Effetto Fed

Il Sole 24 Ore: “Cadono le Borse, volano i tassi. Pesano Fed e Cina, lo spread balza a 288. Milano crolla del 3,1 per cento, pesante tutta l’Europa. Dollaro su, l’euro scende a 1.32”.

 

La Repubblica: “Effetto Fed, cadono le Borse. Milano perde il 3 per cento e lo spread si riavvicina a quota 300. Bruciati 230 miliardi”. “Reazioni negative alla politica annunciata da Bernanke: fa paura il freno alla liquidità nel 2014. Rallenta anche la Cina”. A centro pagina: “L’Europa processa Google. ‘Deve rispettare la privacy’. Le authority di Francia, Spagna e Italia minacciano sanzioni”.

 

 

Il Corriere della Sera: “Borse giù, come tutelare i risparmi. Frenata sugli aiuti all’economia Usa, cadono Wall Street e l’Europa. Una guida per titoli di Stato, valute, azioni dopo le cautele della Fed. Milano perde il 3 per cento”. Il titolo di apertura è sulla politica: “Letta: governo stabile. Ma nel Pdl c’è tensione. Berlusconi: l’esecutivo deve andare avanti”. “Dopo il verdetto della Corte Costituzionale”.

 

La Stampa: “Letta: il governo non rischia. Ma dal vertice Pdl pressioni per far cadere l’esecutivo sui temi economici. Il presidente del Consiglio dopo la sentenza sul Cavaliere: nessuna conseguenza. Torna lo scontro tra falchi e colombe nei due poli”.

 

L’Unità: “Grillo contro i terremotati”. Il quotidiano si riferisce al decreto al voto in Parlamento, che prevede anche interventi di aiuto ai terremotati. “L’ostruzionismo alla Camera mette a rischio il decreto. Il governo: voto di fiducia”. A centro pagina: “I ‘falchi’ volteggiano sul Cav: ora basta”.

 

Il Fatto quotidiano: “’Non ha rispettato il patto’. Il Pdl contro Napolitano. Dopo la sentenza della Consulta sul caso Mediaset, i fedelissimi di B. minacciano il Colle, rammentandogli i presunti ‘accordi’ e andando all’incasso in vista del ‘vero’ salvacondotto: prescrizione in Cassazione o amnistia”.

 

Il Giornale: “Berlusconi può farcela. Ecco tutte le ipotesi”. “L’ultima controffensiva dei suoi avvocati: le carte della difesa”.

 

Libero: “Medaglia d’oro, faccia di bronzo. La ministra faceva la testimonial anti-evasione, ma ha barato per non pagare l’Ici e sulla sua palestra si addensano molte ombre. Però lei non si dimette”.

Sulla vicenda da segnalare su La Repubblica una intervista di Concita de Gregorio alla ministra: “Non mi dimetto, in quella casa ci vivevo”. “Non sono il tipo che bara, né nello sport né fuori”, dice.

 

Borse a picco

 

Mercoledì scorso il Presidente della Federal Reserve americana Bernanke ha parlato di una possibile revisione della politica di stimoli monetari già entro l’anno. “La sbornia della liquidità a costo zero è destinata a finire”, sintetizza Il Sole 24 Ore. La politica della Fed, cioè i piani di Quantitative Easing, con la quale acquistava sul mercato titoli di Stato e stampava moneta, sono destinati a ridursi. Ieri Bernanke ha precisato che non aumenteranno i tassi per il momento, ma il fatto che mercoledì avesse indicato un orizzonte temporale (la fine dell’anno) ha scatenato il panico nei mercati, preoccupati dal fatto che se la Fed non è pronta a comprare titoli i tassi sono destinati inevitabilmente a salire.

Sullo stesso quotidiano Marco Onado spiega che nonostante i toni di Bernanke siano stati “più cauti del consueto” la reazione è stata molto negativa. Si sapeva che il “programma di sostegno eccezionale (e ricco di insidie) sarebbe terminato e, poiché i dati macroeconomici americani sono ormai più che incoraggianti era quasi ovvio che la svolta fosse imminente. Anche i dati sui prezzi al consumo sono favorevoli ad un incremento ben al di sotto dell’obiettivo del 2 per cento: apparentemente quindi la grande massa di liquidità creata non ha generato le tensioni inflazionistiche che molti temevano”. Più avanti Onado scrive che “I mercato sono giustificati se si sentono nervosi, ma devono anche farsene una ragione, perché la Fed non può continuare ad immettere liquidità a ritmi che possono essere molto pericolosi per la stabilità finanziaria complessiva”. Quanto all’Europa, la reazione è stata ancor più negativa, e rischia di riaprire “l’eterno dilemma: quali sono le condizioni reali delle banche europee? Sono in grado di affrontare una fase in cui si inaridiscono i fin troppo facili profitti derivanti dall’indebitarsi a tassi vicini allo zero e acquistare titoli di Stato? Se non sono riuscite a trasformare in credito l’enorme pioggia di liquidità di cui hanno beneficiato finora, come potranno sostenere la ripresa economica che si continua ad allontanare?”. Il problema, dice Onado, è in una incapacità dell’Europa di prendere decisioni coraggiose ed unitarie: abbiamo una costruzione dell’unione bancaria appena allo stadio iniziale, e oggetto di fiere polemiche. I fatti economici “viaggiano su un treno ad alta velocità, mentre la politica europea si muove su un locale che deve fermarsi a tutte le stazioni, preferibilmente tedesche. Karlsruhe prima, con le decisioni della Corte Costituzionale, e Berlino poi, per le elezioni a settembre”.

 

Renzi/Pd

 

Su Il Foglio una lunga intervista di Claudio Cerasa a Matteo Renzi. Il giornalista spiega che l’avversario del sindaco di Firenze non si chiama Cuperlo o Bersani, né Enrico Letta, ma Silvio Berlusconi. Parole di Renzi: “Io rispetto le decisioni della magistratura e non mi sogno di interferire con tutti i processi in cui è coinvolto il Cavaliere. Dico però una cosa: se Berlusconi verrà fatto fuori da un tribunale, e non dalla politica, per la sinistra sarà una sconfitta. Per questo è una sciocchezza parlare di ineleggibilità di Berlusconi. Per questo dico che è una sciocchezza esultare per una sentenza che punisce Berlusconi, e per questo dico che pagherei oro per arrivare alle prossime elezioni e sfidare Berlusconi. “Vorrei giocarmela con lui. Saprei come batterlo e come sfidarlo. Non è arroganza. E’ che il Pd di Renzi, per come lo penso io, non sarebbe più un Pd da bassa classifica, ma un Pd con un 4 davanti”. Poi parla di riforme, di tassazione, di riduzione dell’Irpef, e spiega. “ridurre la tassazione sul lavoro è giusto, ma bisogna essere onesti e dire due cose: primo, dieci miliardi di riduzione della tassazione sul lavoro di cui ha beneficiato Confindustria negli ultimi dieci anni, prima con Prodi e poi con Monti, non hanno offerto risultati apprezzabili in termini di creazione di posti di lavoro. Secondo: la politica deve iniziare a ragionare con la sua testa, deve emanciparsi dai sindacati, deve concentrarsi sulla busta paga dei suoi lavoratori, e deve imparare ad adoperare con più sapienza una parola precisa: produttività”. Renzi promette che in qualche modo scioglierà la sua riserva sulla segreteria entro la prima settimana di luglio, ma quel che gli sta a cuore è arrivare ad una candidatura trasversale, appoggiata non solo dai più ortodossi dei renziani, ma anche da molte altre anime del Pd: “La mia candidatura ha un senso se nascerà anche tra bersaniani e renziani della mia generazione”. Dice poi: “Il Pd rinasce se si punta sui sindaci, e a chi prova a intestarsi la vittoria alle ultime amministrative suggerirei di ricordare che hanno vinto i sindaci, non hanno vinto i capicorrente”.

La Stampa intervista Gianni Cuperlo, candidato alla segreteria del Pd. Dice: “Noi dobbiamo fare un congresso aperto alla società italiana, e un congresso aperto vuol dire primarie aperte. Se pure fosse giusto un meccanismo di partecipazione con l’albo degli elettori, rischieremmo di trasmettere al Paese un senso di chiusura. Saremmo d’accordo se fossero ammessi al voto i sedicenni. Il quotidiano sottolinea quindi che Cuperlo su questo la pensa esattamente come il sindaco di Firenze, ma una cosa li divide: il fatto che per Cuperlo “chi vuole fare il segretario del Pd non deve usare il partito per puntare alla premiership, anche perché il partito un premier ce lo ha già”. Dice ancora Cuperlo: “Io mi candido a fare il segretario del Pd, non a fare qualcosa d’altro. E sul condominio litigioso dico: dobbiamo recuperare una distinzione tra il partito e le istituzioni, non ci possiamo schiacciare solo sulla sfera istituzionale, un partito deve vivere anche oltre, avere una sua identità e ragion d’essere, rivendicando una sua autonoma dimensione culturale e civile”.

 

Berlusconi

 

La Repubblica, in un “retroscena” titolato “L’emendamento fantasma del Cavaliere, spuntano tetti più alti per l’interdizione”, scrive che sarebbe allo studio l’inserimento di una norma nel decreto carceri del Ministro Cancellieri. Intervenendo sugli articoli 28 e 29 del codice penale, si aggirerebbe l’interdizione dai pubblici uffici, che è la pena accessoria cui è stato condannato Berlusconi nel processo Mediaset. Si tratterebbe in sintesi di aumentare gli anni di pena che rendono obbligatoria l’interdizione, oppure escludere alcuni reati dalla applicazione di questa pena accessoria. In questo modo, se il Cavaliere perdesse in Cassazione, potrebbe restare in Parlamento. Il quotidiano scrive anche che un ulteriore tentativo è stato fatto dall’avvocato Ghedini, sempre in relazione al decreto carceri: in questo caso si trattava di inserire una norma che prevedesse la possibilità di vedersi riconosciuta la detenzione domiciliare per reati con pena fino a dieci anni. Nel testo sulla messa alla prova questa possibilità viene riconosciuta solo per reati con pene fino a sei anni.

 

Su L’Unità Massimo Mucchetti, oggi deputato Pd, sottolinea che l’interdizione dai pubblici uffici non impedirebbe a Berlusconi di continuare a guidare il centrodestra, e di esercitare così una influenza rilevante sulla politica italiana: “I processi, difficilmente risolvono i problemi politici. La scoperta per via giudiziaria di tangentopoli non ha regalato la palingenesi dell’ITalia né in versione liberale né laburista, ma ha creato lo spazio per il fenomeno berlusconiano”. Mucchetti spiega che l’articolo 10 della legge 361 del 1957, a cui si appella il “partito della ineleggibilità”, non si presta a letture univoche. Sebbene Micromega sostenga che la norma riguardi anche gli azionisti di controllo, e non solo i proprietari, di società titolari di una concessione o di una licenza di uso pubblico (dunque Berlusconi che tramite Fininvest ha la maggioranza relativa in Mediaset) la letteratura giuridica sull’articolo 10 non è univoca, perché la titolarità “in proprio” usata dal legislatore del 1957 non sottintende necessariamente la detenzione di una partecipazione di controllo. Mucchetti spiega quindi di aver depositato in Senato questa settimana un disegno di legge che abroga la vecchia norma del 1957 e trasferisce l’intera materia della ineleggibilità d’affari nel regime delle incompatibilità: serve una norma chiara sui conflitti di interesse di tipo economico, poiché nel 1957 la figura dell’azionista di impresa privata titolare di pubbliche concessioni non esisteva, è solo con le privatizzazioni e le liberalizzazioni degli anni 90 che le imprese private assumano concessioni e licenze d’uso importanti.

 

Obama

 

Il Corriere della Sera, nella sua corrispondenza da New York, racconta che è andato in frantumi il complotto fanta-politico di due membri del KKK residenti a New York. Volevano uccidere Obama con un’arma a raggi X in grado di colpire a distanza. In un sms inviato il 15 aprile scorso, il giorno del mortale attentato alla maratona di Boston, uno dei due sospetti, il 49enne meccanico industriale della General Electric Glendon Scott Crawford, che scriveva, parlando di Obama: “Il suo governo ha portato i musulmani nel nostro Paese senza alcun controllo. Non devono rispettare le leggi”. L’FBI indagava su di lui dall’aprile 2012, dopo che l’uomo si era presentato in una sinagoga di Albany affermando di aver messo a punto una tecnologia in grado di “uccidere i terroristi mentre dormono”. Per mettere in atto il suo piano, quattro mesi più tardi l’uomo avrebbe chiesto del denaro ad un alto funzionario del KKK, che a sua volta ha informato l’FBI, permettendo a tre agenti sotto copertura di incontrare l’aspirante attentatore. L’accusa nei confronti di Crawford e del suo socio, il 54enne ingegnere Erik J. Feight, è di aver tentato di fabbricare e far utilizzare un’arma di distruzione di massa per uccidere Obama. Secondo il Procuratore Dunkan si è evitato un massacro, perché i due avevano il know how tecnico per attuare il piano, e il loro congegno era in grado di emettere radiazioni letali, in grado di provocare una strage. Il ministro della giustizia dello Stato di New York, Hartunian, ha fatto notare che si tratta della riprova “che dobbiamo restare vigili di fronte ai terroristi tra noi”.

La Repubblica sottolinea che solo la tv Abc ha fatto riferimento ad Obama come target finale degli attentatori, accusati del possesso di armi di distruzione di massa. Il quotidiano riferisce anche che sarebbero oltre 1000 gli estremisti “bianchi” del Ku Klux Klan o i membri di gruppi della supremazia ariana.

 

E poi

 

Alle pagine R2 de La Repubblica Daniele Mastrogiacomo riferisce della “battaglia del Nilo”: c’è alta tensione tra Etiopia ed Egitto per una diga che rischia di impoverire il grande fiume. Secondo il reportage si tratta di un’opera faraonica voluta dal governo etiope. Avrà un enorme impatto sull’ecosistema, e serie ripercussioni sulla vita di almeno 200 mila pastori. Ma per Addis Abeba è il simbolo del riscatto e potrebbe rendere l’Etiopia un Paese all’avanguardia per l’esportazione di energia. Dal punto di vista dell’Egitto, si traterà di una struttura che ridurrà drasticamente il livello d’acqua portato dal Nilo, e il Presidente egiziano Morsi ha minacciato l’Etiopia di “fare qualunque cosa per garantire al suo Paese l’approvigionamento indrico”. La diga si chiama Gibe III, il progetto prevede che sia lunga 610 metri e alta 243. E dovrebbe deviare il 60 per cento delle acque del Nilo.

Anche sul Corriere della Sera, un articolo si occupa dei timori egiziani che la deviazione delle acque del Nilo Blu necessaria alla costruzione della diga diminuisca la quantità di acqua apportata. Secondo gli esperti il Paese potrebbe perdere il 20 per cento della sua acqua nel periodo di tre-cinque anni che serve all’Etiopia per i lavori. Ma pare che il Presidente Morsi possa fare ben poco. Il trattato che concedeva all’Egitto i diritti storici e naturali sul Nilo risale al 1929 ed è quello firmato con i colonialisti britannici. Quello del 1959 con il Sudan, in cui si arrivava ad una intesa sempre molto favorevole all’Egitto, all’epoca della diga di Assuan, è solo bilaterale. Altri otto Paesi, cui poi si è aggiunto il Sud Sudan, fanno parte del bacino del Nilo, e sono tutti a monte del colosso egiziano (Sudan, Sud Sudan, Eritrea, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Burundi, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo).

 

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