Looking for jobs Act

Il Corriere della Sera: “Tanti disoccupati come nel ’77. Sono al 13 per cento, i giovani al 42. Renzi: sconvolgente”. “Preoccupazione per i dati”. E poi: “Vertice a Londra, Cameron loda la nostra riforma del lavoro”.

 

La Repubblica: “Disoccupati record. Renzi blinda il piano per il lavoro”, “Raggiunta quota 13%, ogni giorno persi mille posti. L’emergenza fa slittare anche le privatizzazioni”.

A centro pagina: “Senato, la minaccia di Berlusconi”, “Il Cavaliere tutela anti-giudici o salta la riforma”.

La foto in prima è per il presidente cinese Xi Jinping e il suo viaggio nell’Occidente: “Cina, il grande mistero dell’imperatore leninista”. E’ un’analisi Di Tymothy Garton Ash.

 

La Stampa: “Disoccupazione record. Renzi: serve flessibilità”, “Sui conti asse Francia-Italia. Hollande: Bruxelles sia più morbida”.

A centro pagina la foto di una ruspa in azione sotto il titolo: “La Maddalena difende le ville abusive”, “Anche il prete in piazza contro la demolizione ordinata dalla Procura. Scontri e feriti”.

 

Il Fatto: “3,3 milioni di disoccupati. E c’è chi si vende su Ebay”.

In taglio basso: “Il caos del nuovo Senato: 12 modi per fare una legge”

 

Il Sole 24 Ore: “Disoccupazione al 13 per cento. Persi mille posti al giorno”. “E’ il tasso più alto mai registrato dall’Istat”. “I giovani senza lavoro salgono al 42,3”. A centro pagina: “Taglio Irap per il 2014, allo studio sconto del 5 per cento”. La riduzione del 10 per cento si farebbe nel 2015, scrive il quotidiano.

 

L’Unità: “Lavoro, cambiamo verso”. A centro pagina il richiamo ad una intervista al vicepresidente del Consiglio Graziano Del Rio: “Il patto con Forza Italia non si riapre”.

In evidenza in alto sulla prima la notizia della morte dello storico Jacques Le Goff, “uomo del Medioevo”.

 

Il Giornale: “Renzi tagli questi”. Il quotidiano milanese scrive della “riforma da fare”: “Lo scandalo dei giudici da 500 mila euro l’anno”. E poi: “Disoccupazione al 13 per cento, ipotesi condono soft”.

 

Disoccupazione, lavoro

Nel mese di febbraio 2014, secondo l’Istat, il tasso di disoccupazione dell’Italia si è attestato al 13%, in aumento di 1,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Si tratta del dato più alto sia dall’inizio delle serie mensili nel gennaio 2004, sia da quello delle serie trimestrali nel primo trimestre 1977. In Germania, tanto per avere un termine di paragone, il tasso di disoccupazione è al 6,7% e mentre lì il numero delle persone senza lavoro è diminuito di 12 mila unità, da noi è aumentato superando la soglia dei 3,3 milioni. Più nel dettaglio sono 3 milioni 307 mila persone in cerca di lavoro, in aumento di 8 mila su gennaio (+0,2%) e di 272 mila su base annua (+9,0%).

Brutte notizie anche per i giovani: il tasso di disoccupazione dei 15-24enni a febbraio è arrivato al 42,3%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali su gennaio, quando aveva toccato il picco ma in aumento di 3,6 punti su base annua.

Il Corriere della Sera, come tutti gli altri quotidiani, dà conto della reazione del Presidente del Consiglio Renzi, ieri a Londra: “È un dato sconvolgente. In un anno si sono persi mille posti di lavoro al giorno. Ci sono dei segnali di ripresa — ha aggiunto — ma non sono sufficienti, l’Italia può ripartire, ma c’è bisogno di correre”. Il ministro del Lavoro Poletti: “Quello sulla disoccupazione è un dato assolutamente allineato alle previsioni”, il 2014 “continuerà ad essere un anno in cui la coda velenosa della crisi si incrocerà con auspicabili fenomeni positivi, grazie ai quali il numero di disoccupati sarà ancora negativo ma minore di quello di oggi”.

Sul Corriere Dario Di Vico, “spulciando tra i dati Istat” sulla disoccupazione, parla dei “100 mila under 24 rimasti senza contratto” perché, analizzando i numeri, i giovani sotto i 24 anni al lavoro nel febbraio di quest’anno sono 107 mila in meno rispetto ad un anno fa. “Viene fuori che si tratta di contratti a termine che sarebbero stati interrotti per la maggior parte nel quarto trimestre del 2013”, ed è una “autentica doccia fredda”, perché “nel trimestre precedente le assunzioni avevano superato le cessazioni” dando la speranza che fosse il segno di una inversione di tendenza. I settori in cui si è maggiormente concentrata la perdita di posti di lavoro sarebbero due: terziario e mezzogiorno. Ma nel terziario (ristorazione, logistica, trasporti) pare esserci stata la frenata più grande. E occorre ripartire dalle ragioni di questa frenata, scrive Di Vico.

 

La Repubblica dà conto della visita del presidente del Consiglio in Gran Bretagna e del suo incontro a Londra con gli imprenditori e i manager della comunità italiana e sintetizza: “Renzi: ‘Il decreto Jobs Act non si tocca, privatizzazioni solo dopo le riforme’”. Il quotidiano, riferendosi all’incontro con il premier britannico, parla di un “patto a due per cambiare la Ue”: malgrado appartengano l’uno allo schieramento progressista e l’altro a quello conservatore, secondo La Repubblica “non c’è differenza di schieramento quando insieme dichiarano guerra all’Ue della conservazione” (“siamo entrambi riformatori e ci impegniamo a cambiarla”, ha detto Cameron). Ma quel che emerge è la frenata sulle privatizzazioni annunciata da Renzi: “sono la soluzione giusta, ma prima dobbiamo fare le riforme. Con un Paese più credibile, anche il valore delle aziende che mettiamo sul mercato avrà un’impennata. Le avvieremo nella fase 2 del nostro governo, dopo l’estate”. E il quotidiano intervista il finanziere Davide Serra che, definito “bandito” da Pierluigi Bersani, secondo il quotidiano “si è preso la sua rivincita”. Il fondatore e a.d. di Algebris ha ieri incontrato Renzi insieme agli altri imprenditori italiani che fanno business nel Regno Unito. Dice, riferendosi al presidente del Consiglio italiano: “Se i capitali esteri entrano in Italia lo dobbiamo a lui”.

Su La Stampa: “Renzi l’ecumenico conquista sia Cameron sia Miliband”, “Il conservatore: ‘Bene sulle riforme’. Il laburista: ‘Mi ha impressionato’”.

Sul Sole 24 Ore, Alberto Orioli ricorda che “il lavoro si crea solo se si punta sull’impresa”, perché “significa qualcosa se abbiamo perso mille posti al giorno e nella sola Londra vanno almeno mille giovani al mese”. “La Gran Bretagna è uscita dal coma: ha tagliato la pubblica amministrazione, ha abbassato le tasse sulle aziende (oltre che sul lavoro); ora, dopo un paio d’anni di cura, vede i risultati positivi. Tra cui anche una formidabile capacità di attrarre imprese. E il fatto che il nostro premier sia a Londra il giorno dopo l’ultima assemblea “italiana” della Fiat (che si sposterà ora tra Amsterdam e Londra) è un capriccio del calendario, ma anche no”. Quanto al Jobs Act, “sicuramente sarà una risposta, ancorché parziale. La riforma migliore e più utile fatta finora dal Governo Renzi è quella sui contratti a termine. Il disegno di legge che introduce i contratti a tutele crescenti può essere un ulteriore passo avanti; così come lo è la norma di semplificazione per l’apprendistato”. Ma, scrive Orioli, “i 10 miliardi annunciati per dare gli ormai famosi 80 euro ai redditi più bassi (che sono diventati 6 e non è ancora chiaro se resteranno una misura una tantum) sono il sigillo tangibile di una scelta che ha guardato agli appuntamenti di breve termine (soprattutto elettorali) rinunciando, per adesso, a pianificare azioni durevoli – come sarebbe un immediato alleggerimento fiscale sulle imprese – per far crescere le nostre aziende e, per questa via, aumentare il lavoro. Nella triste cabala della recessione, però, non è quell’80 la risposta giusta a quel tragico 13. Per far scendere il tasso di disoccupazione sotto il 10% servono 780mila posti. Un modo per recuperarli al più presto è certamente quello di tagliare il cuneo fiscale che oggi spiazza le aziende. È annunciato, quel taglio; non c’è tempo da perdere”.

Sul Corriere si dà conto di alcune dichiarazioni del Ministro dell’Economia Padoan e del governatore della Banca d’Italia Visco, ieri all’Ecofin di Atene. Paodan: “Abbattere la disoccupazione è il problema centrale di politica economica in Italia”, mentre Visco ha “criticato la flessibilità non utile” attuata da alcune imprese per affrontare la crisi, “riducendo il costo del lavoro invece che puntando sulla innovazione”. Padoan, scrive il Corriere, ha anche “rassicurato” i colleghi europei sulla copertura delle misure economiche annunciate dal Governo italiano: “I tagli permanenti delle tasse saranno finanziati da tagli permanenti delle spese”, ha detto, escludendo anche che l’atteso decreto sul rientro dei capitali dalla Svizzera possa diventare “un condono”.

 

Riforme, partiti, Renzi

Intanto – scrive ancora Il Sole 24 Ore – il ministro del Lavoro Poletti ha spiegato in Parlamento che il governo resta “profondamente convinto della bontà del decreto sul lavoro”, e che “nella sostanza pensiamo che debba essere approvato così come lo abbiamo proposto”. Il quotidiano di Confindustria ricorda che ministro e governo devono fare i conti con l’opposizione di una parte del Pd, a favore di una modifica del decreto. Stasera Poletti incontra i deputati Pd della Commissione lavoro della Camera, presieduta dall’ex ministro Damiano, che pure suggerisce modifiche ed aggiustamenti al testo.

Ancora sul Sole, Stefano Folli commenta la missione londinese di Renzi ma ricorda che per lui i problemi sono “in Parlamento”, dove “il premier rischia parecchio”, in parte per i “berlusconiani” che vorrebbero “rinegoziare il patto con il Pd” anche per problemi di visibilità elettorale, e in parte perché esiste un “attrito naturale” con il sistema politico parlamentare “che tende ad autoconservarsi”. “Il difficile viene adesso”, titola il quotidiano.

Aldo Cazzullo sul Corriere intervista Pierferdinando Casini che di Renzi dice: “È un po’ pazzo ma non va frenato”. Sulla riforma del Senato “Renzi sarà anche stato troppo ruvido, brutale. Ma mi rifiuto di pensare che un Senato a elezione indiretta sia un attentato alla democrazia; è un modo per rendere più efficace il processo legislativo. Non sono un resistente, non mi iscrivo all’albo dei conservatori. Non sono un nostalgico del Cnel: sfido a trovare un italiano che sappia cosa fa il Cnel e a cosa può essere utile, oltre che a sistemare sindacalisti a fine carriera. La riforma del titolo V sarà un merito storico di questo governo, come il superamento delle Province. Noi l’avevamo proposto. Se ora si riesce a farlo, meglio”. Su Renzi: “si è presentato con un atto di ostilità verso chi aveva più esperienza di lui: la rottamazione. Noi abbiamo vissuto con insofferenza quel passaggio del passato. Ma oggi dalla forma si passa alla sostanza, alle riforme. La parte intelligente della politica asseconda Renzi, non lo frena. Lo considera un’opportunità, non un problema. Dobbiamo riconoscere che ha più energia di noi; se avrà anche più successo, sarà un bene per il Paese. Un Paese in cui io ho quattro figli: voglio che ci rimangano. Dei vincoli di parte non mi interessa più nulla. Questa è l’ultima chiamata”.

Su Il Giornale (“Occasione d’oro se alle nostre condizioni”) Alessandro Sallusti ricorda che senza i voti di Forza Italia nessuna riforma costituzionale potrà mai vedere la luce, e dunque “Renzi ha bisogno di Forza Italia e non viceversa”. Sallusti dice anche che “molte delle obiezioni” sul testo (proposte oggi sullo stesso quotidiano da Vittorio Feltri sotto il titolo “Sarebbe una beffa, non peggioriamo la situazione”) sono “condivisibili”, ma “non vorrei che dopo averla evocata e cercata in solitudine per venti anni” il “centrodestra perdesse l’occasione di cointestarsi una delle riforme di efficienza cavallo di battaglia del berlusconismo”. “Sarebbe una beffa”.

Su La Repubblica, ancora da segnalare sulla riforma del Senato, l’intervista al senatore della Lega Roberto Calderoli, che dice: “Noi potremmo votare sì”. Mentre sulla pagina di fianco si racconta “la rivolta”: “Quei 45 senatori Pd pronti al ‘salvataggio’ di Palazzo Madama”.

La Stampa parla di un “summit premier-Verdini” dove “il nodo è il Quirinale”. Scrive Ugo Magri che neanche 12 ore dopo l’impegno solenne del Cavaliere, che ha detto di confermare l’impegno con Renzi, i due capigruppo di Forza Italia alla Camera e al Senato (Brunetta e Romani) hanno minacciato di non votare la riforma del Senato. Hanno snocciolato 4 condizioni per un via libera: il nuovo Senato dovrà essere scelto dai cittadini, non dovrà essere invaso dai sindaci, non potrà eleggere il Presidente della Repubblica e il Capo dello Stato non dovrà scegliere 21 dei futuri 148 membri. Quinta richiesta, il rispetto degli accordi originari: la legge elettorale si approva prima della riforma del Senato. Il quotidiano riferisce che nel week end scorso Renzi si era lungamente intrattenuto “con l’ambasciatore berlusconiano numero uno”, ovvero Denis Verdini, con il quale si sarebbe arrivati -secondo alcuni- alla scelta di attendere tempi migliori per il varo definitivo dell’Italicum, sicuramente non prima delle elezioni europee, in modo da aggiustarlo in corsa alla luce dei risultati. Ma i sospetti di Berlusconi vengono letti così dal quotidiano: di fronte a tanta enfasi del presidente del Consiglio sulle riforme, a cominciare dal Senato, non è che Renzi è animato dalla segreta speranza che qualcuno gli faccia lo sgambetto, dentro o fuori il Pd, in modo da andare alle rune in autunno e presentarsi come colui cui è stato impedito il rinnovamento?

La Repubblica: “Il ricatto di Berlusconi, ‘Voglio tutela giudiziaria o faccio saltare tutto’”. Secondo il quotidiano il sogno del Cavaliere è tornarsi a sedere sul divanetto della sede del Pd, come avvenne a gennaio con la firma del patto sulle riforme “che ha ridato, nella vulgata forzista, centralità politica all’ex premier”: a dieci giorni dall’udienza del Tribunale di sorveglianza che dovrà decidere se dare al condannato Berlusconi i domiciliari o i servizi sociali, il leader forzista “torna a cercare il colpo ad effetto” per indurre i magistrati milanesi ad un mite atteggiamento.

Per tornare a Il Giornale si scrive che Berlusconi sa che “sondaggi alla mano, la riforma del Senato è popolare: piace agli italiani”, e dunque anche a lui. “Un fresco sondaggio dell’Istituto Demopolis, dice infatti che quasi otto italiani su dieci (76%) sono favorevoli al superamento del bicameralismo perfetto mentre soltanto il 9 per cento non vuole cancellare il Senato”. Insomma: in Forza Italia tutti “chiedono a gran voce che si porti a casa prima l’Italicum e poi le riforme costituzionali. Questo per evitare che, qualora Renzi dovesse cadere, si andasse disgraziatamente al voto con il ‘Consultellum’: un ibrido proporzionale che farebbe germogliare infiniti partitini in corsa per palazzo Madama. Ed è proprio perché in fondo è scettico sulla durata del governo fino al termine della legislatura che Berlusconi spinge soprattutto sui club. Organismi da cui deve venire fuori gente nuova e fresca. Questa la ratio per cui, proprio ieri, è stato Toti a tagliare la testa al toro e sciogliere l’ultimo nodo candidature”. Toti era intervistato da Gad Lernerd, ed ha parlato di Cosentino e di Scajola: “Su Cosentino: ‘Sono un garantista con i nemici figuriamoci con gli amici e di un uomo che è stato molto vicino al presidente Berlusconi. Aspetteremo la decisione dei magistrati. Ma come per gli altri, è interesse aspettare che le cose si chiariscano per potere tornare’. Quanto a Scajola, ‘è stato probabilmente – ha detto Toti – il miglior coordinatore del partito, è un uomo fedele, è un militante e avrà un ruolo ma la storia della casa del Colosseo, nonostante l’assoluzione e quindi la sua innocenza, ha pesato troppo. Credo sia nel suo interesse aspettare’”.

Sul Corriere della Sera: “Toti silura Scajola e lui si sfoga: mi trattano come un appestato”. A Toti dice di trovare “abnorme che il consigliere politico del Presidente possa esprimere un pensiero come questo”. E poi: “’Altre forze vogliono candidarmi con loro’”. Lui ha ringraziato ma detto di no, “la mia disponibilità a candidarmi c’è ma vale per Forza Italia”.

 

Internazionale

Il politologo Marc Lazar viene intervistato da La Stampa e parla del nuovo premier francese: “Valls è il Renzi francese che può salvare Hollande”, “Il nuovo premier va oltre il riformismo classico di Hollande, si muove sulla linea della sinistra liberale di Blair”. E Lazar compare come commentatore oggi su La Repubblica per spiegare “il laboratorio francese” (“a regnare è ormai l’anti-élitismo”).

Sul Corriere della Sera si parla del rapporto della Commissione Intelligence del Senato Usa, presieduta da Dianne Fenstein: 6300 pagine dedicate alla Cia, che avrebbe “mentito al Congresso” esagerando “il ruolo di alcuni militanti” qaedisti catturati, sostenendo che “alcune informazioni ottenute con pressioni fisiche sono state determinanti per altre indagini”, per aver “nascosto alcune forme di tortura” al Congresso. La Cia ha replicato affermando che il rapporto è “inficiato da errori e conclusioni sbagliate”, ed ha “fatto trapelare il suo dissenso verso l’FBI”, i cui uomini avrebbero indagato su quelli della Cia stessa. Uno degli esempi citati nel rapporto riguarderebbe l’interrogatorio dell’operativo qaedista in Pakistan Abu Zubaida, interrogato una prima volta da un uomo dell’Fbi, Ali Zuflan, che avrebbe ottenuto informazioni importanti con un “normale interrogatorio”. Successivamente Zubaida sarebbe stato sottoposto a 83 interrogatori con waterboarding (tecnica che simula l’annegamento) da parte di esponenti della Cia. Secondo i senatori, che si sono avvalsi dell’aiuto su Zuflan, si trattava di violenze senza alcuna utilità.
Sul Sole 24 Ore: “Nato, alt alla cooperazione con Mosca”. La decisione è stata presa ieri al vertice dei Paesi Nato a Bruxelles.

 

E poi

Ricordano lo storico Jacques Le Goff su La Repubblica Umberto Eco (“Addio Le Goff, il Medioevo di santi e banchieri”) e Agostino Paravicini Bagliani (“Dai santi ai banchieri, il nostro Medioevo narrato da Le Goff”); su La Stampa, Alessandro Barbera (“Le Goff, l’uomo che ci insegnò il Medioevo”); Giuseppe Galasso sul Corriere della Sera (“Spiegò l’anima medievale”).

La Stampa intervista l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta: “La seconda vita di Letta, ‘Prof a Parigi, non esule’”. Insegna a Sciences-Po, dove tiene un corso su Europa e populismi e dice che “Grillo e Le Pen non sono uguali”.

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