Licenziamenti: un milione nel 2012

La Stampa: “Licenziati, nuova emergenza”, “Un milione nel 2012, con un incremento del 14% sull’anno prima. Pagamenti alle imprese, sconto sulle tasse nel 2014”. “Bersani-Berlusconi, sabato comizi nelle piazze, è a rischio il faccia a faccia. Pd, appelli all’unità. Primarie a Roma, votano in 100mila: stravince Marino”.

A centro pagina, foto di Roberto Maroni dal comizio di Pontida: “’Vi restituisco i diamanti di Belsito’”.

Corriere della Sera: “L’atto di accusa delle imprese”, “’Noi chiudiamo, voi discutete del prezzo del caffé alla buvette’”, “I dati sul lavoro: nel 2012 un milione di licenziamenti, il 13,9% in più in 12 mesi”.

A centro pagina: “Bersani non arretra: niente governissimo”.

La Repubblica apre con una lettera del segretario Pd: “Bersani: ‘No al governissimo’”, “’Lascio solo se intralcio’. Primarie a Roma, vince Marino tra le polemiche”.

A centro pagina: “Nel 2012 un milione di licenziati. Camusso: premiare chi crea posti”.

A centro pagina anche la foto di Roberto Maroni dal palco di Pontida: “Lega, spintoni e insulta a Pontida. Maroni mostra i diamanti di Belsito”.

Di spalla, le rivelazioni de L’Espresso-Wikileaks: “I piani segreti degli Usa per arginare il Pci in Italia”.

 

L’Unità: “Un milione di licenziamenti”, “Calano le assunzioni, più penalizzati i giovani. Sabato Pd in piazza a Roma contro la povertà”, “Bersani: la mia proposta è l’unica ancora in campo”.

A centro pagina, foto di Ignazio Marino: “Roma, Marino vince le primarie”.

In taglio basso: “Pontida, la Lega fa a botte. M5S: occupare le Camere”.

Il Sole 24 Ore: “Il rischio-evasione aumenta con la crisi”. In apertura anche la foto del premier britannico, che il quotidiano ha intervistato in esclusiva: “’I trattati devono essere rivisti: vogliamo un’Europa flessibile’”.

Il Giornale: “Tutta la verità sui marò”, “Testimonianze, foto e documenti sull’odissea dei nostri fucilieri di Marina raccolti in un libero. Con i retroscena dello scontro diplomatico tra l’Italia e l’India”. E in prima figura un intervento dell’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi: “Quel dietrofront che ancora non giustifico”.

A centro pagina, il raduno di Pontida: “Scintille e poi tregua tra Bossi e Maroni”.

 

Governo, governissimo.

 

Con una lettera al direttore, Pierluigi Bersani risponde all’editoriale pubblicato ieri sul quotidiano da Eugenio Scalfari e in particolare al passaggio in cui il fondatore scriveva: “Non condivido la tenacia con cui Bersani ripropone la sua candidatura”. Bersani precisa: “la proposta che ho avanzato assieme al mio partito (governo di cambiamento, convenzione per le riforme) non è di proprietà di Bersani. Ripeto quello che ho sempre detto: io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio. Esistono altre proposte che, in un Paese in tumulto, non contraddicano l’esigenza di cambiamento e che prescindano dalla mia persona? Nessuna difficoltà a sostenerle!”. Più avanti, il segretario Pd aggiunge: “Ci vuole un governo, certamente. Ma un governo che possa agire univocamente, che possa rischiare qualcosa, che possa farsi percepire nella dimensione reale, nella vita comune dei cittadini. Non un governo che viva di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico”.

Sulla stessa pagina si scrive che “i fan del leader”, ovvero di Bersani, “minacciano le urne” (“Se salta Pierluigi si vota a giugno”), ma nel frattempo “sono cambiate le forze in campo” e il partito del “no al voto! Sta crescendo, tenendo insieme un fronte trasversale che va da Veltroni a Franceschini, da Letta a D’Alema, fino a Renzi, che ha anche il suo piano B: tornare alle urne e conquistare la candidatura a Palazzo Chigi. Il ritorno alle urne, scrive il quotidiano, era una posizione largamente maggioritaria fino a dieci giorni fa: oggi molto meno, ed è una posizione che rischia di uscire sconfitta nella conta sia in direzione che nei gruppi parlamentari.

Il Corriere scrive che per domani il segretario Pd ha convocato i gruppi parlamentari: per concordare la strategia sulla designazione del prossimo presidente della Repubblica e per tastare il polso ai democratici, che sono, secondo il quotidiano, “in grandissima fibrillazione”. Nel titolo, l’analisi del Corriere sintetizza: “il leader accerchiato difende la linea: le aperture sono nel nostro percorso”. Ci si riferisce, per esempio, all’intervista con cui Dario Franceschini ha parlato di un “esecutivo di transizione” ed è stata considerata un’apertura al Pdl: “Bersani, anche per ricompattare il partito -scrive il quotidiano- vuole invece che si sappia come le aperture al Pdl di Franceschini e Roberto Speranza ‘stanno dentro al percorso che abbiamo scelto’”. E tuttavia Bersani ribadisce: “nessuna grande coalizione, un governissimo per noi è impensabile”, “e poi, a parte in paio di renziani, tra i parlamentari del Pd non c’è nessuno che lo voterebbe”. Di qui il richiamo nei titoli: “il sospetto del pressing per far spazio al sindaco” (ovvero Renzi). Bersani punta ancora, insomma, ad ottenere il via libera di Berlusconi alla nascita di un esecutivo di minoranza da lui guidato. Su Il Giornale si scrive che è iniziata con l’intervista di Franceschini l’operazione “contrordine compagni”, aprendo all’intesa con Berlusconi: Franceschini avrebbe però concordato con lo stesso segretario l’intervista, perché serviva un anti-berlusconiano doc per iniziare a far passare nella base Pd l’idea che ora “si deve diventare amici del Giaguaro”. Secondo il quotidiano, in realtà, Bersani ha capito che non solo rischiava di restare totalmente isolato sulla linea ‘governo coi grillini o voto’, mentre uno dopo l’altro i big del partito si schieravano a favore delle larghe intese: ma che rischiava soprattutto che quel governo col Pdl si facesse senza i lui.

Su La Repubblica un intervento di Walter Veltroni: “Non è l’ora delle divisioni, dobbiamo salvare il Pd pensando al bene del Paese”, “Irresponsabile chi parla di scissioni”.

 

Imprese, lavoro

 

Il Corriere della Sera scrive che il decreto sui pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione, “bollinato ieri dalla Ragioneria, arriva oggi nelle mani del Presidente della Repubblica per la firma e la successiva pubblicazione in Gazzetta Ufficiale”. La Stampa sintetizza: “Pagamenti alle imprese, sconti sulle tasse nel 2014”. Si spiega che le compensazioni debiti-crediti ci sono, nel decreto varato dal Governo, ma saranno operative solo dall’anno prossimo. Si tratta del frutto di un compromesso tra le richieste delle imprese e la Ragioneria generale dello Stato, che non vuole rischiare uno sforamento dei conti di quest’anno. Il decreto deve infatti rispettare il vincolo comunitario e contabile, quello di lasciare inalterato e al di sotto del 3% (prudenzialmente abbassato al 2,9% dal governo) il rapporto deficit-Pil per l’anno in corso. La Ragioneria Generale dello Stato ha segnalato che il sistema delle compensazioni avrebbe rischiato di far saltare questo parametro, o almeno di metterlo a rischio.

Il capogruppo del Pdl Renato Brunetta, intervistato da La Stampa, dice che il decreto “è stato presentato da un governo zombi” e che il Pdl darà il via ad una serie di audizioni per sentire le associazioni imprenditoriali e gli enti locali: “C’è un bel test per verificare come si può governare con il Pd: presentare insieme emendamenti al decreto per il pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione”, dice Brunetta, sottolineando che il governo non può mettere la fiducia sul decreto “perché non ha mai avuto la fiducia”.

Luca Ricolfi su La Stampa spiega quale sia, secondo lui, la vera “sfida” per destra e sinistra. Scrive Ricolfi: “La politica della sinistra vede l’evasione fiscale come una riserva di caccia per finanziare i propri progetti sociali, ma trascura il fatto che far pagare le tasse agli evasori, senza abbassare le aliquote, equivale ad aumentare la pressione fiscale, soffocando ulteriormente l’economia”. La politica della destra, “è speculare. Essa vede gli sprechi nella PA come una immensa riserva di caccia per trovare le risorse per abbassare le tasse”: anche questa politica produrrebbe danni, secondo Ricolfi, perché “è vero che ci sono immensi sprechi, ma è altrettanto vero che il nostro stato sociale è incompleto e sottofinanziato”. Serve quindi una “inversione delle parti”: se vuole ridurre le aliquote, la destra deve impegnarsi a stanare gli evasori, se vuole completare lo stato sociale la sinistra deve impegnarsi ad eliminare gli sprechi.

I dati Istat e Ministero del lavoro vengono pubblicati da tutti i quotidiani, e il Corriere li riassume così: oltre 1 milione di lavoratori (1.027.462) è stato licenziato l’anno scorso, il 13,9 in più rispetto al 2011, e quasi 330 mila hanno perso il posto di lavoro solo negli ultimi tre mesi del 2012, con una escalation del 15,1 per cento sullo stesso periodo del 2011. I dati non distinguono tra licenziamenti collettivi e individuali, e delineano un quadro in costante peggioramento. Da un anno all’altro, peraltro, c’è stato un crollo dei nuovi rapporti di lavoro. Se nel 2011 erano 10 milioni e 400 mila, nel 2012 sono diminuiti di quasi 100 mila unità.

“Disastro Monti: un milione di licenziati”, titola Il Giornale, che legge questi dati come il risultato delle politiche di austerità del governo e della riforma del lavoro firmata dalla Ministra Fornero che, secondo il quotidiano, ha frenato la propensione ad assumere ma anche ad utilizzare contratti flessibili”.

La segretaria Cgil Susanna Camusso, intervistata da La Repubblica, dice che “continuerà il processo di perdita del lavoro in Italia. Negli ultimi anni abbiamo perso il 20 per cento delle attività produttive”. Ricorda: “E’ dal 2004 che lanciamo allarmi sul rischio di de-industrializzazione” e propone di salvare nell’immediato i posti che ci sono con la proroga della Cassa integrazione. Invoca “provvedimenti che premino le aziende che danno lavoro: se lo Stato non riesce a pagare tutti i crediti verso le imprese, deve privilegiare quelle a maggiore intensità di lavoro. Per lo stesso motivo bisogna abolire la quota dell’Irap che tassa le aziende in base al numero di dipendenti”.

Sul Corriere della Sera Patrizio Bianchi, in una analisi, sottolinea che nei Paesi più sviluppati “si sta affermando una nuova attenzione per la manifattura, dopo anni di de-industrializzazione i governi si stanno ponendo il problema di un rilancio della produzione manifatturiera come fattore essenziale di crescita dopo la crisi. Era convinzione diffusa in un ancor recente passato che nell’Occidente, ricco ed istruito, dovevano essere concentrati i servizi, mentre nell’Oriente, in cui ai bassi salari si accoppiavano bassi livelli di educazione, andavano decentrate le attività di produzione. Oggi, al settimo anno di crisi, ci si rende conto invece che, delocalizzando le attività di trasformazione produttiva, si perdono anche le capacità progettuali a queste connesse. Se uno stilista, un progettista, un designer non dispongono del riscontro diretto della produzione, rischiano di perdere in breve tempo le stesse conoscenze applicative, che trasformano la loro creatività in industria”. Bianchi ricorda l’intuizione presente nella strategia di Lisbona, che puntava non tanto sullo sviluppo di una “green industry, ridotto essenzialmente al settore delle energie alternative, quanto di come si deve ridisegnare l’intero apparato industriale in una prospettiva di sostenibilità ambientale, verso cui riorientare le stesse politiche educative. Perfino il governo conservatore di David Cameron si sta seriamente ponendo il problema di come stimolare una “manifacturing reinassance” promuovendo un quadro molto ampio di riflessioni su come rigenerare un ambiente favorevole alla crescita di nuova manifattura, e impegnando in questo le sue migliori università.

 

E poi

 

Il premier britannico Cameron viene intervistato da Il Sole 24 Ore, che lo incontra a Witney, suo collegio elettorale dove, da primo ministro, passa almeno due giorni al mese per rispondere alle domande degli elettori. “Mi batto per ottenere la riforma della Ue per il semplice motivo che abbiamo bisogno di una Europa più aperta, più competitiva, più flessibile, che sappia pensare di più ai costi che impone al mondo produttivo, a cominciare dalle PMI”, dice. Poi spiega: “Il mercato unico è e resta per noi inglesi l’aspetto più importante dell’Unione, ma è sbagliato sostenere che agli inglesi interessa solo questo”, e contesta: “Chi ha una posizione di leadership nella Ue affinché sia mantenuto l’embargo all’Iran? La Gran Bretagna. Chi si batte con vigore per garantire sostegno alla opposizione siriana contro il regime di Assad? La Gran Bretagna. Chi ha immediatamente sostenuto il presidente francese Hollande nella crisi del Mali? La Gran Bretagna. Siamo e restiamo una grande potenza e un grande player europeo, eppure crediamo che l’Europa abbia esagerato andando oltre il necessario con direttive intrusive e con interferenze”.

 

La Repubblica dedica due intere pagine alle pubblicazioni dei documenti Wikileaks che danno conto, tra l’altro, di un dialogo tra il Segretario di Stato Usa Kissinger e don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. Il dialogo è contenuto in una comunicazione diplomatica del 19 dicembre 1975. “Ma noi come potremmo aiutarvi?”, domanda il console americano su mandato di Kissinger. La risposta di don Giussani è: potete aiutarci non appoggiando CL, “che non ha bisogno di un sostegno, piuttosto aiutando il Movimento Popolare”, ovvero il braccio politico di Cl, appena fondato da un giovane ventottenne di Lecco, Roberto Formigoni.

Nella pagina accanto, altri contenuti Wikileaks: oggi l’America rende omaggio a Napolitano, ma nella lunga guerra fredda non mancarono le difficoltà, visto che nel novembre del 1976 per ben tre volte l’attuale presidente tentò di incontrare a Roma Ted Kennedy e per tre volte ne venne respinto. Nel 1975 gli era stato rifiutato il visto americano per decisione di Kissinger. Il documento pubblicato da Wikileaks è il contenuto delle comunicazioni tra l’ambasciatore Usa John Volpe, che riferisce a Kissinger sul soggiorno romano del senatore democratico Ted Kennedy.

 

Sul Corriere della Sera la strage di bambini in Afghanistan. Si tratterebbe di un nuovo errore della Nato. Alle prime luci dell’alba di sabato i reparti del nuovo esercito afghano, sostenuti per via aerea dalla Nato, hanno lanciato una forte offensiva nella regione di Kunar, zona di confine con il Pakistan. A Kunar però i talebani hanno una delle roccaforti più agguerrite. L’aviazione Usa avrebbe bombardato per alcune ore postazioni talebane, ma centrando alcune case dove si erano rifugiati gli insorti

 

 

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