Intolleranza religiosa in Brasile
Evangelici contro Candomblé

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Rio de Janeiro. Per non subire le punizioni dei preti cattolici incaricati di evangelizzare il Sud America, gli schivi africani deportati in Brasile tennero nascosti i loro culti mimetizzandoli, identificando gli Orixias, loro divinità, con i santi del cattolicesimo. Comincia così una lunga lotta di resistenza che, a distanza di quasi cinque secoli, si rinnova di fronte a nuove forme di intolleranza. Prima sono stati i gesuiti, poi la polizia, oggi i trafficanti delle favelas e gli evangelici: tutti accomunati dalla volontà di estirpare le credenze di matrice africana dal Brasile. Negli ultimi mesi l’offensiva delle chiese pentecostali per la ‘contesa’ di credenti, soprattutto tra le più suggestionabili fasce povere della popolazione, sta conoscendo una virulenza preoccupante.

Il caso

L’ultimo episodio di una lunga serie di violenze è quello capitato poche settimane fa a una ragazzina di 11 anni a Rio de Janeiro. Kayllane rientrava a casa a piedi con altre sette persone dopo aver passato il pomeriggio in un centro di Candomblè. Indossavano ancora l’abbigliamento bianco previsto per le funzioni. Così sono stati identificati da due giovani in attesa dell’autobus. Prima gli insulti: “Via macumbeiros, satana: brucerete all’inferno”. Poi il lancio di pietre. Infine la fuga, dopo che uno dei sassi lanciati aveva colpito in pieno alla testa la piccola Kayllane. Le ferite fisiche scompariranno in qualche settimana, più lenta sarà la guarigione dal trauma psicologico subito. Intervistata, la ragazzina ha riferito che ora nasconderà i simboli della sua fede: “Ho paura di morire”.

Le reazioni

La nonna della piccola, Kathia Coelho Maria Eduardo, figura di riferimento del ‘terreiro’, ha lanciato una campagna attraverso i social network contro l’intolleranza religiosa: “Credo che indipendentemente dalla religione che si pratichi, la priorità è trattare l’essere umano come fratello”. Ha contribuito così a far levare un coro di condanna in tutto il Paese. La presidentessa della Commissione di Contrasto all’Intolleranza Religiosa di Rio, Ivanir dos Santos, ha sottolineato l’importanza della punizione dei responsabili del fatto “Prendere a sassate una bambina è un fatto inquietante, e purtroppo non è un caso isolato. Viviamo un momento delicato sul tema dell’intolleranza. Le indagini devono arrivare agli aggressori perché l’esempio di questo episodio non sia l’impunità, ma la riaffermazione che la libertà religiosa è tutelata dalla legge”. Anche il Consiglio delle Chiese Cristiane dello Stato di Rio ha diffuso una nota di condanna: “La violenza di questi uomini è ripugnante e non ha nulla a che vedere con un comportamento religioso o cristiano. Le persone che praticano la violenza in nome di Cristo non hanno compreso il Vangelo e non meritano di essere chiamati cristiani”. L’arcivescovo di Rio de Janeiro, Don Orani Tempesta ha riaffermato dal canto suo la posizione della Chiesa Cattolica “contro qualsiasi forma di persecuzione o intolleranza contro fedeli di religioni come Candomblé e Umbanda”. A una settimana dall’aggressione oltre quattrocento persone tra cattolici, evangelici, adepti del Candomblé, dell’Umbanda e di altre religioni, sono stati protagonisti di un atto pubblico proprio nel quartiere Vila da Penha.

Una storia di persecuzioni

La preoccupazione per un fenomeno ormai dilagante è tanta. E si teme che la situazione possa peggiorare, vista l’incapacità di arginare l’intolleranza presente che ha radice antica nella storia di ingiustizia, caratteristica dell’ex colonia portoghese. Il Brasile é oggi un Paese laico, ma non è stato sempre così. Retaggio coloniale e cultura schiavista sono ancora vivissimi, e il razzismo permea la società molto più di quanto l’immagine stereotipata all’estero lasci intendere. Ed è sempre la popolazione nera, anche quando si parla di religione, quella che maggiormente paga. Le pratiche religiose di matrice africana sono sempre state perseguite. Negli anni ’40 erano ancora considerate “nemiche del Cattolicesimo” e fino agli anni ’60 la polizia le ha contrastate ‘ex lege’. Durante il periodo coloniale, le leggi punivano con pene corporali le persone che discordassero dalla religione cattolica imposta dagli schiavisti. Un decreto del 1832 obbligava gli schiavi a convertirsi. Un individuo accusato di pratiche contrarie all’epoca era punito con la pena di morte. Proclamata la Repubblica la religione ufficiale fu abolita, ma il reato di ‘ciarlataneria’ legata alle religioni africane è stato mantenuto fino agli anni ’40. Nello stato del Paraiba, una legge del 1966 obbligava sacerdoti e sacerdotesse di queste religioni a sottoporsi a un esame psichiatrico per certificarne la sanità mentale. Fino al 1976, a Bahia una legge obbligava i centri religiosi di origine africana a registrarsi al commissariato di polizia più vicino. Un cambiamento è arrivato solo nel 1988, tardissimo: la costituzione federale sancì finalmente pari trattamento di tutti gli esseri umani a prescindere dal credo religioso. Il testo costituzionale stabilisce che la libertà di credo è inviolabile, assicurando il libero esercizio della religione. I luoghi di culto sono protetti dalla legge. Solo nel 1997 però arriva la legge che considera crimine la discriminazione e il preconcetto contro le religioni.

La situazione attuale: la deriva evangelica

Negli anni ’80 e ’90 un nuovo fronte di intolleranza ha iniziato a fare breccia. Quelle chiese evangeliche pentecostali oggi al centro del dibattito sull’intolleranza religiosa verso quello che identificano come nemico comune: Chiesa Cattolica e religioni afro-brasiliane. Negli ultimi trent’anni il potere evangelico ha conosciuto un’espansione impetuosa. Gli evangelici occupano incarichi politici anche per affermare il loro credo, a livello municipale, statuale e federale. Occupano spazi sociali e culturali, promuovono assistenza sociale nelle periferie e in particolare in favela. La presenza in tv è invadente e l’uso dei mezzi di comunicazione, costante ed efficace.

Nello stato di Rio de Janeiro – che conta appena 1,61% di praticanti delle religioni afro-brasiliane – si registra, secondo una ricerca della Segreteria dei Diritti umani della Presidenza della Repubblica, il maggior numero di episodi di intolleranza. Per l’ex docente della Pontificia Università Cattólica di Rio de Janeiro Denise Fonseca – che ha coordinato lo studio – dietro le aggressioni di oggi, si evidenzia la presenza delle religioni neo-pentecostali. “Il proselitismo evangelico è evidente. C’è un progetto – dice Denise Fonseca – di seduzione delle persone in stato di vulnerabilità emozionale o mentale. ‘Satanizzando’ il mondo, attirano le persone dentro le loro chiese offrendo una liberazione che non è altro che proselitismo interessato”.

Questo alimenta la violenza. Nella ricerca realizzata tra il 2008 e il 2011 sono stati registrati 900 templi religiosi di matrice africana: ben 450 avevano subito almeno un atto di intolleranza. I casi, emerge sempre dalla ricerca dell’Università pontificia, iniziano con aggressioni verbali (“Figlio del demonio, finirai all’inferno”) e continuano con atti vandalici e depredazioni che spesso finiscono in aggressioni fisiche. Tra il 2011 e il 2012 le denunce sono cresciute del 626%, relativamente a episodi quasi tutti in danno dei credi di matrice africana. La Segreteria dei Diritti Umani della Presidenza della Repubblica però sottolinea che la crescita enorme del dato della violenza non rappresenta la reale dimensione del problema, dato che il numero di telefono che riceve le denunce non è specifico per queste segnalazioni e molti casi non vengono conteggiati come tali. Stessa sorte capita alle denunce presentate alla polizia e alle autorità non registrate nella giusta colonna. La Segreteria delle Politiche di Promozione all’Uguaglianza Razziale della Presidenza della Repubblica afferma di non avere dati statistici organizzati che misurino quanto sia cresciuta la violenza e l’intolleranza.
A quelle fisiche vanno poi aggiunte le molte aggressioni commesse via internet. La Centrale Nazionale di Denunce di Crimini Cibernetici ha ricevuto 494 segnalazioni, relative alle sole aggressioni a mezzo Facebook nel 2011. Dal 2006 al 2012 ci sono state 247.554 denunce anonime relative a pagine e profili intolleranti.

Se anche tutti i dati fossero raccolti insieme, non sarebbero comunque rappresentativi in toto. Nella maggior parte dei casi infatti le vittime non possono denunciare quello che subiscono visto il rischio di finire vittime di ritorsioni. In particolare nelle favelas, dove il numero di chiese è cresciuto in maniera esponenziale anche a seguito dell’intervento dei trafficanti di droga ‘padroni’ delle aree. Prima con la conversione dei criminali, favorita dai pastori, poi con le persecuzioni contro Umbanda e Candomblè.

Trafficanti e favelas

Da anni ormai il fenomeno è noto e le favelas dove i trafficanti vietano i culti afro-brasiliani rappresentano la stragrande maggioranza. L’Associazione di Protezione degli Amici e Adepti dei Culti Afro-brasiliani ha registrato i casi di almeno 40 ‘Pais e Mães de Santo’, ‘sacerdoti’ espulsi dai trafficanti dalle favelas della zona nord di Rio. In comunità come Lins e Serrinha, oltre alla chiusura dei ‘terreiros’ è stato anche proibito di indossare collane africane (guias) e indossare abiti bianchi. In base alle dichiarazioni delle vittime delle espulsioni, la spiegazione è una: la conversione dei capi del traffico di droga alle chiese evangeliche. Molti ‘boss’ ostentano tatuaggi di Gesù Cristo e in molte favelas non è difficile scovare trafficanti imbracciando fucili con su le scritte religiose.

Il caso della favela de Acarì è emblematico. Negli anni ’80 e ’90 i vertici del narcotraffico erano noti per i loro collegamenti a Umbanda e Candomblé. Ora non è più così. Il ‘terreiro di una delle ‘mães de santo‘ più conosciute ha smesso di effettuare cerimonie pubbliche. Solo pochi anni fa era invece frequentato da moltissimi cittadini e dagli stessi trafficanti che si impegnavano e contribuivano finanziariamente. Ora tutti gli aiuti economici sono devoluti in favore delle chiese evangeliche, presenti in numero impressionante. E al Candomblé, dopo 500 anni, non resta altro da fare che tornare a nascondersi.

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Twitter: @luigi_spera
Credits photo: Toluaye/Wikimedia Commons 

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