Brasile, il gigante rallenta il passo. E continua a reprimere

Da Reset-Dialogues on Civilizations

Rio de Janeiro. Quando l’attenzione internazionale si è rivolta altrove, spostando gli obiettivi dalle grandi contestazioni in Brasile subito dopo la Confederation Cup, il Paese ha continuato inesorabilmente a bruciare. I seppur parziali successi ottenuti dopo le manifestazioni di giugno, e la conseguente accresciuta fiducia nella pratica democratica della piazza, hanno spinto infatti i brasiliani a continuare nella lotta. In decine di occasioni nei mesi successivi, il popolo ha occupato le strade per urlare il proprio disagio. Vecchie e nuove necessità cui la classe dirigente non pare in grado di dare risposte. Soprattutto in favore del ceto medio, un settore della società per decenni rimasto circoscritto, schiacciato tra una minoranza di super-ricchi ed enormi masse povere, le cui proporzioni sono però oggi molto cambiate grazie a un processo di sviluppo dell’economia e della società, che ne ha caratterizzato una crescita quantitativa e qualitativa negli ultimi dieci anni. Ed è ora principalmente la classe media a esercitare pressioni maggiori nella richiesta di uno Stato migliore, più trasparente, moderno ed efficiente. A pretendere uno sforzo maggiore dunque, non sono più solo i poveri, molto beneficiati nelle politiche di governo del Pt di Lula e Dilma, ma anche quelli che poveri non sono o non sono più. Il mantra resta lo stesso: salute, scuola, stato sciale, trasparenza in politica e migliore gestione della spesa pubblica.

I dati economici

Un lungo periodo di stabilità avviato sin dai primi anni 2000 e una crescita economica forte e costante hanno migliorato la situazione di milioni di cittadini, e i brasiliani per oltre un decennio sono stati tutto sommato felici, soddisfatti e anche disposti a chiudere un occhio sui numerosi scandali di Palazzo. Quando però la crescita economica è calata, e le tante speculazioni hanno mostrato controindicazioni ed effetti negativi del ‘benessere’, soprattutto prezzi e valore degli immobili schizzati alle stelle nelle grandi città, è come svanita l’illusione. Ed è cresciuta l’intolleranza. Gli sprechi per le grandi opere soprattutto nella città di Rio de Janeiro, l’ombra della speculazione selvaggia e della corruzione, hanno portato i cittadini alla rivolta. Migliaia di persone che dimostrano di aver preso coscienza dei limiti strutturali del paese, e di voler lottare per ottenere miglioramenti, anche usando le maniere forti.

Negli ultimi due anni il miracolo brasiliano ha infatti mostrato alcune falle, con un rallentamento economico che preoccupa anche gli organismi internazionali. Appena lo scorso 2 ottobre Moody’s ha rivisto al ribasso da “positiva” a “stabile” la prospettiva dei titoli brasiliani, senza però declassare il rating complessivo valutato in BAA2. La relazione tra investimenti e prodotto interno lordo non sono stati giudicati soddisfacenti, rimanendo più deboli di altri paesi dello stesso ‘peso’ del Brasile. Tra le cause principali, il livello di investimenti nel paese passato dal 20,2% del Pil nel 2010 al 17,6% dello scorso anno. E negli ultimi mesi la crescita di appeal di altri Paesi centro e sudamericani sta mettendo in crisi la leadership brasiliana: su tutti Messico, Cile, Costa Rica e Panama. Non aiuta la previsione di crescita del Pil brasiliano fermo intorno al 2% sia nel 2013 che nel 2014, il più basso tra i ‘Brics’. Meno investimenti e meno crescita si traducono anche in meno infrastrutture: uno dei principali problemi del Brasile, che ne frena la crescita verso la modernità. Un deficit dovuto a ritardi cronici nella pianificazione e nella realizzazione di una rete infrastrutturale attualmente scadente anche per quanto riguarda i trasporti minimi che dovrebbero favorire l’esportazione di materie prime, il settore che ha fatto la fortuna del gigante sudamericano. Ma in ritardo è anche l’industria, che subisce la concorrenza di ‘spietati’ player. Il costruttivo rapporto tra Brasile e Cina, cui va la maggior parte della materie prime sudamericane, i vari accordi di cambio e ‘scambio’ tra i due Paesi, anche per favorire la crescita delle infrastrutture a sud dell’equatore, non ha impedito infatti che i prodotti a basso costo cinesi danneggiassero la produzione delle industrie brasiliane. Intercettando, tra l’altro, proprio quella maggiore propensione al consumo acquisita grazie all’innalzamento delle condizioni di vita di milioni di poveri, grazie agli aiuti di Stato. Ciò, nonostante il Brasile mantenga politiche protezionistiche. A questo si aggiunga il sempre più insistente invito, arrivato anche a livello internazionale, a mettere mano a una seria riforma delle pensioni. Tema però tabù per qualsiasi governo a ridosso delle elezioni, Brasile compreso.

Anche il settore petrolifero, che pure aveva contribuito alla tanto auspicata indipendenza energetica, pare in difficoltà. I numeri della Petrobras non incoraggiano e anche la capacità estrattiva non è ancora al massimo. La scoperta di giacimenti petroliferi “pre-sal” che aveva fatto urlare al miracolo, si è scontrata con le difficoltà tecniche di estrazione. Per questo lunedì 21 ottobre è stata indetta un’asta per affidare la gestione dell’area di “Campo de Libra” a una multinazionale estera. Una scelta che nonostante la strenua difesa del governo e del ministro Edison Lobão, convinto che ciò rappresenti una rivoluzione nel senso della modernità, ha provocato reazioni negative. Sul piede di guerra sindacati e partiti d’opposizione, oltre alla maggioranza della popolazione. Tutti convinti che cedere la risorsa strategica sia un errore e un attacco alla sovranità. L’asta pubblica per la cessione dei diritti di estrazione, si terrà in un albergo di Rio de Janeiro.

La crisi della sicurezza, minaccia per l’immagine del Paese

Considerate le proteste degli ultimi mesi in particolare all’ombra del Cristo Redentore, il governo ha inviato l’esercito a presidiare l’intera area, che è stata blindata e militarizzata già alcuni giorni prima. Una decisione che ha ulteriormente contribuito a buttare benzina sul fuoco della protesta, soprattutto per tutti quelli che sono preoccupati, a giusta ragione, di una pericolosa virata autoritaria nella gestione della sicurezza pubblica. Da giugno a oggi si è avuta una crescita della violenza nelle strade, soprattutto in concomitanza delle manifestazioni. Se infatti in estate le proteste avevano avuto per protagonisti anche persone di età più adulta, esponenti di classe media, negli ultimi mesi si è assistito a un cambiamento. Ai manifestanti pacifici di turno si sono affiancati sempre meno cittadini maturi, e sempre più gruppi violenti, meno consapevoli e più giovani. Sempre pronti alla guerriglia.

Di fronte a questa accresciuta disponibilità allo scontro dei giovani brasiliani, le autorità non fanno altro che opporre strutture di sicurezza non all’altezza del compito. In particolare la Polizia Militare ancora ancorata, sia nella formazione che negli addestramenti, a una logica di difesa di tipo dittatoriale-privatistico. La Pm, cui è devoluto l’ordine pubblico e il pattugliamento delle strade, non ha subito riforme sostanziali, successive al periodo della dittatura. E questo si riverbera su una gestione della forza pubblica nella manifestazioni, con caratteristiche più adatte al contrasto di ‘guerra’ che a un maturo e democratico senso della misura auspicabile per una polizia moderna. Ma c’è di più, per dare maggiore efficacia normativa alla repressione in strada, si è deciso di applicare anche ai giovani manifestanti la legge di sicurezza nazionale, usata normalmente contro il terrorismo e reati politici, e la legge contro la criminalità organizzata, rivolta ai gruppi criminali. Questa iniziativa è stata letta dalle molte Ong impegnate nella difesa dei diritti umani come una forzatura per tenere a freno il dissenso.

Quel che è chiaro è quanto tutte queste vicende offrano un quadro molto complesso e preoccupante sulla questione sicurezza. Un tema ancora cruciale nel Brasile del 2013 chiamato tra mondiali di calcio 2014 e olimpiadi di Rio 2016 a uno sforzo in tema di gestione dell’ordine pubblico molto importante. Volgendo lo sguardo al futuro prossimo, la domanda è se il Brasile sulle ali dell’entusiasmo non abbia fatto il passo più lungo della gamba e se il Paese non si trovi nel corso dei Mondiali a gestire una situazione difficile da governare e che rischia di far saltare il lieto fine di una favola durata oltre dieci anni.

Twitter: @luigi_spera

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