Letta incassa la fiducia e sfida il M5S

La Stampa: “Renzi sfida l’alleato Alfano”, “’Se sulla legge elettorale perde tempo, parlerò con Grillo e Berlusconi’. Proteste in piazza, Letta contro M5S e FI: basta blandire le minoranze”.

A centro pagina, foto di Danilo Calvani, uno dei leader della protesta dei ‘Forconi’: sventola il tricolore a bordo di una Jaguar. Il titolo: “Ora i ‘forconi’ vogliono marciare su Roma”.

Di spalla, la decisione del magazine americano Time di designare il Papa come uomo dell’anno.

 

Corriere della Sera: “Fiducia per Letta: riforme e sfida a Grillo”, “Renzi a colloquio da Napolitano. Forconi divisi, ma minacce di blocchi”.

A centro pagina: “Gli ultimi giorni per l’Imu: come pagare senza errori. A Milano 10 alquote diverse”.

In taglio basso, Gian Antonio Stella si occupa del “corno” di 13 metri piantato davanti alla Reggia di Caserta: un’installazione che potrebbe provocare la revoca del patrocinio Unesco.

 

La Repubblica: “letta sfida Grillo: basta caos”, “Fiducia al governo, rissa in aula sulla protesta dei forconi”.

La foto a centro pagina è scattata a Torino e riguarda il movimento dei forconi: “Assedio a Torino, pronta marcia su Roma”, “Berlusconi rinvia l’incontro con i manifestanti”.

 

Il Sole 24 Ore riprende nei titoli le parole di Letta nel corso del dibattito sulla fiducia: “’Nuovo inizio, risorse al cuneo’”, “Letta ottiene la fiducia: avanti fino al 2015, riforma della legge elettorale e del Senato. Scontro con il M5S”.

In taglio basso: “Rientro capitali: ecco il piano”, “Procedura di collaborazione volontaria fino al settembre 2016”.

 

Il Fatto: “Il ‘nuovo inizio’ di Letta. I soldi ai partiti restano”.

A centro pagina: “Forconi: ‘Marceremo su Roma’. B. non li incontra, Santanché sì”.

 

L’Unità: “Letta sfida Grillo: basta caos”.

A centro pagina, foto dei disordini: “E i forconi sfidano l’Italia”.

 

Il Giornale: “Forconi in Parlamento”, “Scontro alla Camera: il premier ottiene la fiducia e attacca i Cinque Stelle. Brunetta sfida Napolitano: vuol vietare le elezioni come accadeva in Urss”, “La rivolta cresce, ma dal governo nessuna risposta”.

A centro pagina, foto di Marina Berlusconi: “Orgoglio Marina. Non siamo il bancomat di De Benedetti”, “Cir vuole altri 30 milioni per il Lodo Mondadori. E pure gli alfaniani spingono per gli aiutini a Sorgenia”.

 

Governo

 

Sulla prima pagina del Corriere Massimo Franco, commentando il voto di fiducia al governo Letta ieri in Parlamento, scrive che “è senz’altro un ‘nuovo inizio’: forse più di quanto Enrico Letta pensi e sia disposto ad ammettere”. Sia perché si tratta di una maggioranza di governo ormai “emancipata dall’ipoteca di Silvio Berlusconi”, sia per l’arrivo di Renzi, e del suo elettorato che “incombe”. Il problema del governo “non sono le opposizioni”, di Grillo e Berlusconi, che anzi sono destinate a puntellare l’esecutivo. “Si tratta invece di capire come Letta riuscirà ad onorare il debito di riconoscenza politica nei confronti degli ex del Pdl che hanno rotto col Cavaliere in nome della stabilità. E come, in parallelo, soddisferà il Pd renziano deciso a rivendicare un credito verso Palazzo Chigi”.

 

Sullo stesso quotidiano un retroscena racconta delle quasi due ore di colloquio di Renzi con Napolitano, ieri. “Il ‘franco’ colloquio sul Colle: io avanti anche senza Alfano”. Il programma di Renzi, riassunto al Presidente, sarebbe questo: “Ho vinto le primarie, l’elettorato del Pd mi ha scelto e mi ha eletto sulla base di alcuni punti che io ho proposto: taglio dei costi della politica, riforma elettorale, job act, abolizione del Senato vera, che non sia quella roba che propone Quagliariello, nuovo rapporto con l’Europa. Non voglio far saltare il governo su queste cose: voglio che le faccia, se non sarà un disastro per il Paese e allora verranno veramente a cercarci con i forconi”. Nel corso del colloquio ovviamente si è parlato dell’argomento che più sta a cuore di Napolitano, ovvero la riforma elettorale. E l’orientamento di Renzi sarebbe stato il seguente: “Presidente, a me non interessa quale sia il sistema, purché vi sia una legge maggioritaria che garantisca il bipolarismo. Insomma, il giorno dopo le elezioni si deve sapere chi ha vinto, non si devono fare i pasticci”. Qui, secondo Maria Teresa Meli che firma l’articolo, si è registrata la vera distanza tra il sindaco e il Presidente. Napolitano, come Letta, vorrebbe che la riforma si facesse nell’alveo della maggioranza, poiché vedono in Alfano una destra moderna e moderata con cui si possono scrivere le regole. La risposta di Renzi sarebbe stata questa: “Io discuterò con Alfano, ma se lui immagina di avere un potere di veto, di mandare la storia per le lunghe si sbaglia”. Poi avrebbe detto che Berlusconi gli ha già chiesto un accordo. Quanto a Grillo: “In un tweet mi propone di rinunciare ai rimborsi elettorali per il Pd in questa legislatura. Sto pensando di farlo. Lo vorrei annunciare domenica alla Assemblea nazionale, proponendo al leader dei 5 Stelle altrettanta coerenza sui costi della politica: cioè di dire sì all’abolizione delle Province e del Senato. E di appoggiare una riforma elettorale che ridia il potere di scelta ai cittadini”.

La Stampa pubblica un “colloquio” con il segretario del Pd. Della legge elettorale dice: “temo che

Angelino Alfano voglia perder tempo e menare il can per l’aia. Io con lui parlerò, figurarsi, ma non mi lascerò incantare e nemmeno rallentare: ho una mia exit strategy, un canale aperto anche con

Berlusconi e Grillo, che la riforma adesso la vogliono davvero. E se il Nuovo centrodestra divaga, vuol dire che lavoreremo con qualcun altro”.

Sulla tenuta del governo: “Credo che Napolitano vorrebbe che il governo andasse avanti, molto avanti, altro che 2015… Io non dico di no, però insisto: stabilità non puo’ voler dire l’attuale

immobilismo”.

 

Il Fatto: “L’arrivo di Renzi non basta: i partiti salvano i rimborsi”. Il quotidiano cita le parole pronunciate da Letta sulla questione del finanziamento pubblico: “Confermo la volontà di concludere il processo per abolire il finanziamento dei partiti entro l’anno con tutti gli strumenti a disposizione”. Peccato, commenta Il Fatto, che il Senato non abbia nemmeno iniziato l’esame del Disegno di legge in Commissione: la presidente della Commissione Affari Costituzionali Anna Finocchiaro, all’Ansa, parlando della abolizione, ha detto: “Non credo che si riuscirà ad approvarla in Aula nel 2013”.

Su Il Giornale: “Renzi si sta già preparando a scaricare l’alleato Alfano”, “sulla riforma elettorale il nuovo leader Pd ha pronto il piano B: NCD appoggi le nostre proposte o trovo una maggioranza alternativa”.

 

Forconi

 

Nel corso del suo intervento al dibattito sulla fiducia il premier Letta si è riferito alle proteste del cosiddetto movimento dei Forconi: “Lisciare il pelo alla protesta sostenendo che chi rappresenta una minoranza di una categoria economica possa parlare a nome di tutti è uno stravolgimento delle regole della democrazia che non dobbiamo seguire”. Poi, spiega il Corriere della Sera, il premier ha spiegato che non si devono “scambiare le proteste degli autotrasportatori con un’altra cosa: il governo affronta la discussione con i rappresentanti delle categorie, se indica forme di accordo che tengono insieme più del 90 per cento di quelle categorie. Venire a dire che quello che sta accadendo è la rappresentanza del Paese non è vero”.

Sullo stesso quotidiano, Dario Di Vico in una analisi sottolinea che “il vero popolo dei camion non è dentro la piazza fai da te”. Dove si legge che Silvio Berlusconi ha deciso di rinviare l’incontro con i ribelli perché gli è stato spiegato che i costi politici di un appoggio ai manifestanti sarebbero stati molto più alti dei benefici. Forza Italia avrebbe perso interlocuzione con le associazioni degli autotrasportatori e dei commercianti che contano veramente (ed elettoralmente).

Su La Repubblica: “Forconi, sondaggi e proteste fermano Silvio”. L’ala più moderata di Forza Italia avrebbe fatto presente a Berlusconi che si rischiava di perdere tutti i voti moderati, con il rischio di una fuga di senatori verso il Nuovo centro Destra. Insomma, uno stop alla linea dei falchi: Berlusconi ha rinunciato al confronto che Daniela Santanché, big sponsor della operazione, gli aveva organizzato. E lei comunque li ha incontrati, gli autotrasportatori: “Non mi piace lo snobismo che circonda questa protesta, le loro richieste sono legittime”, ha detto.

Su Il Giornale: “Berlusconi sceglie la prudenza, ‘non cavalcherà il populismo’. La telefonata che avrebbe fatto capitolare Berlusconi, sarebbe quella con Paolo Uggè, oggi vicepresidente di Confcommercio, già sottosegretario con Berlusconi, che gli avrebbe detto: “Sono quattro disperati che hanno le loro buone ragioni per protestare ma rappresentano una sparuta minoranza”. Secondo il quotidiano, Berlusconi avrebbe preferito quindi di evitare di cavalcare i forconi, con il rischio che tutto si possa trasformare in un boomerang se la piazza di questi giorni si dovesse trasformare in violenza. E d’altra parte, scrive ancora il quotidiano, Enrico Letta era già pronto a tacciare il Cav di ‘populismo ed estremismo’”.

Per tornare a La Repubblica, una lunga analisi di Massimo Giannini dal titolo “Due Paesi troppo lontani”. Nelle piazze c’è un popolo “smarrito, senza sovranità e senza rappresentanza” che urla la sua rabbia e “azzarda l’assedio all’odiato palazzo d’Inverno della politica”. Si tratta di due Italie che reagiscono in modi diversi alla stessa “grande crisi”. La prima si difende secondo le regole codificate dalla Costituzione. La seconda sfascia, secondo le logiche disperate del forcone”. “Non c’è dialogo possibile tra questi due Paesi lontani. Il Parlamento, delegittimato, non lo riesce a creare. Le piazze, esasperate, non lo vogliono cercare. L’unico ‘raccordo’ improprio e irresponsabile lo pratica il Movimento 5 Stelle. I grillini ‘abitano’ sia le Camere sia le piazze”. Giannini poi analizza questa “sommossa trasversale” “che ha i tratti forti del pujadismo francese del 1953”: il Movimento italiano di questi giorni “mette insieme la collera di un ceto medio ormai polverizzato e inafferrabile nel quale, insieme ai dipendenti, convivono i lavoratori autonomi che la recessione ha fatto scivolare all’ultimo gradino della scala sociale”. Letta, secondo Giannini, ha ragione a ripetere che queste forme di ribellione “non rappresentano il Paese”, ma non può sottovalutare “la portata di questa Vandea che scuote la penisola”. Il disagio è reale, “ed esige risposte all’unico soggetto che le può e le deve dare: la politica. Qui sta la sfida di Letta” e qui sta anche la sfida di Renzi che, assunta la guida del Pd, deve spiegare davvero cos’è “il governo secondo Matteo”.

 

Su Il Giornale una intervista a Lucio Chiavegato, dei Liberi imprenditori federalisti europei, che sta animando le manifestazioni dei “Forconi” nel nordest. “Tutta l’Italia è con noi. Letta se ne deve andare”. “Il Leader della Life: ‘Quanto toglieremo i blocchi assedieremo i palazzi del potere. Siamo stanchi di malaffare, tasse e leggi strangolaimprese”.

 

La Stampa ricorda che questa mattina il Ministro degli Interni riferirà alla Camera sulla protesta. Ieri ha detto: “Non avremo nessuna remora a reprimere intimidazioni o minacce alla libertà degli altri”. Gli analisti della intelligence italiana spiegano: “Si ha a che fare con un movimento che ha caratteri non ordinari dove convergono anche ali estremiste trasversali”. A Torino i Pm hanno aperto un fascicolo per devastazione. Tra i sei arrestati nel capoluogo piemontese ci sono anche due pregiudicati: “Il fanatico dei rave party, il barista, il cassintegrato: ecco l’identikit della piazza”. Tra i fermati, accusati di resistenza e danneggiamento, un diciannovenne che sembra non sapere nulla dei reali motivi della protesta. Per andare in piazza ha preso un treno alle cinque del mattino, e il sospetto è che ci sia stata una specie di reclutamento, dietro l’onda di rabbia.

 

I quotidiano riferiscono anche della decisione del leader siciliano dei Forconi Mariano Ferro: “In una prima fase poteva anche farci piacere essere presi a simbolo dello sciopero, ma adesso la situazione è degenerata”, spiega Ferro, che, come scrive il Corriere, rivendica la primogenitura. Spiega ancora: “dietro la nostra sigla c’è un movimento di agricoltori ed autotrasportatori che da anni rivendica un intervento contro la crisi, ma nel filone di protesta purtroppo si sono infiltrate frange eversive”. Quanto a Danilo Calvani, coltivatore di ortaggi a Pontinia e poi imprenditore agricolo, oggi tra i leader dei Forconi nazionali, in una intervista a La Repubblica spiega di non essere affatto proprietario della Jaguar da cui ieri sventolava un tricolore a Genova: “Non era mia, non ho intestato nulla, e non era il mio autista, solo un amico che mi ha dato un passaggio, un camionista”. Spiega che prende spesso passaggi perché non ha una lira: “Non ho l’auto, non ho una azienda, sono protestato, però ho 4 figli” e l’azienda è finita all’asta, pignorata per 80 mila euro.

 

Internazionale

 

Rocco Cotroneo, sul Corriere della Sera, si occupa della decisione dell’Uruguay di “rompere un tabù” sulle droghe leggere: nel Paese la marijuana si potrà coltivare e acquistare in farmacia. Lo Stato seguirà tutta la catena, dalla scelta dei semi alla quantità permessa al consumatore finale. Manca la firma del Presidente Mujca, ma è scontata, perché l’ex guerrigliero è stato uno dei principali sponsor di questa iniziativa. E Cotroneo illustra le diverse strade percorse nel mondo su questo settore, tra scelte antiproibizioniste e repressione, passando per Olanda, California, e via dicendo. Ieri però l’organismo Onu responsabile delle droghe ha accusato l’Uruguay di violare la legge sulla convenzione unica sugli stupefacenti del 1961.

Anche su La Repubblica, con la firma di Omero Ciai: “La sfida dell’Uruguay, ‘marijuana di Stato’ per fermare i narcos”.

Su La Stampa: “L’Uruguay rompe il tabù, sì alla marijuana di Stato”. Sarà in vendita nei negozi autorizzati a 1 dollaro al grammo e sarà legale anche la coltivazione”.

Su L’Unità: “L’India in retromarcia. L’omosessualità è reato”. Spiega il quotidiano che la Corte Suprema ha annullato una depenalizzazione risalente al 2009: torna in vigore quanto stabilito dal codice penale ottocentesco, risalente alla dominazione coloniale britannica, che definiva l’omosessualità un comportamento contro natura, punibile con la detenzione fino a 10 anni.

La Stampa interpella Ashwin Mehra, omosessuale fino a qualche tempo fa transgender: “Mia madre è cristiana e mio padre è indù, e loro per primi si sono ribellati alle convenzioni sociali. Ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha sostenuto”. Ma ora è costretto a nascondere la propria omosessualità. Il verdetto della Corte Suprema è giunto pochi giorni dopo la vittoria alle elezioni amministrative di New Delhi del partito indù nazionalista, che è legato alle associazioni religiose induiste, che chiedevano il ripristino della legislazione antigay.

Se ne occupa anche il Corriere, ricordando che la Corte Suprema ha rovesciato la decisione presa 4 anni fa dall’alto tribunale di Delhi, con cui veniva dichiarata incostituzionale la norma risalente alla dominazione britannica: la Corte Suprema ha stabilito che quella sezione del codice penale resta valida, che solo il Parlamento può abolirla. Il governo, il cui partito di maggioranza è il Congresso dei Gandhi, laico, decidere se metterla all’ordine del giorno prima delle elezioni della prossima primavera. Lo chiedono i movimento gay, le organizzazioni di difesa dei diritti civili, intellettuali ed attori di Bollywood. Il problema, sottolinea il Corriere, è che l’India è un Paese socialmente piuttosto conservatore: è vero che gli Hijras, ovvero i transessuali, sono una presenza storica, ma in pubblico è difficile vedere effusioni anche tra giovani di sesso diverso. I matrimoni sono ancora in gran parte concordati, le religioni fanno muro contro i costumi occidentali. Di questo conservatorismo si farà probabilmente paladino il Bjp, partito nazionalista indù, principale sfidante al Congresso alle prossime elezioni.

 

Sulla Repubblica: “Accordo sul bilancio, l’America riparte”, “scongiurata la paralisi”: “sì di repubblicani e democratici”. L’accordo è di 85 miliardi e prevede un aumento nei prossimi due anni delle spese per il Pentagono e per le altre agenzie federali. I fondi verranno reperiti alzando le tasse sul trasporto aereo, che passeranno da 2,5 dollari a volo a 5,6. Verranno parallelamente colpite le pensioni dei dipendenti pubblici e dei militari. Non c’è invece alcuna norma per aumentare le coperture dei disoccupati: due milioni di persone che a fine mese si troveranno senza alcun sostegno. Questo spiega le perplessità espresse da una parte dei Dem, come Nancy Pelosi, che guida i Progressisti alla Camera: “Assurdo che non sia stato previsto un provvedimento così importante”, ha detto. Critici anche gli esponenti del Tea Party, come i candidabili Rep Mark Rubio e Rand Paul, che considerano insufficiente il provvedimento. L’uomo della svolta però è stato proprio un repubblicano, Paul Ryan, presidente della Commissione Bilancio della Camera.

Su Il Sole 24 Ore: “Accordo bipartisan sul budget Usa”.

Restiamo a questo quotidiano perché è l’unico ad occuparsi della decisione di Usa e Gran Bretagna di sospendere gli aiuti non letali alla opposizione armata nel nord della Siria. Si tratta di equipaggiamenti, veicoli e kit medici. La decisione è stata presa dopo che un gruppo di miliziano jihadisti ha conquistato una base militare del Syrian Free Army, la fazione armata composta dai disertori dell’esercito del Presidente Assad: la base in questione si trova a Bab Al Hawa, vicino al confine turco.

I quotidiani continuano ad occuparsi delle proteste in corso in Ucraina, dando conto della dura reazione di Ue ed Usa dopo le repressioni violente in piazza. I manifestanti si dicono pronti a resistere, e nessuno crede alle aperture del Presidente Yanukovich, scrive La Repubblica. E dopo il tentativo fallito di usare la forza, il Corriere spiega che il Presidente continua ad alzare la posta: ieri il governo ha fatto sapere che sarebbero necessari venti milioni di euro per la firma dell’accordo di associazione con la Ue, per compensare le perdite legate ad un abbandono dell’orbita russa. L’Unità intervista il Presidente del gruppo dei socialisti al Parlamento Europeo Swoboda: “Kiev ci chiede 20 miliardi. L’Europa è anche altro: valori e diritti”. Spiega Swoboda: “Vi è stato un aiuto finanzario dalla Ue alla Ucraina prima della prevista firma dell’accordo di associazione, e continuerà ad esserci. Ma l’Europa non può e non deve offrire semplicemente più fondi alla Russia. Quel che abbiamo da offrire alla Ucraina – valori, diritti umani – non si può valutare in termini economici.

L’inserto R2 de La Repubblica è invece dedicato alla Cina: dopo 35 anni e 336 milioni di aborti forzati Pechino ha fatto marcia indietro sulla politica del figlio unico, anche perché perché ha bisogno di giovani per tenere basso il costo del lavoro e di adulti per alzare i consumi. Ma non si annuncia un baby-boom. Con un’intervista alla scrittrice Xue Xinran: “l apolitica del controllo delle nascite -dice- ha stravolto così intimamente la società cinese che, proprio ora che potranno avere finalmente più figli, i cittadini non ne vogliono nemmeno uno”; le conseguenze sociali sono “devastanti”, perché “la struttura tradizionale della famiglia è stata completamente sconvolta”, ora “le famiglie somigliano a monadi”, “solitarie, ricche, ma prive di quel patrimonio immateriale costituito dalle relazioni comunitarie”.

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