Le mille municipalizzate d’Italia (in perdita)

– Oggi sui giornali ancora l’attesa per le misure del governo, specie per lo Sblocca Italia e per la scuola.
– Intanto tregua a Gaza.
– Stretta di mano tra Putin e Poroshenko.

Le aperture

La Repubblica: “Svolta sui precari, subito assunti 100 mila professori”, “Renzi alla Ue: non accettiamo lezioni”, “Mogherini a Bruxelles, c’è l’intesa”.
A centro pagina: “Spending, le partecipate nel mirino, in perdita più di una su quattro”, “Su 5264 società 1424 sono in rosso e 1242 inattive”.
La foto a centro pagina riproduce le scene di giubilo a Gaza dopo l’annuncio della tregua, sotto il titolo: “’Tregua a Gaza, questa volta durerà’. Il Cairo trova l’accordo Hamas-Israele”.
In apertura a destra, Bernardo Valli, da Parigi scrive: “La doppia ferita di Hollande che fa tremare la Francia”, “Dall’opinione pubblica al partito: il presidente che ha perso tutto segnerà ora la fine del regime?”.

La Stampa: “L’Onu sui profughi: ‘L’Italia non resti sola’”. Sulla tregua raggiunta tra Israele e Hamas: “Sì da Hamas e Israele. È tregua a Gaza”.
A centro pagina: “Il buco nero delle partecipate”, “Cottarelli: una società su 4 non rende. Scuola, piano per assorbire i precari”.
A centro pagina anche la foto della stretta di mano tra il presidente russo Putin e il suo omologo ucraino Poroshenko all’incontro di Minsk, sotto il titolo: “La Nato: blinderemo l’Europa a Est”.

Il Corriere della Sera apre con una intervista al Ministro dell’Economia: “‘Risparmieremo su tutto’. Il ministro Padoan: in discussione anche posizioni acquisite. La strategia del Tesoro: tagli necessari ma terremo conto della crisi”.
Di spalla: “Hollande cambia rotta: l’ex banchiere all’economia”.
Editoriale firmato da Sergio Romano, e dedicato alla Turchia e al suo “ruolo ambiguo” nelle crisi in corso.
A centro pagina, insieme all’apertura del Festival di Venezia, la tregua a Gaza: “Tregua tra Israele e Hamas a tempo indeterminato. Allentato l’embargo a Gaza”.
Un richiamo in prima anche per le annunciate misure sulla scuola: “Il caso supplenti: precari da assumere senza cattedra fissa”.

Il Sole 24 Ore: “Opere, per ora solo 1,2 miliardi. Il governo mette a punto il decreto (Sblocca Italia, ndr): possibili altri 2,5 miliardi dal fondo di coesione. Piano ‘partecipate’. Per i privati la soglia del credito di imposta scenderà a 50 milioni”. Di spalla: “Il piano Giannini: 100 mila insegnanti assunti in tre anni. Costo dell’operazione stimato in 570 milioni”.
A centro pagina: “Pensioni, boom di ritiri delle donne. Saranno 12 mila le lavoratrici che opteranno per il contributivo entro quest’anno. Già liquidate 24 mila posizioni per evitare la riforma Fornero”.
Tra i richiami in prima l’accordo tra Hamas ed Israele, e le nomine Ue: “Mogherini verso la nomina ad Alto Rappresentante”.

Il Giornale: “L’Ue ha i soldi. Ma non ce li dà”. “Ogni anno Bruxelles spende 9 miliardi per le necessità di tutto il mondo: dall’Australia alla Cina”. Sono le risorse destinate alla cooperazione, “ma solo 68 milioni vanno all’area subsahariana”, scrive il quotidiano.
A centro pagina: “Vanno allo sbaraglio e noi paghiamo. Da Baldoni alle rapite in Siria”, di Vittorio Feltri.
E poi un richiamo al “dossier del Commissario Cottarelli”: “Comuni e Regioni pozzi senza fondo. Una società partecipata su 4 perde soldi. Più di mille nascondono i bilanci”.

Il Fatto: “’Rai, 1,3 miliardi di appalti, ma nessuno deve sapere’”, “Il presidente della Vigilanza Rai Roberto Fico (M5S): ‘Siamo riusciti a bloccare un finanziamento di 750 mila euro a Cl per il Meeting di Rimini. Ma quando abbiamo chiesto di avere l’elenco di tutte le commesse esterne, in Viale Mazzini si è alzato un vero e proprio muro di gomma’”.
A centro pagina, un’intervista a Gino Strada, fondatore di Emergency: “’La sinistra è ipocrita: dalla pace alle armi’”, “Nel 2003 erano tutti a manifestare in piazza, ora hanno cambiato idea perché sono tornati al governo. L’Isis? Dei sanguinari. I kalashnikov ai curdi? Pericoloso, è il regalo per gli amici del momento’”.

Padoan, economia

“L’Europa è a un bivio: o striscia nella deflazione e nella bassa crescita, oppure dà un colpo di reni e riparte, con le riforme strutturali e un consolidamento di bilancio ‘growth friendly'”. Lo dice il Ministro dell’Economia Padoan, in una lunga intervista al Corriere della Sera: Padoan dice di essere “in piena sintonia con il Presidente della Banca Centrale Europea”, e spiega che le riforme strutturali evocate spesso da Draghi si intrecciano con il “consolidamento fiscale”. Si tratta di “due fattori che interagiscono tra di loro. Le riforme richiedono tempo, e magari hanno costi immediati nel breve periodo anche in termini di bilancio, ma le riforme migliorano il bilancio pubblico nel lungo periodo, perché riducono le spese. E poi, e qui mi riferisco a Draghi, in un’area fortemente integrata come la zona euro, se un Paese importante fa le riforme ci sono ricadute pure sui Paesi vicini”.
Sul rinvio del pareggio al 2016: “Il quadro macro della zona euro è peggiorato rispetto a pochi mesi fa. Sia per quanto riguarda i dati sulla crescita, che per l’inflazione in continua flessione. È un fenomeno che desta preoccupazione, e in particolare non aiuta quei Paesi che hanno un debito alto che deve scendere, come noi. Però le circostanze particolari che l’Italia ha invocato in primavera sono anche altre”, ovvero “noi siamo fortemente impegnati in un piano di riforme strutturali importanti, che porterà ad un aumento della crescita e dell’occupazione, ma che naturalmente richiede tempo per produrre frutti. Questa circostanza vale per noi e per chiunque in Europa ha la necessità di implementare riforme strutturali”. Padoan dice che va “assolutamente rispettato” il vincolo del 3 per cento.
Sulle risorse Padoan non dice molto: spiega che “stiamo entrando solo adesso nella fase di identificazione delle misure. In ogni caso gli obiettivi dei tagli di spesa terranno conto del quadro economico peggiorato”, che ci si baserà sulla spending review, che “in tutti i settori ci sono spazi per risparmiare, non ce n’è uno più spendaccione di un altro”, e che “naturalmente” questo “implica anche mettere in discussione posizioni acquisite”. Infine, Padoan ci tiene “a dire una cosa” sulla tassazione sulla casa: “È sbagliato, come ho letto, fare paragoni tra quest’anno e il 2013. Il confronto giusto va fatto con il 2012, perché l’anno scorso c’erano delle esenzioni ‘una tantum’, e i dati che abbiamo noi, basati sul gettito effettivo dei Comuni che hanno deliberato le aliquote già nei mesi scorsi, dicono che sulla prima casa, rispetto al 2012, il carico fiscale è mediamente minore, e che rimane sugli stessi livelli per le seconde case e gli altri immobili”.

Le pagine 2 e 3 de La Stampa sono dedicate ai dati raccolti dal commissario alla spending review Carlo Cottarelli sulla situazione finanziaria delle partecipate degli enti locali. 1424 sono in perdita. 143 in dissesto. 1075 non hanno ancora presentato un bilancio. Cottarelli ha deciso di mettere online questi dati e – scrive il quotidiano – ha indicato la strada. Ora sta al governo decidere. Perché il commissario propone un piano in sette mosse: accelerare la chiusura delle società non operative, estendere il divieto di partecipazioni indirette ai servizi pubblici di rilevanza economica, chiudere le partecipate che ad una certa data avevano dimensioni ridotte, introdurre il divieto di partecipare in società in cui il pubblico, nel suo complesso, non raggiunga almeno una quota del dieci per cento, imporre economie di scala impedendo ai Comuni al di sotto dei 30 mila abitanti di gestire una società in proprio, imporre standard territoriali per la gestione dei servizi essenziali, limitare i settori di attività per i quali oggi ad un Comune è sufficiente una delibera per rendere possibile il mantenimento di una partecipata. Sulla stessa pagina, parlando della “giungla delle partecipate”: “galline e hotel di lusso a gestione ‘pubblica’”, “Il Molise perde 15 milioni con gli allevamenti. Della Provincia l’unico ‘cinque stelle’ trentino”. La pagina successiva raccoglie le opinioni sul tema di Alberto Mingardi, economista dell’Istituto Bruno Leoni (“Tagliare è un dovere. Servono solo a saziare la fame della politica”, “chi non ce la fa deve fallire”) e del sindaco di Torino – nonché presidente dell’Associazione nazionale Comuni italiani – Piero Fassino (“Quotiamole in Borsa, così saranno costrette a tenere i conti in ordine”).

Su La Repubblica: “Enti locali, bilancio in rosso per una partecipata su quattro. Niente fondi nello Sblocca-Italia”, “Lo studio del commissario alla Spending Review Cottarelli. A costo zero le misure di venerdì. Slitta la Legge di Stabilità”. Anche La Repubblica legge il documento pubblicato da Cottarelli e sintetizza: “Dal Casinò di Venezia alla Fiera di Roma, la mappa delle inefficienze brucia-soldi”, “per mille partecipate conti non disponibili nemmeno per Palazzo Chigi”.

Sul Sole 24 Ore: “Per il momento ci sono per lo Sblocca Italia, effettivamente disponibili, 1,2 miliardi del ‘fondo revoche’, che svincola le risorse da vecchie opere infrastrutturali incagliate per destinarle a nuovi obiettivi”. Si citano anche le parole del Ministro Lupi, che ha detto: “Tra il decreto (Sblocca Italia) e la legge di stabilità troveremo tutte le coperture per le azioni necessarie al rilancio del Paese”. Una delle norme in bilico tra decreto e Stabilità è il blocco delle misure per aprire una stagione di privatizzazioni e quotazione in Borsa delle società partecipate dagli enti locali nei servizi pubblici, scrive il quotidiano.
Un altro articolo: “Una partecipata su 4 con rendimento negativo. La mappa diffusa da Cottarelli: ma per 1075 società i bilanci non sono disponibili per il ministero dell’Economia. Nell’elenco dei patrimoni con segno meno il Casinò di Venezia, la Fiera di Roma, la Cotral.

Su Il Giornale si scrive che “non ci sono i soldi per ‘sbloccare l’Italia’ ma le aziende pubbliche e semipubbliche resistono: una su quattro ha i conti in rosso cronico (soldi dei contribuenti) in molti casi i campioni del nuovo socialismo municipale si permettono di non rispondere al governo, che gli chiede i bilanci. Ma, salvo ripensamenti, il piano che dovrebbe accelerare la loro dismissione non approderà al consiglio dei ministri di venerdì”, e “se ne riparlerà ad ottobre”.

Il Fatto: “Il buco nero delle Municipalizzate”. Si ricorda che nei piani di Cottarelli la “sforbiciata” dovrebbe ridurre quelli che il quotidiano definisce “generatori di debiti e poltrone” da 8 mila a mille: “se ci riuscisse verrebbero cancellati di colpo tra i 21 e i 30 mila incarichi, per un risparmio intorno ai 500 milioni di euro”.

Da segnalare sul Sole una riflessione di Franco Debenedetti, dedicata al dibattito economico dopo il vertice di Jackson Hole: “Yellen e Draghi virano sul micro. Primo obiettivo: occupazione. Serve ossigeno per le nostre Pmi”.

Infine, su La Repubblica un’intervista all’ex presidente del Consiglio Mario Monti: “Renzi finora un bravo allenatore, ma la squadra deve segnare qualche gol”, “l’emergenza è dello stesso livello del 2011. L’economia non si riprende e zavorra l’occupazione”, “Il premier sa instillare orgoglio e speranza. Però non bastano quelle belle slides, serve concretezza”.

Scuola

Scrive La Repubblica in prima pagina che “la sorpresa di Renzi sulla scuola è grande: centomila precari assunti subito. Vuol dire in cattedra il prossimo anno, primo settembre 2015. Centomila nuovi insegnanti a tempo indeterminato, alle elementari, medie e superiori. Il ministro Giannini, anticipando al Meeting di Cl le linee guida, aveva raccontato solo la prima parte della verità. La verità più dolorosa: ‘Dobbiamo eliminare le supplenze, agente patogeno del sistema scolastico, batterio da estirpare’. Ma non aveva aggiunto, spiegando meglio una frase ansiogena per seicentomila precari in attesa, come li avrebbe sostituiti: ‘Non voglio rovinare la sorpresa al premier’, si era giustificata, La sorpresa, l’altra mezza verità che sarò annunciata venerdì in Consiglio dei ministri, è questa: con il miliardo e mezzo di euro fin qui trovato per la scuola (aggiornamento alle 22 di ieri), il ministero dell’Istruzione prenderà centomila precari dalle Gae (le Graduatorie ad esaurimento che oggi ospitano 155 mila aspiranti insegnanti) e vincitori dell’ultimo concorsone rimasti ancora fuori dall’insegnamento (altri novemila) e li porterà in cattedra, a ruolo, definitivamente”. Il quotidiano scrive anche che aumenteranno gli insegnanti di sostegno: quest’anno saranno 90 mila anziché 67 mila. Alla pagina seguente, in un retroscena si legge: “Chi lavora di più prenderà più soldi, rivoluzione del merito, ecco come funzionerà”, “Il parametro più gettonato resta quello quantitativo, si riparte dal decreto del governo Monti”. Il decreto sulle semplificazioni varato dal governo Monti -ricorda il quotidiano – si riproponeva di potenziare l’autonomia scolastica “anche attraverso l’eventuale ridefinizione degli aspetti connessi ai trasferimenti delle risorse alle medesime, previo apposito progetto sperimentale”, potenziando “l’autonomia gestionale secondo criteri di flessibilità e valorizzando la responsabilità e la professionalità del personale della scuola”.

Secondo Il Sole il piano del Ministero prevede 100 mila assunzioni nel triennio 2015-2018 che serviranno per coprire le supplenze annuali, il sostegno, gli ‘spezzoni’ di cattedre, il turn over. Metà dei posti sarà assegnato pescando nella graduatoria ad esaurimenti n cui ci sono oltre 150 mila insegnanti precari, l’altra metà arriverà con un nuovo concorso, probabilmente bandito nel 2015. Il piano di assunzioni costerebbe circa 570 milioni. Per questo c’è bisogno di una “interlocuzione” con il ministero dell’Economa, per “trovare le necessarie coperture”.

Gaza

Le prime tre pagine de La Repubblica sono dedicate alla tregua raggiunta grazie alla mediazione egiziana nel conflitto tra Israele e Hamas: “Gaza, è tregua permanente. Tra Israele e Hamas accordo dopo 50 giorni di guerra. Palestinesi in festa. I miliziani: ‘Abbiamo vinto noi’. Netanyahu: ‘Pronti a colpire se ci attaccheranno’”. Malgrado i festeggiamenti di Hamas, che canta vittoria soprattutto a scopo di “propaganda” per quel milione e mezzo di abitanti di Gaza che sono state le vere vittime del conflitto – scrive Alberto Flores d’Aracais – l’organizzazione politico-militare ha poco da festeggiare “sul piano politico-militare”: ha dovuto accettare le condizioni che finora aveva rifiutato, quelle mediate dall’Egitto del nuovo alleato di Israele, il presidente Al-Sisi, ovvero l’apertura dei valichi della frontiera sia dalla parte israeliana che da quella egiziana per consentire subito il passaggio di aiuti umanitari e materiale per la ricostruzione, l’estensione della zona di pesca da tre a sei miglia, il proseguimento di negoziati su altri punti come il porto commerciale e l’aeroporto, voluto da Hamas stessa, così come la demilitarizzazione della Striscia di Gaza chiesta da Israele. Fabio Scuto descrive quindi il “personaggio” Al Sisi: “La lunga mediazione del ‘Leone d’Egitto’. Così Al Sisi ha piegato i leader integralisti”, “Per quasi due mesi il presidente egiziano ha tessuto la sua rete diplomatica, facendo ritrovare al Cairo il ruolo di guida del Medio Oriente perduto negli ultimi anni”. Al Sisi, “il peggior nemico del movimento islamista nella Striscia, il ‘vituperato’ generale che non solo ha spodestato con un golpe largamente sostenuto dalla popolazione la Fratellanza Musulmana dalla guida dell’Egitto lo scorso anno ma – con la sua linea ‘tolleranza zero’ sul contrabbando tra il Sinai e Gaza – ha tagliato alla radice le fonti di finanziamento di Hamas che da quel traffico guadagnava (in tasse) quasi 250 milioni di dollari al mese, larga parte dei quali usati per comprare armi e missili, soprattutto dalla Libia”. Scuto ricorda anche che l’intesa su Gaza è stata raggiunta anche grazie alla mediazione “indiretta” con il rivale Qatar, con cui i rapporti sono tesi dopo l’estromissione del presidente Morsi, esponente della Fratellanza musulmana: su questo fronte la mediazione è stata portata avanti dal presidente dell’Anp Abu Mazen, che si era recato a Doha per incontrare il leader di Hamas in esilio Khaled Meshaal. Il quotidiano intervista peraltro lo storico israeliano Tom Negev, che dice: “Gaza è una spina nel fianco d’Israele dal 1948, cioè da quando centinaia di migliaia di palestinesi profughi da Israele si riversarono in quella piccola striscia”, “lasciare irrisolto il problema di Gaza è stato forse il nostro più grande errore”. Lucio Caracciolo, nella sua analisi, ancora su La Repubblica, sottolinea che “il rischio per Netanyahu è che la mala gestione della partita di Gaza avvicini lo spettro di un compromesso tra Stati Uniti e Iran”.

La Stampa, con il suo corrispondente da Gerusalemme Maurizio Molinari: “Intesa al Cairo, Gaza verso la pace”, “Sì a una tregua duratura. Hamas ottiene la riapertura dei valichi: ‘Grande vittoria’. Via libera di Israele agli aiuti”. In taglio basso: “La rivincita di Abu Mazen. Prende il controllo di Rafah e può frenare gli islamisti”. Hamas e Israele hanno concordato che saranno le forze di Abu Mazen a presidiare il valico di Rafah, maggiore accesso commerciale di Gaza al mondo arabo: “ciò significa il ritorno dei militari di Al Fatah a Gaza per la prima volta dopo l’espulsione nel 2007 – a seguito del colpo di mano di Hamas – con la prospettiva di assumere il controllo di tutti i confini della Striscia, con l’Egitto e Israele”.

Sul Corriere un “bilancio” di vincitori e vinti nel conflitto tra Israele ed Hamas: “sia gli estremisti che il governo israeliano reclamano il successo”, e lo storico israeliano Benny Morris dice che l’uccisione di tre comandanti militari la scorsa settimana, e il destino del Capo di stato maggiore dell’esercito regolare Deif, ancora incerto, “sembrano aver spinto l’organizzazione ad accettare la proposta egiziana che sette giorni fa aveva respinto”. Secondo Morris anche Hamas deve tener conto delle “pressioni della popolazione di Gaza, sfiancata dalla distruzione di almeno 20 mila abitazioni”, e anche se le esecuzioni sommarie dei presunti collaborazionisti a Haza hanno dato un messaggio a “chiunque volesse protestare” alla fine Hamas ha capito che “Israele non avrebbe concesso di più e che i bombardamenti sarebbero continuati”.
Netanyahu voleva “porre fine a questa guerra d’attrito”, e l’alternativa al cessate il fuoco era una vera invasione, ma il premier “non ha lo stomaco per ordinare una operazione del genere. Adesso pagherà in termini di voti”. Secondo Morris Netanyhau perderà le elezioni.
Abu Mazen “può solo guadagnare dalla situazione”, visto che è stato lui a spingere per la tregua. Può rimettere piede a Gaza, e impedire ad Hamas di armarsi di nuovo.

Ue

La Repubblica scrive che “a pochi giorni dal Consiglio europeo sono caduti i veti sulla candidatura del nostro ministro degli Esteri” Federica Mogherini all’incarico di Alto Commissario alla politica estera: “contro la proposta italiana è rimasta in piedi l’opposizione di alcuni Paesi dell’Est, in particolare la Lituania”. Si riferiscono poi le parole del presidente del Consiglio: “Non accettiamo lezioni da nessuno, sappiamo bene quali sono le priorità in Italia e nella Ue”.

Sul Sole 24 Ore: “Mogherini a un passo dalla nomina Ue. Germania e Francia la sostengono alla carica di Alto Rappresentante per la politica estera. Per la Farnesina in pole Pistelli”. “I punti a suo favore” sarebbero, secondo il quotidiano, l’appartenenza al Pse e il fatto di essere una donna (devono essere almeno 9 nella Commissione). La limitata esperienza e il fatto che si pensava di offrire quella posizione ad un esponente dell’Europa orientale erano fattori che giocavano contro.

Il Corriere riproduce la pagina del sito del FT dedicata al tema, e scrive che secondo il quotidiano britannico “i leader Ue” sono “pronti a nominare Mogherini”.

Francia

Due pagine de La Repubblica sono dedicate alla crisi di governo in Francia, conclusasi con il reincarico a Manuel Valls: “Francia, nel rimpasto di Valls solo fedelissimi dell’Eliseo, un banchiere all’Economia”, “Il dissidente Montebourg sostituito con Emmanuel Macron. Fuori l’ala sinistra del Ps. Ora in Parlamento il governo rischia”. Segnaliamo dal quotidiano anche l’analisi di Bernardo Valli, che evidenza come nessun presidente della Repubblica abbia fatto peggio di Hollande: neppure un francese su cinque approva la sua azione né il suo stile. E ancora da La Repubblica segnaliamo un’intervista ad Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, che dice: “la gauche risorge puntando sui diritti” e sostiene che le differenze tra i dissidenti e la linea di Hollande sono “minime” perché “a sinistra quasi tutti sono d’accordo sul fatto che bisogna aiutare le imprese per rilanciare l’attività economica, sostenendo però anche le famiglie e il ceto medio”.

La Stampa: “Choc all’Economia, Hollande sceglie un banchiere liberale”, “consigliere dell’Eliseo dal 2102, ha lavorato per Rotschild”, “quella del presidente è soprattutto una sfida alla sinistra del Partito”.

Siria, Libia, Usa

Il Foglio si sofferma sulla politica estera di Obama rispetto alla Siria e al terrorismo, e scrive che un anno dopo la “strage chimica alla periferia di Damasco” “il mondo è capovolto. La Siria, che accusava Obama di essere un aggressore imperialista al servizio dei sionisti, ora offre collaborazione e invita gli americani a bombardare sul suo territorio, previa notifica di cortesia. L’America è indecisa, senza un indirizzo preciso di politica estera. Il sito Politico scrive che la visione di Obama è ‘confusa’ e racconta di attacchi bipartisan che arrivano da democratici e repubblicani, che temono che il messaggio proiettato dall’America all’estero sia ormai incomprensibile (e quindi debole)”.
“Due settimane fa, in un confronto a muso duro con alcuni membri del Congresso, Obama aveva detto che addestrare i ribelli perché combattessero lo Stato islamico sarebbe stata ‘horseshit!’, una stronzata. Obama era nervoso dopo un’intervista del suo ex Segretario di Stato, Hillary Clinton, in cui la senatrice spiegava che durante il primo mandato una parte importante dell’Amministrazione premeva per armare e addestrare i ribelli, ma il presidente si opponeva. Tra i favorevoli al piano c’erano l’allora direttore della Cia, David Petraeus, l’allora segretario alla Difesa, Leon Panetta e l’attuale capo di stato maggiore Martin Dempsey”.

Su Il Giornale: “In Siria aerei Usa in azione per accerchiare i tagliagole. La Casa Bianca nega un accordo con Assad. Ma l’operazione è partita appena dopo l’ok di Damasco. Ucciso negli scontri un americano che combatteva con l’Isis”. In un commento il quotidiano scrive anche che mentre aerei Usa si “coordinano con il ‘cattivissimo’ di ieri (Bashar Al Assad), aerei egiziani ben sovvenzionati da Washington bombardano Tripoli senza informare la Casa Bianca”, e che anche questi avvenimenti “trasmettono quell’idea di sbandamento della politica estera obamiana rilevato anche dai media più snob e liberal” Usa.

Sul Corriere si scrive che l’Occidente, America in testa, “tutto vuole tranne che tornare militarmente in Libia”, e ieri gli Usa, insieme ai governi di Francia, Gran Bretagna e Germania hanno “condannato duramente l’escalation di combattimenti e violenze” in Libia, ma anche criticato le “interferenze esterne” che “esasperano le divisioni attuali e minano la transizione democratica”. Un riferimento, seppur vago, ad Egitto ed Emirati e ai raid compiuti in segreto in Tripolitania a partire dal 18 agosto dagli aerei di Abu Dhabi, con il sostegno logistico dell’Egitto.

Sul Sole una analisi di Vittorio Emanuele Parsi, sugli Usa: “Oltre la collaborazione con la Siria. Il dilemma strategico del dialogo con l’Iran”.

Ucraina

Si è tenuto ieri a Minsk un lungo faccia a faccia tra il presidente russo e il suo omologo ucraino, che La Repubblica racconta così: “Putin, la provocazione prima del vertice”, “L’esercito russo sconfina nel Paese: arrestati dieci paracadutisti. La replica di Mosca: ‘Solo un errore’. A Minsk stretta di mano fra il leader del Cremlino e il presidente Poroshenko: ‘Piano per la tregua al più presto’”.

La Stampa intervista il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen: “Mosca destabilizza Kiev. Così la Nato blinderà il confine Est dell’Europa”, “Stiamo creando una ‘punta di lancia’ in grado di reagire in poche ore”, “Mosca ci considera non più partner ma avversari. È una loro scelta”, “È un periodo di ‘tempo cattivo’. Gli Stati alzino al 25 le spese per la Difesa”.

Su Il Giornale si analizza la “stretta di mano” tra Putin e Poroshenko, ieri a Minsk e sui “veri ostacoli” alla pace tra Kiev e Mosca. Mosca, scrive il quotidiano, teme che la associazione dell’Ucraina alla Ue, promessa dal presidente già per settembre, danneggerebbe l’economia russa per circa 2 miliardi di euro. Il presidente ucraino a sua volta è “pressato dai nazionalisti” di Svoboda e Pravy Sektor, che chiedono al presidente di seguire la linea dura nei rapporti con il Cremlino. E a spingere Kiev ad un accordo, anche valutando l’ipotesi di un ‘ordinamento federale’ del Paese, sono i leader europei, Merkel in testa.

Anche sul Sole: “Il patto Ue-Ucraina costa caro a Mosca. Il leader del Cremlino teme che la riduzione di barriere tra ucraini ed europei si rifletta sul mercato russo”.

Il Corriere: “Primo disgelo tra Mosca e Kiev. ‘Presto le trattative per la pace’. All’incontro Putin-Poroshenko sbloccati i colloqui sul gas. Nel vertice in Bielorussia i due leader d’accordo per ‘fermare il bagno di sangue'”. Secondo il quotidiano comunque “la soluzione della crisi non si prospetta però rapida”, anche perché ieri è giunta la notizia della cattura da parte dell’esercito ucraino di 10 parà russi che per Mosca avrebbero sconfinato “per sbaglio”.

Da segnalare sul Sole una analisi di Mario Platero dedicata alla “sfida russa della Nato. Il summit atlantico del 4 e 5 settembre in Galles sarà decisivo” per il futuro e la stabilità europea.

E poi

I bianchi diventano minoranza nelle scuole Usa, conseguenza della rapida crescita della popolazione ispanica e – in misura minore – asiatica. Sono i dati citati in un articolo del Corriere della Sera (“Bianchi minoranza nelle scuole Usa”) dedicato alle tensioni razziali nel Paese, e alla “segregazione razziale” che esiste di fatto: secondo uno studio della Università della California, citato dal NYT, uno studente afroamericano su sei viene istruito in scuole dove il 99 per cento dei compagni non è bianco.

Sul Corriere, Sergio Romano si occupa di Turchia e delle sue ambizioni regionali: “Erdogan e Davutoglu hanno creduto che la Turchia, sostenendo le rivolte arabe, avrebbe potuto prenderne la guida”. Poi Istanbul “ha sostenuto la Fratellanza Musulmana e il governo di Mohammed Morsi, ha abbandonato il presidente siriano Bashar Al Assad, con cui Erdogan aveva avuto eccellenti rapporti, è diventata la retrovia della guerra siriana e l’ inevitabile complice delle sue componenti più radicali. Voleva essere amica di tutti e ha oggi più nemici, in Africa del Nord e nel Golfo Persico, di quanti ne avesse prima dell’avvento di Erdogan al potere”.

Sulle Cronache del Garantista, Piero Sansonetti interviene nel dibattito su Berlinguer che va valutato per quel che ha fatto e non per le sue parole. È stato, dice Sansonetti, “l’ultimo riformista”, l’ultimo a fare le riforme sociali “che aveva sognato Turati”, dalla riforma della sanità al punto unico di scala mobile fino all’aborto, quando “fu decisivo” nello “schierare il Pci a fianco di Pannella e contro Fanfani per difendere il divorzio nel referendum che lui non avrebbe voluto e fece di tutto per evitare”.

  1. Ex Consiglieri Provinciali, fuori dai cda delle Società Partecipate
    Consiglieri Provinciali uscenti con incarichi nelle Partecipate.
    “Come si sa, in base all’art.141 comma5 del Dl 267/2000, i Consiglieri Provinciali decaduti a seguito dello scioglimento dei Consigli Provinciali, decadono anche da eventuali incarichi loro attribuiti (cda Società Partecipate, Aeroporti e quant’altro) restando in carica solo fino alla nomina del successore.
    Purtroppo, per la normativa poco chiara, molti Consiglieri, continuano a svolgere il loro mandato nelle partecipate, trascurando il fatto di essere decaduti e creando anche delle disparità con i Consiglieri Provinciali appena usciti.
    Sarebbe perciò opportuno che una circolare interpretativa sancisse l’immediata cessazione dalla carica, onde evitare che ruoli professionali continuino ad essere svolti da politici decaduti dal mandato pubblico.”

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