorta di complicità delle istituzioni e della società in genere che agisce in modo da non impedire la violenza contro la donna, “in quanto donna”.

Una definizione che si adatta perfettamente, e tristemente, al quadro socio-culturale italiano in cui la persistere di una cultura patriarcale-maschilista, da Nord a Sud, è ormai una tragica evidenza.“Purtroppo”, dichiarava nel giugno scorso Rashida Manjoo, inviata speciale delle Nazioni Unite in Italia per indagare sull’ondata di abusi sulle donne, “la maggioranza delle manifestazioni di violenza non è denunciata perché le vittime vivono in una contesto culturale maschilista dove la violenza in casa non è sempre percepita come un crimine” e “dove le vittime sono economicamente dipendenti dai responsabili della violenza”. Inoltre, aggiungeva, “persiste la percezione che le risposte fornite dallo Stato non sono appropriate e di protezione”.

In Italia, tanto per ricordare, fino al 1981 era in vigore l’articolo 587 del Codice Penale sul delitto d’onore (Omicidio e lesione personale a causa di onore), con esimenti sulla pena a causa dell’onore violato, e fino al 1996 (soltanto 17 anni fa) lo stupro era sanzionato come reato contro la morale pubblica e il buon costume. Per meglio delineare il contesto in cui avvengono simili delitti, è giusto ricordare che l’Italia è quel Paese, sempre secondo le Nazioni Unite, in cui “gli stereotipi di genere, che predeterminano i ruoli di uomini e donne nella società, sono profondamente radicati” e in cui le donne è affidato “il pesante fardello in termini di cura delle famiglie, con un contributo da parte degli uomini è tra i più bassi nel mondo”.

E ancora, “per quanto riguarda la loro rappresentanza nei mezzi di comunicazione, nel 2006, 53% delle donne apparse in televisione non parlano, mentre il 46% di loro viene associato a temi come il sesso, la moda e la bellezza e solo nel 2% dei casi a temi di impegno sociale e professionale”. I femminicidi (o femmicidi), concludeva la Manjoo, “sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita”.

Le voci segrete

Solo pochi giorni fa, l’associazione Telefono Rosa ha pubblicato il rapporto Le voci segrete 2012 in cui si scatta un’istantanea non molto diversa da quella offerta da Rashida Manjoo.
Quasi milleseicento casi in un solo anno (1562 per la precisione) di cui 1291 riguardanti vittime di nazionalità italiana. Ancora una volta, nelle denunce raccolte (che sono solo una parte di una realtà che resta in molti casi nascosta) a prevalere è il concetto di una “pericolosa normalità”. La violenza si annida nelle mura domestiche e spesso non è riconoscibile dall’esterno.

L’identikit di chi fa uso di violenza è quello di un uomo tra i 35-54 anni (nel 61% dei casi), con un lavoro impiegatizio (il 21%), e con una licenza media superiore (46 volte su 100) o con una laurea (19 volte). Niente alcol o droghe. Un “uomo normale” che si accanisce nei confronti di una donna altrettanto “normale”. Come conferma anche la cronaca, la maggior parte delle volte le violenze avvengono all’interno di relazioni sentimentali. Secondo Telefono Rosa si tratta del 84% dei casi, che arriva al 90% tra le vittime straniere. Il 63% delle volte, gli abusi provengono dal proprio compagno che il 48% è il marito. Da sottolineare che nel 23% dei casi si tratta di “ex” che reagiscono in modo violento alla fine di una relazione. A dispetto del credo comune, invece, è molto più esigua la fetta di violenze che si consumano nella famiglia di origine (il 7%), e ancora inferiori gli abusi commessi da sconosciuti (il 2%). I dati si riferiscono, però, alle sole denunce ricevute.

A conferma del quadro tracciato dalle Nazioni Unite, a farla da padrone è la mancanza di un’emancipazione economica e sociale, oppure il timore di non poter sostenere economicamente i propri figli, nella consapevolezza che non esista un quadro normativo adatto a punire o impedire simili abusi. Un circolo vizioso che si autoalimenta e che delinea l’habitat ideale per il proliferare della ferocia.

In Italia, dal 2006, è attivo il numero nazionale antiviolenze 1522, un numero gratuito Dipartimento per le Pari Opportunità del Consiglio dei Ministri, gestito dal 2012 da Telefono Rosa. Attivo 24 ore su 24, tutti i giorni dell’anno con un’accoglienza in lingua italiana, inglese, francese, spagnolo, russo e arabo, si propone di creare una rete nazionale antiviolenze la cui realizzazione si scontra, però, ancora con questioni strutturali non risolti.

Gli sforzi effettuati finora, ricordava infatti nei mesi scorsi l’inviata speciale Rashida Manjoo “non hanno portato a una diminuzione di femminicidi o sono stati tradotti in un miglioramento della condizione di vita delle donne e delle bambine”.

Per il momento l’Italia ha firmato, a settembre, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ma manca ancora quella forma di garanzia economica per le vittime che attualmente resta una prerogativa appannaggio di associazioni di volontarie alle prese con fondi sempre più esigui. Un elemento su cui riflettere, infine, è che i dati relativi alle vittime di femminicidio, di cui si parla in questi giorni, provengono dal lavoro capillare della Casa delle Donne di Bologna sugli articoli di giornale e non da fonti istituzionali.

Vai a www.resetdoc.org

  1. La violenza sulle donne ha origini anzitutto mistiche che avallano e promuovono delle convenzioni sociali sconvenienti.
    Le donne anzitutto devono essere coscienti di queste implicazioni, per meglio difendersi e per gli uomini comprendere le peculiarità educative che li predispongono
    alla facile iracondità verso le donne. Dopo due decenni spesi nelle pubbliche relazioni e nello studio delle religioni, ho ritenuto necessario approntare un testo
    che evidenzi quanto nel misticismo si denota in discapito delle donne. E’ disponibile a questo link:

    http://www.lulu.com/shop/ulisse-di-bartolomei/la-femmina-in-trappola/paperback/product-20741116.html

Rispondi a Ulisse Di Bartolomei Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *