La via tunisina: parità tra cittadine e cittadini in Costituzione

La Repubblica: “Spending review, ecco il piano”, “tutti gli sprechi dei ministeri”. “Dopo l’intervista a Saccomanni partono i tagli di Cottarelli. La destra attacca il ministro: ‘Fuori dalla realtà’. Squinzi scettico sul calo delle imposte”. E poi: “4Tassa sulla casa, aliquota al 3 per mille”. A centro pagina: “Berani sta meglio. Renzi: il Pd ti aspetta”. Il leader Pd ha parlato con la famiglia, “nessun danno neurologico”.

 

L’Unità: “Bersani migliora e chiede della Juve”. Il titolo più grande: “Letta-Renzi, prove di patto”. “Iniziano gli incontri per preparare il contratto di coalizione ma prima il premier vuole un chiarimento con il leader del Pd”.

 

Il Corriere della Sera: “La mina del modello spagnolo. Riforma elettorale: il Nuovo centrodestra contro la trattativa tra Pd e Forza Italia”. Ancora sulla politica, in evidenza le difficoltà del Movimento 5 Stelle in Sardegna, dove si vota tra poco più di un mese: “I Cinque Stelle divisi non presentano la lista in Sardegna”.

 

La Stampa: “Governo, patto entro 20 giorni. Letta: ma non sarà un contratto alla tedesca, avrà una formula originale. Bersani migliora, la moglie: chiede della Juve. Renzi: l’aspetto a Roma”. Di spalla: “Primavere arabe. Uomini-donne, in Tunisia arriva la parità”.

 

Il Giornale: “Basta Saccomanni. Il ministro sfoggia ottimismo e racconta favole sulla ripresa. La verità? Ci supera anche la Spagna. Unioni gay, Alfano pronto al patto salva-governo”. A centro pagina: “Finta pace del Pd al capezzale di Bersani”. In evidenza in prima anche un titolo su Forza Italia e la sua strategia: “Berlusconi prepara il voto. ‘Ora torniamo tra la gente’”.

 

Il Sole 24 Ore: “Debiti fiscali e crediti Pa: via alle compensazioni. Nel 2013 rimborsi Iva alle imprese da 11,5 miliardi. Le Entrate e la Ragioneria danno l’ok, dopo mesi, al decreto che consente lo scambio”. Di spalla: “Letta-Renzi, patto difficile. Sulla riforma elettorale l’incognita della Consulta”. A centro pagina: “Pensioni nella spending review. Allo studio una revisione per assegni più alti del sistema retributivo, reversibilità e cumulo”.

 

Il Fatto quotidiano: “I corazzieri di Re Giorgio all’assalto del ‘Fatto’”. “Su Repubblica Mario Pirani, amico di vecchia data di Napolitano, chiede che contro il nostro giornale venga applicato il reato di vilipendio al capo dello Stato. E’ solo l’ultima minaccia per chi osa criticare quel che dice e fa il Quirinale: dalle manovre contro l’indagine sulla trattativa tra Stato e mafia alle ingerenze su governo e Parlamento”. A centro pagina: “Legge elettorale, l’accordo Renzi-B fa tremare Letta”.

 

Pd, governo riforme

 

La Repubblica intervista il Presidente dell’Assemblea nazionale Pd, Gianni Cuperlo e sintetizza così i contenuti del colloquio: “Cuperlo si schiera con Fassina: ‘Tutto il Pd deve sostenere Letta oppure stop e andiamo a votare’. E a Renzi: basta dividersi tra chi critica e chi prende sputi”. Il viceministro Fassina ha fatto bene a dimettersi solo per una battuta di Renzi? Cuperlo: “La battuta era sgraziata, il rispetto per gli altri riflette l’idea di partito e del rapporto tra le persone: una cosa è discutere, altra smarrire la distanza tra comandare e dirigere”. Fassina ha avuto ragione o torto a lasciare? “E’ una scelta da rispettare, anche se spero possa ripensarci dopo un confronto franco. Perché* su un punto ha ragione: una divisione delle parti dove chi sta fuori dal governo parla di marchette, chi è al governo piglia sputi, e poi ci sono anche i furbi che, stando al governo, applaudono agli insulti, non può funzionare”. Per coinvolgere Renzi bisognerebbe proporgli di entrare al governo come ministro o vicepremier? “Io sono convinto che si debba fare un mestiere per volta. Se uno è il segretario del più grande partito del Paese non ha tempo e modo di fare altro”. Quale modello elettorale? “Sulla legge elettorale si parta dalla maggioranza, poi è doveroso sulle regole trovare un consenso alto. Se non vuoi morire di larghe intese la via da seguire è il doppio turno”.

Anche sul Corriere della Sera: “La barriera di Cuperlo: il Pd è per il doppio turno”.

 

Su Il Giornale: “Trappola alfaniana per Renzi: metterlo subito al posto di Letta”, “il leader del Pd respinge l’invito del nuovo Centrodestra di conquistare Palazzo Chigi senza passare dalle urne. Il premier punta a rallentare l’iter della riforma elettorale”.

In questo retroscena Laura Cesaretti spiega che l’asse Letta-Alfano si prepara a cercare di incastrare il sindaco in una defatigante mediazione su un contratto di governo e soprattutto a rallentare la corsa verso la riforma elettorale. Per Alfano il tempo è vitale: il Nuovo centrodestra ora potrebbe solo andare al suicidio elettorale o tornare nelle braccia di Berlusconi. I dirigenti Ncd sperano in una manina giudiziaria che tolga definitivamente di mezzo il Cavaliere. Quanto a Renzi, sa che l’ostruzionismo alfaniano sulla legge elettorale sarà durissimo e non scarta il piano B di dover tenere in piedi Letta per un altro anno”.

Su La Stampa si descrivono i punti di vista diversi di segretario Pd e premier: il primo vorrebbe un ‘contratto alla tedesca’, ovvero qualcosa di analogo alla lunga istruttoria che ha preceduto la firma del contratto della nuova coalizione in Germania. Il Presidente del consiglio, invece, ha spiegato che “il contratto non sarà una copia di quello tedesco, ma sarà una formula originale nel metodo e nei contenuti”. Ciò su cui i due sembrano essere d’accordo è la tempistica: il contratto va chiuso entro il 25-26 gennaio, perché l’obiettivo di Letta è quello di presentarsi all’appuntamento con la Commissione Europea, il 29 gennaio, con in tasca il contratto firmato da tutti i contraenti.

Il Corriere della Sera ricorda che l’orientamento di massima di Forza Italia sul fronte della riforma elettorale è per il modello spagnolo. E il quotidiano intervista il ministro delle Infrastrutture, del Ncd, Maurizio Lupi: “’Si discute solo sul sindaco d’Italia. Irresponsabile accettare ricatti”. Dice Lupi: “Nessuno immagini che, dopo le primarie, questo sia diventato un monocolore Pd: non lo è. Nel contratto di programma di saranno pochi punti, noi vorremmo i nostri temi – crescita, imprese, categorie, e soprattutto famiglia – e non arretreremo di un millimetro”. Sulle unioni civili siete disposti a trattare? “Valuteremo, certo. Sui diritti civili individuali non abbiamo preclusioni. Altra cosa è mettere in discussione il concetto di famiglia o toccare il tema delle adozioni”. Sulla accelerazione di Renzi per la riforma elettorale: “Non vogliamo credere che – se si vara in tempi brevi una legge elettorale- questo porterà ad un voto anticipato a maggio o a novembre, che sarebbe deleterio. E non ci crediamo perché noi, come il Pd, ci siamo impegnati proprio perché il governi duri 14 mesi per portare a termine riforme e provvedimenti economici”.

Sulla ipotesi di una riforma elettorale che scelga il sistema spagnolo Lupi esprime la sua contrarietà perché – spiega – crea un bipartitismo che non è nella storia e nella realtà del nostro Paese, sostanzialmente bipolare. Invece, sul modello del sindaco d’Italia – che ha dimostrato di funzionare bene e che può essere migliorato inserendo le preferenze e un premio non distorsivo – esiste già nella maggioranza una sostanziale condivisione”

Su Il Giornale: “Votare in maggio è possibile, ecco il percorso”, “con l’ok rapido alla nuova legge Napolitano scioglierebbe le Camere in marzo”.

 

Il Sole 24 Ore ricorda invece che sulla legge elettorale c’è quella che definisce l’incognita Consulta: si attendono infatti per metà gennaio le motivazioni con la cui la Corte Costituzionale ha bocciato la legge elettorale in vigore: le motivazioni, sottolinea il quotidiano, potrebbero indirettamente bocciare uno o due dei tre modelli messi in campo da Matteo Renzi (sistema spagnolo, mattarellum rivisto, doppio turno di coalizione). La Corte potrebbe anche bocciare le liste bloccate del modello spagnolo. E nel mirino dei giudici costituzionali potrebbe anche finire il premio di maggioranza. In questo caso rimarrebbe in campo solo il modello dei sindaci.

Sulle tre proposte di Renzi, si segnala sulla stessa pagina una analisi di Roberto D’Alimonte, dove si sottolinea che l’ipotesi spagnola alla lunga favorisce il bipartitismo, mentre il doppio turno di lista penalizza meno i piccoli partiti.

Il Corriere ricorda che Enrico Letta ritiene poco praticabile il modello spagnolo, anche per il no del Nuovo centrodestra.

 

Economia

 

Il Sole 24 Ore spiega che Letta è al lavoro sul patto di governo e che la priorità viene data a occupazione e cuneo fiscale. Il premier condivide la linea espressa ieri dal ministro dell’Economia Saccomanni, che ieri preannunciava un abbassamento delle tasse per il 2014 dopo i sacrifici del 2013. A marzo dovrebbe essere finalmente pronta la spending review cui sta lavorando il commissario Cottarelli, che potrà rendere disponibili nuove risorse per la riduzione del cuneo fiscale.

Su La Repubblica: “Scatta la spending review di Cottarelli, primo obiettivo le spese di Palazzo Chigi: dalle forniture di caffè al football Usa, tutti i tagli alla sede del governo”. Il quotidiano scrive che Cottarelli si è avvalso anche della collaborazione di Paolo de Ioanna, ex capo di gabinetto dei ministri del tesoro Ciampi e Padoa Schioppa, per la revisione delle spese della presidenza del consiglio: dalle forniture di acqua minerale a quella di saponi per lavastoviglie, dalle campagne di comunicazione di Palazzo Chigi alle fotocopiatrici.

 

Internazionale

 

Sulla prima pagina de La Stampa grande attenzione per l’approvazione dell’articolo 20 della nuova costituzione tunisina: “Tutti i cittadini e le cittadine hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Sono uguali davanti alla legge senza alcuna discriminazione”. A differenza dell’Egitto, qui il partito di ispirazione islamista Ennahda è riuscito a scongiurare il caos ed ha scelto la via del dialogo: la Costituzione, che dovrebbe essere pronta per il 14 gennaio, terzo anniversario della rivoluzione, completa il dialogo nazionale iniziato alcune settimane fa con la scelta di Ennahda di sciogliere il governo di cui aveva il timone. Francesca Paci intervista il deputato di Ennahda Osama Al Saghir: “Abbiamo discusso tanto, anche dentro Ennahda, se introdurre un articolo che menzionasse la Sharia, ma ha prevalso il no. Perché? Non perché siamo contrari, anzi. Ma oggi sarebbe sbagliato. La Sharia qui è incompresa, divide, meglio invece proseguire sulla via della rivoluzione del 2011 che ci ha uniti.

La Repubblica riferisce che ieri gli islamisti presenti all’assemblea nazionale costituente hanno anche rinunciato ad iscrivere nella Carta la punizione per “apostasia”.

Sul Corriere: “La parità tra uomo e donna nella Costituzione tunisina”, “è la prima volta che accade in un Paese arabo”, “accordo tra il partito islamico e i gruppi laici”.

 

Il Corriere della Sera si occupa della cosiddetta conferenza sulla Siria “Ginevra 2”. Il segretario di Stato Usa Kerry si è reso protagonista di una “apertura” all’Iran, offrendo a questo Paese un ruolo, sia pur laterale, nella soluzione della crisi siriana. Ma Teheran ha risposto, almeno in apparenza, con un rifiuto, spiegando che il Paese è pronto a contribuire al processo di pace, ma essendo parte di Ginevra 2, cioè non accettando un ruolo dietro le quinte che non sarebbe dignitoso per l’Iran.

La situazione è di stallo, visto che molti dei protagonisti del vertice (e gli stessi Usa) non sono disposti ad ammettere al tavolo della trattativa chi non condivida la prospettiva di una transizione con l’uscita di scena di Assad. L’apertura di Kerry all’Iran ha indispettito l’Arabia Saudita, ed ha spinto il Syrian National Council, il blocco delle forze anti-Assad, spalleggiato anche dai sauditi, ad annunciare che non parteciperà a Ginevra 2.

Su L’Unità Umberto de Giovannangeli intervista Ahmad Jarba, riconfermato presidente del Syrian National Council. Jarba chiede ai promotori di Ginevra 2 Usa e Russia di farsi innanzitutto “garanti di uno stop alle operazioni belliche”. “A Ginevra si negozierà, ma con chi? Nel futuro della nuova Siria non può esserci nessun ruolo, nessuno spazio per Assad”, “per quanto ci riguarda questa transizione è inconciliabile con la reiterata pretesa di Assad di esserne parte”. A coloro che, anche in Europa, ritengono essenziale un coinvolgimento di Teheran a Ginevra due, Jarba risponde: “L’Iran combatte a fianco di Assad, ufficiali delle guardie della rivoluzione combattono con il regime, l’Iran occupa il mio Paese. Oggi l’Iran è parte del problema, non della soluzione. Ritiri i suoi uomini dalla Siria e agisca perché faccia lo stesso Hezbollah”.

De Giovannangeli ricorda che Paesi del mondo arabo finanziano ed armano il fronte jihadista, e Jarba risponde: “noi vogliamo costruire una Siria democratica, pluralista, e non certo un califfato jihadista. Ma se questi gruppi hanno preso piede in Siria è anche perché hanno approfittato delle incertezze con cui la comunità internazionale ha affrontato la crisi siriana”.

Per quel che riguarda i jihadisti, Jarba sottolinea che in molte situazioni essi hanno il sostegno diretto o indiretto del regime perché ad Assad fa gioco presentarsi al mondo come unico baluardo del pericolo jihadista”. La verità è che “Assad e i jihadisti hanno un interesse comune, regionalizzare il conflitto. E quel che sta avvenendo in Libano ne è la prova”.

 

Su La Stampa segnaliamo una corrispondenza da New York dove si racconta come i peggiori timori degli Stati Uniti si stiano realizzando, in Iraq come in Siria: secondo il WSJ in Iraq i militanti di Al Qaeda hanno messo le mani sulle armi lasciate dagli Usa al governo iracheno. E’ accaduto dopo che formazioni affiliate ad Al Qaeda hanno conquistato Falluja. Non si tratta dei missili Hellfire in arrivo, dei droni, e tanto meno dei caccia F16 che Washington non ha ancora consegnato ma di armi automatiche e pezzi di artiglieria lasciati in dotazione dall’esercito Usa.

Nell’autunno scorso, a seguito dell’offensiva che gruppi legati ad Al Qaeda stavano lanciano, il premier iracheno Al Maliki aveva chiesto ad Obama di aiutarlo a contenere gli attacchi dei terroristi: la Casa Bianca aveva accettato di fornire 75 missili Hellfire e 10 droni per la ricognizione Scan Eagle. Queste forniture sono già arrivate, mentre i 36 caccia F16 che dovrebbero costituire l’aviazione di Baghdad arriveranno solo nel prossimo autunno. Ma, come ha sottolineato il segretario di Stato Kerry, ora tocca a Baghdad di dimostrare che è in grado di mantenere il controllo del proprio territorio (“Questa è una battaglia che appartiene agli iracheni”).

Sul Sole 24 Ore si scrive invece che in Iraq l’America ha perso anche il petrolio: mentre Al Qaeda recupera terreno sul campo, le compagnie cinesi si sono assicurate i maggiori contratti energetici.

Exxon ha ceduto il 25 per cento del maxigiacimento di West Qurna alla cinese Petrochina, che sta già sviluppando altri campi.

 

L’inserto R2 de La Repubblica ricorda che tra un mese iniziano le olimpiadi invernali di Sochi. L’inviato, Pietro del Re, è entrato nel quartiere blindato dei giochi: “un mix di gigantismo, spese folli e ossessione per la sicurezza”. Insieme al reportage, un lungo commento di Viktor Erofeev dal titolo “L’occidente in silenzio sui peccati del Cremlino”.

 

Sul Corriere della Sera, Danilo Taino. “I Bric? Sorpassati. E’ partita la carica dei Mint”. Nel 2001 venne coniato l’acronimo Bric, che indicava Brasile, Russia, India e Cina: vennero scelti comee i veri Paesi emergenti, beneficiari della globalizzazione che galvanizzò le loro economie. Poi fu compreso il Sud Africa, e i Bric diventarono Brics. Ma altri gruppi di Paesi sono ora identificati come le stelle future della globalizzazione. Mint sta per Messico, Indonesia Nigeria e Turchia. L’idea dei Mint è stata lanciata in questi giorni da Gene O’Neil, l’economista che inventò i Bric quando era capo del dipartimento economico della banca Goldman Sachs. Quel che unisce i Paesi Mint sono innanzitutto i grandi numeri della demografia e le enormi masse di giovani che garantiscono la manodopera attiva per i decenni a venire. Ma anche la loro geografia è economicamente vantaggiosa: il Messico è al confine con gli Usa e nell’area di libertà commerciale nordamericana Nafta, l’Indonesia è nel cuore del sudest asiatico, centro della maggiore crescita economica mondiale, la Nigeria potenzialmente è leader del rinascimento africano di cui tutti parlano, la Turchia è legata al mercato europeo ed è un ponte verso l’Asia. Punti deboli dei Mint: corruzione, burocrazie inefficienti, infrastrutture spesso inadeguate.

 

Su La Stampa si ricorda che il segretario al tesoro Usa Jack Lew sarà oggi a Parigi per incontrare il presidente Hollande e domani incontrerà il collega tedesco Schauble. Una fonte del Dipartimento al Tesoro ha spiegato così gli obiettivi della missione: “Noi pensiamo che il debole incremento della domanda interna in Germania abbia impedito un aggiustamento più forte e bilanciato nell’area euro, e frenato in generale la crescita globale”.

Lew chiederà probabilmente alla Germania di stimolare la domanda in modo da ridurre il suo surplus nella bilancia commerciale e favorire le importazioni dagli altri Paesi europei, che hanno bisogno di vendere i loro prodotti per rilanciare le loro economie stagnanti e completare il consolidamento dei loro bilanci.

Sulla stessa pagina, si racconta di come la questione immigrazione stia dividendo il governo tedesco: i cristiano sociali – Csu, alleati della Cdu della Merkel – sono tentati dalla linea del premier britannico Cameron, che era tornato ad invocare il limite alla libera circolazione di Bulgari e Romeni nel Regno Unito. Ma gli imprenditori tedeschi contestano la Csu e spiegano che la Germania ha bisogno di 1 milione e mezzo di immigrati qualificati per consolidare il welfare State e accompagnare la crescita economica. Dal 1 gennaio romeni e bulgari godono della piena facoltà di muoversi nel mercato comunitario. Hanno tre mesi per diventare autosufficienti, pena l’espulsione.

Il portavoce per il welfare della Commissione, Todd, ha respinto le accuse di Cameron, secondo cui l’ondata di immigrazione succhierebbe linfa al sistema previdenziale: “Sono tre milioni i bulgari e romeni che già vivono in altri Paesi Ue, il grosso di chi voleva lasciare la madrepatria lo ha già fatto”, “la libera circolazione è un principio cardine stabilito nei trattati ratificati dai parlamenti dei 28 stati, e quindi qualsiasi modifica passa per un negoziato con tutti”.

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