Curtis Yarvin e l’utopia nera della nuova destra radicale

Questo articolo è frutto di una conversazione tra la redazione di Reset e l’intelligenza artificiale. Una galassia di intellettuali, teorici, imprenditori e agitatori culturali sta riscrivendo il linguaggio della destra americana. Al posto del vecchio conservatorismo, prende forma una visione anti-egualitaria, antiliberale e postdemocratica, che guarda al passato feudale e al futuro digitale per immaginare un nuovo ordine: gerarchico, tecnico, algoritmico. Al centro, l’enigmatica figura di Curtis Yarvin. 

 

Curtis Yarvin, noto fino a pochi anni fa solo a un pubblico di addetti ai lavori sotto lo pseudonimo di Mencius Moldbug, è oggi considerato uno degli ispiratori più sottili e pericolosi della nuova destra radicale americana. La sua teoria del Dark Enlightenment – “Illuminismo oscuro” – è una vera e propria dichiarazione di guerra contro i fondamenti del liberalismo moderno: democrazia rappresentativa, stato di diritto, diritti civili, opinione pubblica, divisione dei poteri.

Nel suo universo ideologico, la democrazia non è il compimento della civiltà, ma la sua degenerazione. Una menzogna utile a mascherare il potere reale, non eletto, non visibile, che secondo Yarvin sarebbe nelle mani di una Cathedral: una super-struttura composta da media, università e burocrazie statali, che diffonde dogmi progressisti e governa l’opinione pubblica con la stessa forza di una religione.

La sua soluzione? Smantellare tutto. Dissolvere le istituzioni democratiche e sostituirle con un sistema di “neocameralismo”, ispirato al funzionamento delle società per azioni: uno Stato-azienda, gestito da un Ceo sovrano, non eletto, inamovibile, dotato di pieni poteri. La cittadinanza, in questa visione, non è un diritto politico ma una posizione contrattuale. I cittadini diventano azionisti, o semplici utenti. Il governo, un servizio da ottimizzare.

Questa idea di “sovranità algoritmica” ha sedotto molte menti nella Silicon Valley, a partire da Peter Thiel, investitore miliardario, fondatore di Palantir e co-fondatore di PayPal, uno degli uomini più influenti dell’ecosistema tech americano. Thiel è tra coloro che hanno espresso dubbi sull’utilità della democrazia (“I no longer believe that freedom and democracy are compatible“) e ha finanziato think tank, start-up e candidati politici vicini al neoreazionarismo.

È proprio in questo contesto che Yarvin si è progressivamente avvicinato all’entourage di Donald Trump, pur senza mai ricoprire incarichi ufficiali. I suoi testi sono circolati nell’orbita di Steve Bannon, ex stratega capo della Casa Bianca, e di vari intellettuali dell’alt-right americana, affascinati dalla sua combinazione di linguaggio tecnico, riferimenti storici aristocratici (da Carlyle a De Maistre) e critica sistemica delle democrazie occidentali.

In particolare, Yarvin è stato una delle fonti teoriche della retorica “post-democratica” emersa attorno alla campagna di Trump del 2016: l’idea è che l’idea è che l’apparato statale profondo, il cosiddetto “deep state”, sia un meccanismo che ostacola la sovranità popolare, promuovendo, al contrario, l’interesse della “Cathedral”, che però è incapace di produrre ordine sociale. Né la Cathedral né la democrazia possono però fondare l’ordine sociale, secondo Yarvin. Solo “l’uomo forte” può farlo.

Un’idea che ha trovato eco nei tentativi trumpiani di delegittimare le elezioni, i media e la magistratura.

Il suo stesso linguaggio, denso di metafore informatiche e riferimenti alla programmazione, lo rende particolarmente attrattivo per ambienti high-tech e crypto-libertari: per Yarvin, la società è un sistema operativo obsoleto, da disinstallare e ricodificare in modo più efficiente. Un lessico che parla la lingua della Silicon Valley, ma che veicola idee autoritarie e ultrareazionarie.

Dietro l’ironia, l’intellettualismo e le provocazioni, il pensiero di Yarvin è animato da un’ostilità profonda verso l’uguaglianza politica e la partecipazione popolare. La sua idea di ordine si basa sulla gerarchia, sull’efficienza, sull’autorità incontestata. È una restaurazione aristocratica in chiave digitale, in cui l’élite tecnocratica sostituisce la sovranità popolare.

Yarvis vuole sovvertire l’ordine costituito per rifondare presunte gerarchie naturali fra gli esseri umani, riadattando temi centrali del conservatorismo in questa visione eversiva. Lo fa con gli strumenti del XXI secolo: blog, podcast, newsletter, interviste, meme. Il suo obiettivo non è solo teorico: è culturale e politico. Influenzare chi ha il potere (o lo potrebbe avere) per reindirizzare il futuro.

Negli ultimi anni, la sua influenza si è fatta sentire anche oltre i confini della destra americana. Alcuni candidati del Partito Repubblicano, come J.D. Vance, hanno ricevuto il sostegno di Thiel e mostrato simpatia per le tesi post-liberali di destra. La galassia dei miliardi delle big tech, spesso delusa dalla lentezza delle procedure democratiche, guarda con crescente interesse a modelli di capitalismo autoritari “efficienti” come quello di Singapore – uno dei riferimenti espliciti di Yarvin.

Ciò che rende il suo pensiero particolarmente pericoloso è proprio la sua capacità di penetrare nel mainstream, mascherandosi da proposta “tecnica”, da semplice aggiornamento del sistema. Ma sotto la superficie manageriale, si nasconde un progetto apertamente illiberale: abolire le elezioni, concentrare il potere, neutralizzare il dissenso.

Il Dark Enlightenment di Yarvin è una versione hi-tech dell’Assolutismo: un ordine imposto dall’alto, giustificato non da Dio ma dall’algoritmo. E oggi, in un’epoca di crisi della rappresentanza, disinformazione e sfiducia generalizzata, questa distopia lucida e ordinata ha trovato più ascoltatori di quanto ci si potrebbe aspettare.

Curtis Yarvin non è soltanto un pensatore di nicchia. È un sintomo di una mutazione più profonda: l’erosione dell’immaginario democratico, sostituito dalla fascinazione per l’efficienza, il controllo e l’autorità. E ogni volta che un magnate tecnologico parla di “reset del sistema”, è impossibile non sentire, in filigrana, l’eco della sua voce.

 

Yarvin e Nick Land: due volti dell’Illuminismo Oscuro

Il termine Dark Enlightenment non è nato con Curtis Yarvin. A coniarlo fu Nick Land, filosofo britannico e teorico dell’accelerazionismo, in un saggio del 2012 che ha avuto una vasta circolazione negli ambienti neoreazionari. Land, figura chiave della CCRU (Cybernetic Culture Research Unit) all’Università di Warwick negli anni ’90, ha abbandonato la carriera accademica per diventare un teorico della dissoluzione: della democrazia, dell’umanesimo, della moralità occidentale stessa. Dove Yarvin è pragmatico, Land è apocalittico; dove il primo immagina uno Stato-azienda governato come una start-up, il secondo sogna il collasso definitivo della civiltà liberale sotto il peso della sua stessa velocità.

Eppure, i due si incontrano. Entrambi vedono nell’Illuminismo non un’apertura alla razionalità e ai diritti, ma l’inizio di un’illusione distruttiva: l’idea che l’essere umano medio sia capace di autogovernarsi. Entrambi rifiutano l’universalismo, l’uguaglianza, il progresso come miti tossici. Entrambi celebrano l’élite: tecnocratica per Yarvin, cibernetica per Land.

Ma ci sono anche differenze profonde. Yarvin è un ingegnere prestato alla filosofia, un hacker istituzionale che vuole riscrivere il codice dello Stato. Land è un pensatore post-umano, attratto da intelligenze artificiali, dinamiche entropiche e mercati deregolamentati come forze che spazzano via ogni ordine. Per Yarvin il rimedio è la monarchia digitale; per Land, la catastrofe liberatoria. Uno vuole sostituire la democrazia con l’autorità, l’altro la vuole semplicemente accelerare fino all’autodistruzione.

Il paradosso è che entrambi finiscono per convergere su una stessa visione del futuro: un mondo senza partecipazione, senza sovranità popolare, senza moralità condivisa. Un mondo in cui il potere non risponde più al consenso, ma alla velocità, all’efficienza, al controllo. È il cuore oscuro del Dark Enlightenment: non una semplice reazione al liberalismo, ma la sua radicale e glaciale negazione.

Nel confronto tra Yarvin e Land si delinea così una nuova grammatica del potere postdemocratico: tecnocratica, autoritaria, post-umana. Non è un semplice ritorno al passato, ma un salto nel buio – pensato, giustificato, teorizzato. E proprio per questo, tanto più pericoloso.

 

 

Immagine di copertina: un ritratto di Curtis Yarvin scattato da David Merfield (Wikimedia Commons).

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